Le guerre del V secolo I Guerra Persiana (490)

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Transcript della presentazione:

Le guerre del V secolo I Guerra Persiana (490) II Guerra Persiana (480-479) Guerra del Peloponneso (431-404)

La prima guerra persiana Fonti importanti: Erodoto Eschilo (tragediografo), ne I persiani Studialo nelle note La nascita della storiografia: Erodoto Secondo una definizione tradizionale, il «padre della storia » fu Erodoto (nato ad Alicarnasso, sulle coste dell’Asia Minore attorno al 484 a.C.), al quale risale anche la più antica definizione della parola storia- historie, che vuol dire “ricerca”). Egli scrive infatti all’inizio della sua opera: « Questa è l’esposizione che Erodoto di Turi [di cui era in seguito diventato cittadino] fa delle sue ricerche, affinché gli avvenimenti umani non sbiadiscano nell’oblio col tempo e le grandi e meravigliose imprese compiute tanto dai Greci quanto dai barbari non restino senza gloria ». Ma in che cosa consiste la ricerca di Erodoto? Nelle sue Storie in nove libri egli descrisse non le vicende di un singolo Stato o di un singolo periodo storico, ma offrì il resoconto dei suoi viaggi, che lo avevano condotto in ogni angolo del mondo, e dei costumi dei popoli che aveva visitato: Egiziani, Persiani, Sciti, Babilonesi. A differenza delle cronache egiziane o mesopotamiche che raccontano in modo soggettivo le imprese dei re e dei faraoni, a differenza della Bibbia che narra le vicende di un popolo, a differenza anche degli storici greci e latini successivi che identificheranno la storia con gli eventi politici, Erodoto ha dunque una visione più ampia della storia e di ciò che vale la pena di «ricercare ». Egli giunge sino ai confini del mondo per constatare ciò che accade nelle regioni più diverse; e descrive non solo le « cose » che accadono (guerre, battaglie, fatti politici), ma in primo luogo la geografia, il paesaggio, le abi­tudini dei popoli, i loro racconti, i miti, le credenze religiose, le tradizioni. Quello di Erodoto è dunque un viaggio attraverso le culture e le civiltà più diverse: perciò egli fu non solo il primo degli storici, ma anche il primo degli antropologi o etnografi, vale a dire “descrittori di popoli”. A Erodoto gli storici successivi (e prima di tutti Tucidide) hanno rimproverato di dare credito alle « superstizioni » (leggende, racconti fantastici, tradizioni orali e mitologiche) senza vagliare attentamente le sue fonti. Proprio questo invece rappresenta, da un certo punto di vista, la modernità di Erodoto: in quanto egli concepisce la storia come il prodotto di un’intera civiltà con tutte le sue credenze, anche discutibili. Anche se Erodoto è orgoglioso di appartenere al mondo della libera p&is greca, non per questo ritiene che gli stranieri siano incivili o arretrati. Secondo Erodoto, ogni popoìo possiede delle usanze ch lo contraddistinguono; e non è detto che le abitudini dei Greci siano in assoluto migliori di quelle di altri: il riconoscere e rispettare l’altro da sé gli permette di registrare i costumi più diversi. Egli ha quindi una netta consapevolezza della varietà delIe prospettive: ogni popolo è fedele alle sue abitudini e queste non vanno derise, ma osservate e comprese. « Se si proponesse a tutti gli uomini, — scrive, di vagliare le varie usanze e li si invitasse a scegliersi. le migliori, ciascuno, dopo avere ben ponderato, preferirebbe quelle del proprio paese: a tal punto ciascuno è convinto che le proprie usanze siano le migliori di tutte. Nella seconda parte delle Storie, che fu scritta ad Atene su invito di Pericle, Erodoto concentra l’attenzione sullo scontro tra Greci e Persiani, che egli — a ragione — considera l’evento centrale della sua generazione, oltre che della storia del suo popolo. In questa parte, decisamente filoateniese, Erodoto diviene il banditore della grandezza di Atene e dell’eroismo dei Greci impegnati in una lotta decisiva per la loro sopravvivenza politica.

Il confronto fra Greci e Persiani è qualcosa di più di un confronto militare: È’ uno scontro culturale, fra comunità di cittadini-soldati che si autogovernano e un impero autocratico che riconosce solo sudditi - fra la libertà e la schiavitù. La libertà, in Grecia, non è percepita come una questione privata, ma sempre essenzialmente come autonomia politica. Anche la libertà di parola – parrhesia- è intesa come connessa all'autonomia politica.

Le colonie ioniche e i persiani Ciro il Grande aveva sottomesso il regno di Lidia (nel 546 a.C) le città greche della costa asiatica erano passate sotto il dominio persiano. conservavano leggi e istituzioni indipendenti e formalmente libere ma dovevano versare tributi e prestare servizio militare a favore dei Persiani. Governatori persiani: Satrapi, si appoggiavano prevalentemente su tiranni.

Colonie ioniche dell’Asia Minore

Una situazione instabile vantaggi: protezione da nemici esterni grande mercato per i commerci garanzia della stabilità politica. motivi di conflitto: l’opposizione tra il sistema politico orientale, monarchico e imperiale, e quello greco, fondato sull’autonomia politica il « re dei re » persiano progettava di estendere il proprio dominio sulla Grecia continentale.

Insurrezione ionica 500-494: Le colonie ioniche dell'Asia Minore capeggiate da Aristagora di Mileto si ribellano all'egemonia dell'impero persiano; I ribelli riuscirono a penetrare verso l’interno e conquistarono Sardi, antica capitale del regno di Lidia, allora sede della satrapia solo Atene ed Eretria le appoggiano, inviando 20 + 5 navi. controffensiva persiana; l’esercito assediava da terra Mileto, sul mare la flotta dei Fenici, alleati dei Persiani, sconfisse quella greca la città fu conquistata. la rivolta si conclude con la distruzione di Mileto e la deportazione dei suoi abitanti in Mesopotamia.

anno 492: I Persiani conquistano Tracia e Macedonia e chiedono alle città greche di inviare “l'acqua e la terra”, in segno di sottomissione. Sparta e Atene rifiutano. la prima spedizione decisa ad imporre la sottomissione, fallì in seguito a una tempesta che distrusse la flotta davanti alle scogliere del monte Athos

Primo tentativo di attacco alla Grecia, fallito

Secondo tentativo, con cui inizia LA PRIMA GUERRA PERSIANA

490 (I guerra persiana) nell’estate del 490 a.C., agli ordini dell’ammiraglio Dati e del satrapo Artaferne, venne organizzata una seconda spedizione che aveva come obiettivo Atene; il piano era di assediare la città in modo che gli Ateniesi, terrorizzati, accettassero di sottomettersi a questo scopo accompagnava la spedizione il figlio di Pisistrato, Ippia (i cui seguaci erano ancora numerosi ad Atene) che si era rifugiato alla corte del re di Persia.

Eretria La flotta persiana sbarcò indisturbata in Eubea, conquistò Eretria e ne deportò la popolazione in Asia poi si diresse verso l’Attica e stabilì l’accampamento a nord di Atene, nella pianura di Maratona.

L’Eubea, Eretria, Maratona

Maratona L’assemblea ateniese decise di inviare contro il nemico tutto l’esercito, costituito da diecimila opliti, al comando del loro migliore generale, Milziade, che in passato era stato soldato di ventura e tiranno di una città della Tracia dove aveva avuto modo di studiare la tattica militare dei Persiani; messaggeri furono subito inviati a Sparta per invocarne l’aiuto.

Oplita ateniese

La falange greca

Milziade Elmo detto di Milziade

La risposta di Sparta Gli Spartani stavano celebrando una festa in onore di Apollo, durante la quale era loro interdetto prendere le armi perciò promisero che avrebbero mandato il loro esercito sei giorni dopo, alla scadenza del periodo sacro

La battaglia Nel frattempo Ateniesi e Persiani si fronteggiavano a Maratona gli Ateniesi si erano trincerati sulle alture che dominavano la pianura i Persiani accampati sul litorale, aspettavano che l’esercito nemico si dissolvesse e che i loro complici dentro le mura di Atene prendessero qualche iniziativa a loro favorevole

Battaglia di Maratona, 1a fase

lo scontro decisivo la falange degli opliti si dimostrò allora — come si sarebbe dimostrata in ogni guerra successiva contro i Persiani — un’arma invincibile scendendo a passo di corsa dalle alture, gli opliti ateniesi con la loro massa compatta spezzarono lo schieramento dei nemici e li respinsero sino alle navi, costringendoli a reimbarcarsi nel massimo disordine

2a fase

caduti tra i due eserciti 196 tra gli Ateniesi, seimila tra i Persiani. I Persiani tentarono di sorprendere per mare Atene rimasta sguarnita di soldati, ma questa ultima mossa fu sventata e non rimase loro che abbandonare la Grecia

Il “soros” di Maratona oggi Tumulo dove sono sepolti i caduti ateniesi

La “maratona” di Fidippide Il soldato che corse ininterrottamente per 42 km. (la distanza tra Atene e Maratona) per avvertire gli Ateniesi della vittoria Milziade poi riporto a tappe forzate l’esercito verso la città Bisognava impedire eventuali manovre dei Pisistratidi filopersiani

I Persiani di Eschilo La più antica tragedia pervenutaci integralmente, i Persiani di Eschilo, ci racconta questo confronto fra "barbari" e greci La tragedia della storia I persiani furono messi in scena nel 472 a. C. Si tratta della tragedia più antica pervenutaci intera, ed è per noi anomala, perché ha ad oggetto un evento storico - la sorprendente sconfitta dei persiani da parte della coalizione greca, a Salamina - e non, come d'uso, vicende collocate nel tempo del mito. Tuttavia, in una cultura ancora largamente orale come quella dell'Atene del V secolo, anche gli eventi storici, per essere ricordati, hanno bisogno di diventare leggenda. Il teatro era uno strumento di autocoscienza politico-religiosa del popolo unito: mettere in scena l'inaspettata vittoria della democrazia ateniese contro il gigante persiano non era, pertanto, fuori luogo, tanto è vero che quattro anni prima il tragediografo Frinico aveva vinto il premio con un'opera di argomento analogo. Eschilo, sulle tracce del precedente più antico, fa una scelta audace: quella di raccontare la vicenda dalla parte del nemico. Dall'epitaffio di Eschilo, composto probabilmente da lui stesso, Eschilo, figlio di Euforione, ateniese, morto a Gela produttrice di grano, questo monumento ricopre: il bosco di Maratona potrebbe raccontare il suo glorioso valore, e il Medo dalle lunghe chiome, che lo conosce. si può ipotizzare che la sua scelta non è un espediente retorico. Eschilo non invoca, su di sé, testimonianze testuali o teatrali, ma solo testimonianze topografiche e umane. E l'unico testimone umano è il Medo dalle lunghe chiome - il nemico. Ma perché il nemico possa portare testimonianza su di noi, la guerra con lui non può essere mortale, tesa a ridurre l'altro al silenzio. La nostra memoria è la memoria del nemico. Dalla parte del nemico La regina Atossa, vedova di Dario e madre di Serse, attende a Susa notizie dalla guerra lontana e dell'esercito persiano. Non sa nulla di quel popolo esotico, i Greci, e ne chiede notizie ai notabili persiani che formano il coro. Regina In pugno? Punta di freccia a incurvare l'arco, o... Corifeo No, no: lance per il combattimento ravvicinato, corazzate di scudi. Regina E alla testa del gregge? Chi fa da padrone all'armata? Corifeo Di nessun uomo sono detti servi, né sudditi. [239-242] Arriva un araldo, che riferisce della sconfitta nella battaglia navale di Salamina. Racconta che un disertore aveva fatto credere a Serse che la flotta greca fosse pronta a fuggire, e occorresse semplicemente bloccarla. Questa falsa notizia attirò le navi persiane nello stretto braccio di mare fra Atene e l'isola di Salamina, e le prese in trappola. I Persiani si accorsero dell'inganno quando videro la flotta nemica compatta, e sentirono il grido che veniva da essa: Forza, o figli dei Greci, liberate [eleutheroute] la patria, liberate i bambini, le donne, le dimore degli dei dei padri e le tombe degli antenati: su tutto questo ora è il gioco [agon]. [401-405] La testimonianza del nemico qui riportata è una espressione eloquente della libertà degli antichi. I Greci si governano da sé e si battono per la loro libertà. Ma questo, per avere un senso politico, deve essere riconosciuto. Lo sguardo dell'altro è una via per riflettere su di sé: per questo, nel teatro ateniese, bisogna saper rappresentare l'altro in modo credibile. Non si dà autonomia se non riusciamo a distanziarci da noi stessi per immaginarsi attraverso gli occhi dell'altro. Una condizione comune Il coro, per avere lumi sul futuro, evoca lo spettro di Dario, il quale predice che solo pochi, dell'"esercito dei barbari" (798), riusciranno a tornare a casa. Pochi, dei tanti, se si deve credere ai decreti divini - guardando a ciò che ora è già stato compiuto: perché non è dato che si compiano in parte, questo sì, questo no. E se è così, Serse si lascia alle spalle un corpo di truppe scelte convinto da vuote speranze. Sono fermi laggiù, dove Asopo bagna la pianura con le sue correnti, portando generosa ricchezza alla terra beota; lì sono in attesa i mali più grandi, che loro dovranno soffrire: riscatto di tracotanza [hybris] di presunzioni che negavano dio. Vennero in terra greca, e non si vergognavano di saccheggiare le statue degli dei, né di bruciare i templi; degli altari scomparsi, delle statue divine rovesciate dai piedistalli, in estrema rovina; perciò, avendo agito male, subiranno del male in non minor misura; e la fonte dei mali non si è ancora estinta, ma continua a sgorgare. Perché sarà tanto il sangue rappreso presso la terra di Platea, ad opera della dorica lancia: cataste di cadaveri, fino alla terza generazione, faranno segno agli occhi dei mortali, senza parlare: Chi ha dentro la morte non deve presumere troppo. Perché tracotanza [hybris], fiorendo, frutta una spiga di illusione (ate) da cui mieterà un raccolto di lacrime. Guardando tutto questo e il suo costo, ricordatevi di Atene e della Grecia, e nessuno, sottovalutando ciò che ora gli assegna il destino [ton paronta daimona] per passione di altro, getti via una grande fortuna. Davvero Zeus è sopra di noi, castigatore delle presunzioni arroganti, giudice severo. Per questo, essendo stato esortato alla moderazione [sophronein] dalla voce divina, ammonitelo con saggi consigli: smetti di offendere gli dei con la tua smodata insolenza. E tu, o mia cara, venerabile madre di Serse, rientra al palazzo, scegli il costume più fine, prezioso, e va' tu a ricevere il figlio: dei drappi smaglianti, non gli resta che sfascio di stracci, sfilacciati brandelli sul corpo, carico d'aspro tormento. Devi essere dolce, ragionare, placarlo. Lo conosco. La tua voce saprà sopportare, solamente la tua. Quanto a me, scendo al buio sottoterra. Anziani, addio: siate felici, anche nei mali, offrendo piacere all'anima, finché è giorno: non serve a nulla la ricchezza, ai morti. [800 ss.] Il fantasma di Dario prevede, ex post, la sconfitta di Platea. Ma aggiunge qualcosa di meno scontato: egli parla, come se fosse un greco, della finitezza degli uomini e della rovina di chi commette hybris. Lo dice in greco, a un pubblico greco, in un teatro greco. Lo dice, dunque, non tanto per i persiani lontani ma per i vincitori recenti, vicini. Il nemico è evocato dalla tomba, ma non per celebrare, conflittualmente, una identità nazionale, ma per mostrarne la fragilità. Lo spettro persiano parla come noi, perché ci ricorda qualcosa che tutti noi abbiamo in comune: la finitezza, la morte, il dolore. Solo a partire da questo è possibile costruire un discorso politico - perché la tragedia è un discorso politico - che vada oltre i confini delle città e degli imperi. Universalismo e particolarismo L'impero persiano si ispirava a un progetto universalistico, connesso a una religione monoteistica. L'iscrizione sulla tomba di Dario si esprime molto diversamente da quanto Eschilo attribuisce al suo spettro: Un gran dio è Ahura Mazda, che ha creato questa terra, che ha creato il cielo lassù, che ha creato l'uomo, che ha creato la felicità per l'uomo, che ha fatto Dario re, un re di molti, un signore di molti. Io sono Dario, il Gran Re, Re dei Re, di tutte le stirpi umane. Possa Ahura Mazda proteggere me dalla sciagura, e la mia casa reale e questa terra. O uomo, ciò che è comando di Ahura Mazda non ti sembri ripugnante. Non lasciare il giusto cammino, non insorgere in ribellione! Potremmo essere tentati di contrapporre meccanicamente il Dario di questa iscrizione all'Eschilo della tragedia: vedere il primo come un fautore di un universalismo imperialistico - un globalizzatore, per usare un termine alla moda - e trattare il secondo come sostenitore di un particolarismo politico e religioso. Ma questa riduzione non farebbe giustizia alla complessità del confronto implicito nella tragedia: Eschilo affida allo spettro nemico un messaggio che è rivolto ai persiani, nella finzione teatrale, ma che nella realtà si indirizza anche e in primo luogo agli Ateniesi. Si tratta, dunque, di qualcosa che vale per entrambi: la religione di Eschilo, che invita alla consapevolezza della misura umana, vuole essere una dottrina universale ma non totalizzante. In quanto creature finite, possiamo imparare soltanto sulla nostra pelle, soffrendo. La finitezza umana è comune a tutti; ogni imperialismo è destinato a incontrare i suoi limiti nella volontà di autonomia altrui. Zeus, quale mai sia il tuo nome, se con questo ti piace esser chiamato, con questo ti invoco. Né certo ad altri posso pensare, nessun altro all'infuori di te riconoscere, se veramente questo peso vano dall'anima voglio scacciare. Tale fu grande un giorno e fiorente di ogni audacia guerriera, e di costui nemmen più si dirà che esistette; poi venne un secondo, e anche questi scomparve trovato un terzo più forte. Chi con cuore devoto canta epinici a Zeus, questo soltanto avrà colto suprema saggezza. La via della saggezza Zeus apre ai mortali, facendo valere la legge che sapere è patire [ton pathei mathos]. Geme anche nel sonno, dinanzi al memore cuore, rimorso di colpe, e così agli uomini anche loro malgrado giunge saggezza [sophronein]; e questo è beneficio dei numi che saldamente seggono al sacro timone del mondo. [Eschilo, Agamennone, vv. 168-183 - 458 a.C.] Leggi come nelle note

Fonti del materiale Iconografiche Le immagini delle battaglie sono reperibili su svariati siti (basta digitare il nome della battaglia in inglese) Alcune sono state scansionate da testi in uso per il biennio Il profilo riprende, nelle linee generali, il testo in adozione (Cantarella-Guidorizzi) con alcuni ampliamenti