Paolucci, Signorini La storia in tasca

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Transcript della presentazione:

Paolucci, Signorini La storia in tasca Dalla metà del Seicento all’inizio del Novecento Volume 4 1. La rivoluzione industriale 2. L’età dell’Illuminismo 3. La rivoluzione americana: nascono gli Stati Uniti 4. La rivoluzione francese Paolucci, Signorini La storia in tasca. Dalla metà del Seicento all’inizio del Novecento © Zanichelli editore 2013

Capitolo 2 L’età dell’Illuminismo Paolucci, Signorini La storia in tasca. Dalla metà del Seicento all’inizio del Novecento © Zanichelli editore 2013

‹‹Illuminare le menti›› con la luce della ragione Il sorprendente sviluppo delle scienze, iniziato nel Seicento, convinse molte persone di cultura che le condizioni di vita dell’umanità potevano migliorare rapidamente. Strumento del progresso doveva essere la ragione umana. Da queste convinzioni nacque un vasto movimento culturale che prese il nome di Illuminismo, perché riponeva una fede profonda nella luce della ragione che, illuminando le menti degli uomini, li avrebbe guidati sulla via del progresso e della felicità. - Per mezzo della ragione gli uomini avrebbero sconfitto l’ignoranza e la superstizione – nemiche di ogni sviluppo – e avrebbero costruito una società nuova, finalmente libera, giusta e pacifica. - L’Illuminismo sorse in Inghilterra, ma si sviluppò soprattutto in Francia, diffondendosi, nel corso del Settecento, in tutto il resto d’Europa. Paolucci, Signorini La storia in tasca. Dalla metà del Seicento all’inizio del Novecento © Zanichelli editore 2013

Gli illuministi esaltano i valori della tolleranza, della fratellanza, dell’uguaglianza - I seguaci del movimento erano indicati col nome di philosophes, «filosofi». Essi però non si occupavano di verità filosofiche astratte, che la ragione non è in grado di verificare, ma si dedicavano con passione allo studio di quelle discipline da cui dipende la felicità degli uomini sulla terra, come la politica, le scienze, l’economia, la pedagogia (cioè la scienza dell’educazione). - In campo religioso, alcuni erano atei, cioè non ammettevano l’esistenza di Dio; altri, più numerosi, erano deisti, credevano cioè in un Essere supremo, creatore e ordinatore del mondo, ma rifiutavano i dogmi e l’autorità delle Chiese. - Dopo decenni di fanatismo e di guerre religiose, gli illuministi esaltavano la tolleranza, cioè uno spirito di comprensione verso idee, religioni, usanze diverse dalle proprie. Condannavano la guerra, la caccia alle streghe e, in nome della fratellanza fra gli uomini, la tratta dei neri. Nel nome della ragione, che accomuna tutti gli uomini, gli illuministi si sentivano «cittadini del mondo» e proclamavano l’uguaglianza di tutti i popoli e di tutte le razze. Paolucci, Signorini La storia in tasca. Dalla metà del Seicento all’inizio del Novecento © Zanichelli editore 2013

Gli illuministi pubblicano l’Enciclopedia Per cacciare le tenebre dell’ignoranza bisognava diffondere il sapere. Gli illuministi francesi intrapresero perciò la preparazione di un’opera colossale, l’Encyclopédie, cioè una raccolta di tutte le conoscenze umane in campo scientifico, tecnico, storico, letterario, musicale. - Il principale curatore dell’ Encyclopédie fu Denis Diderot; i collaboratori furono numerosi e fra loro figuravano i più noti illuministi dell’epoca, come Voltaire, Rousseau, D’Alembert. - L’Enciclopedia non era soltanto un’opera di informazione, perché gli autori si proponevano anche di persuadere il vasto pubblico della validità delle idee illuministe. Perciò la pubblicazione incontrò molti ostacoli e resistenze: il governo francese ne bloccò per due volte la stampa e gli ultimi due volumi dovettero uscire clandestinamente. Nonostante tutto però l’Enciclopedia fu interamente pubblicata, fra il 1751 e il 1772, e ottenne un grande successo in Francia e nel resto d’Europa, dove il francese era ormai la lingua delle persone colte. Paolucci, Signorini La storia in tasca. Dalla metà del Seicento all’inizio del Novecento © Zanichelli editore 2013

Le idee politiche ed economiche degli illuministi - Charles de Montesquieu (1689-1755), un illuminista di origine aristocratica, era favorevole ad una monarchia costituzionale, sul modello di quella inglese. Nell’opera Lo spirito delle leggi (1748), Montesquieu sostiene che i tre poteri su cui si fonda lo Stato, cioè il potere legislativo (di fare le leggi), esecutivo (di applicarle) e giudiziario (di giudicare chi non le rispetta) non debbono essere concentrati nelle mani di una sola persona. Questo principio, detto della separazione dei poteri, è accolto oggi dalle costituzioni di quasi tutti i paesi europei. - Diverso era il pensiero di Jean-Jacques Rousseau (1712-1778), un filosofo di Ginevra, autore del Contratto sociale. Per Rousseau il principale potere dello Stato, cioè la sovranità, il potere di comandare, appartiene interamente al popolo, che è l’unico sovrano. Spetta soltanto al popolo votare le leggi che ritiene giuste e decidere il bene comune in pubbliche assemblee. Il governo è al servizio del popolo ed agisce in suo nome, perciò il popolo può, in ogni momento, deporlo o sostituirlo. - Il principio della sovranità popolare, per cui il popolo è la fonte di tutti i poteri, sta alla base delle moderne democrazie. - A differenza di Rousseau, la maggioranza dei pensatori illuministi considerava il popolo troppo ignorante per governarsi da sé, troppo immaturo e pronto a farsi raggirare da scaltri imbroglioni. - Il più famoso dei filosofi illuministi, ad esempio, François-Marie Arouet detto Voltaire, non riponeva nel popolo alcuna fiducia ed era disposto perfino ad accettare il governo di un sovrano assoluto, a patto che questi si dimostrasse «illuminato» e si lasciasse guidare non dal capriccio, ma dalla ragione preoccupandosi dell’efficienza dello Stato e del benessere dei sudditi. In politica gli illuministi erano d’accordo nel combattere il potere assoluto di tipo francese, ma avevano poi idee diverse su quale fosse la forma migliore di governo. Paolucci, Signorini La storia in tasca. Dalla metà del Seicento all’inizio del Novecento © Zanichelli editore 2013

Nascono nel Settecento le moderne scienze economiche: Adam Smith Nel Settecento i fenomeni economici cominciarono ad essere studiati con metodo scientifico. Sotto l’impulso delle idee illuministe nacquero così le moderne scienze economiche, delle quali si considera fondatore l’economista scozzese Adam Smith (1723-1790). - Nella sua opera maggiore La ricchezza delle nazioni (1776) Smith afferma che la fonte di ogni ricchezza è il lavoro produttivo (quello che produce beni materiali). Come è possibile aumentare la produttività del lavoro? Per Adam Smith lo strumento principale che rende il lavoro più produttivo – e quindi più redditizio – è la divisione del lavoro, tipica del sistema di fabbrica. - Secondo Smith la vita economica è regolata da una sorta di legge «naturale», che egli chiama «mano invisibile» del mercato. Essa spinge gli imprenditori a produrre di più e ad aumentare i prezzi se la domanda è forte (cioè se la merce è molto richiesta), e a produrre di meno e ad abbassare i prezzi, se la domanda è debole (cioè se la merce è poco richiesta). Questa legge della domanda e dell’offerta o legge di mercato produce un «equilibrio economico» che conviene a tutti, sia agli imprenditori, che guadagnano molto quando i prezzi sono alti, sia ai compratori che possono acquistare la merce quando i prezzi calano. - Seguendo questa legge, scriveva Smith, ogni imprenditore – anche se opera soltanto per il proprio interesse individuale – finisce per costruire ricchezza e benessere per tutta la collettività. Occorre però che lo Stato non ostacoli i meccanismi «naturali» del mercato imponendo tasse sulle merci, o concedendo privilegi. - Con Adam Smith nasce una nuova dottrina economica che si diffonderà ampiamente e di cui torneremo a parlare: il liberismo. Paolucci, Signorini La storia in tasca. Dalla metà del Seicento all’inizio del Novecento © Zanichelli editore 2013

Le idee illuministe influenzano molti sovrani europei: le riforme I sovrani europei che accolsero le idee degli illuministi furono Federico II di Prussia, allievo e amico personale di Voltaire, Maria Teresa d’Austria e suo figlio Giuseppe, la zarina Caterina II di Russia, che accettava consigli da Diderot e, in Italia, Leopoldo, granduca di Toscana e Carlo III di Borbone, re di Napoli. - Nella seconda metà del Settecento questi «despoti illuminati» introdussero delle riforme, vale a dire dei graduali cambiamenti che avevano lo scopo di migliorare il loro Stato, rendendolo più efficiente e moderno. - In Toscana, ad esempio, il granduca Pietro Leopoldo nel 1786 abolì la tortura e la pena di morte. In Lombardia l’imperatrice Maria Teresa fece eseguire un catasto delle case e dei terreni appartenenti ai sudditi, per poter imporre le tasse con maggiore giustizia. - I «despoti illuminati» non cessarono però di essere dei sovrani assoluti e spesso si proposero, assai più che il benessere dei sudditi, l’aumento del proprio potere a scapito della nobiltà e del clero, gli antichi «ceti privilegiati». Molti privarono i nobili di antichi privilegi e, così facendo, liberarono i contadini dalla servitù e dall’obbligo delle corvées, ma contemporaneamente rafforzarono il loro potere sulla nobiltà indebolita. - In Italia i centri più attivi e vivaci dell’Illuminismo furono due: Napoli e Milano. A Napoli operarono economisti e giuristi di fama, come Antonio Genovesi e Gaetano Filangieri. A Milano i pensatori illuministi, raccolti intorno alla figura di Pietro Verri, scienziato, economista e uomo politico, diedero vita ad una associazione culturale, che portò il nome di Accademia dei Pugni. Pubblicarono anche un giornale, che fu intitolato «Il caffè», perché si voleva che avesse sulla società lo stesso effetto stimolante che ha la bevanda sull’organismo umano. - Del gruppo milanese faceva parte il marchese Cesare Beccaria, che nel 1764 pubblicò il saggio Dei delitti e delle pene, l’opera più importante e più famosa dell’Illuminismo italiano, in cui l’autore dimostrava, con argomenti pressanti e appassionati, l’inutilità della tortura e della pena di morte. Presto tradotto in molte lingue, il saggio contribuì a far modificare le leggi e i procedimenti giudiziari in alcuni Stati, fra cui il granducato di Toscana e il grande Impero degli Asburgo. Paolucci, Signorini La storia in tasca. Dalla metà del Seicento all’inizio del Novecento © Zanichelli editore 2013

Stati vecchi e nuovi nell’Europa che cambia Nella prima metà del Settecento furono combattute ben tre guerre di successione, rispettivamente per l’assegnazione del trono spagnolo (1702-1713), polacco (1733-1738) e austriaco (1740-1748). Si affermano nuove potenza come la Prussia che, da piccolo ducato tedesco, si trasformò in uno Stato moderno, potente e ben amministrato e la Russia di Pietro il Grande. - All’inizio del Settecento, i re erano ancora convinti che gli Stati costituissero un loro patrimonio privato da lasciare in eredità ai figli. Perciò, quando una dinastia si estingueva o una successione al trono veniva contestata, era quasi inevitabile che scoppiasse una guerra. - L’Italia, dopo la pace di Aquisgrana (1748) che mise fine alla guerra di successione austriaca, era divisa in molti Stati. Gli Asburgo d’Austria conservavano il ducato di Milano ed esercitavano la loro influenza anche sul granducato di Toscana che, essendo estinta la casata dei Medici, era passato alla dinastia dei Lorena, imparentati con gli Asburgo. Il Regno di Napoli e di Sicilia e il ducato di Parma e Piacenza erano stati assegnati a due principi della casa reale dei Borboni di Spagna. Il Regno di Sardegna, sotto i Savoia, si era leggermente ampliato. Restavano immutati i vecchi Stati: le repubbliche di Venezia, Genova e Lucca; lo Stato della Chiesa; il ducato di Modena. - All’inizio del Seicento la Prussia era un piccolo ducato tedesco, posto sulle rive del mar Baltico e governato dai principi Hohenzollern, signori del Brandeburgo e di Kleve. Nel 1701, Federico I di Hohenzollern ottenne il titolo di re di Prussia, come ricompensa per l’aiuto promesso all’Austria nella guerra di successione spagnola, e pose la sua capitale a Berlino. Sotto i suoi successori, Federico Guglielmo I (1688- 1740) e Federico II (1712-1786), il regno di Prussia si trasformò in uno Stato moderno, potente e ben amministrato. - Pietro il Grande volle fare della Russia uno Stato moderno come quelli dell’Europa occidentale che egli aveva più volte visitato. Riordinò l’esercito sul modello prussiano, dotò il suo paese di una flotta, istituì un regolare sistema di tassazione, incoraggiò lo sviluppo dell’economia nazionale. Ai suoi sudditi impose di abbandonare gli antichi costumi russi, come il caftan, la lunga veste tradizionale, per adottare quelli europei. Giunse perfino a tagliare personalmente a dei boiari (i potenti nobili russi) la barba fluente, che egli considerava un simbolo di arretratezza. - Nel 1725, quando Pietro il Grande morì, la Russia era ormai uno dei più potenti Stati d’Europa. Paolucci, Signorini La storia in tasca. Dalla metà del Seicento all’inizio del Novecento © Zanichelli editore 2013

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