Lucrezio
La filosofia del “giardino” epicureo tra Atene e Roma Nel 306 a.C. Epicuro fondò ad Atene una scuola filosofica denominata Kèpos, cioè “giardino”, dal luogo di ritrovo. Assieme allo Stoicismo la scuola epicurea fu la risposta più significativa alla crisi dell’ età ellenistica, a determinare la quale avevano concorso alcuni eventi: 338 a.C.: vittoria di Filippo II a Cheronea e fine della libertà delle città-stato greche. 336 a.C.: regno di Alessandro Magno, espansione in Oriente e progetto di una monarchia universale. 323 a.C.: morte di Alessandro, frantumazione dell’impero negli Stati ellenistici (regni dei diadochi).
Questi fatti segnarono un cambiamento epocale anche nelle coscienze: gli ideali politici (patria, autonomia, primato della legge) erano caduti a favore di ideali privati: amore, amicizia, meditazione, dialogo con la natura. La filosofia ellenistica dovette ripensare la definizione di uomo, ormai sganciato dalla partecipazione alla vita politica e dal ruolo attivo di cittadino.
Un nuovo modello di uomo: il cittadino del mondo Si afferma un’accentuata coscienza individuale. L’uomo ellenistico, non più cittadino autonomo, ma suddito, si scopre kosmopolìtes. Le nuove chiavi di lettura dell’esistenza sono la paideia e la philanthropia: la prima pone Atene al centro della civiltà e della cultura sentita come “educazione”; la seconda propone un nesso solidale tra uomo e uomo come risposta ad angosce e speranze comuni.
La filosofia si rinnova Mutato il quadro storico, la filosofia diventa più sensibile alle dinamiche esistenziali: per la prima volta la filosofia non pensava solo a elevare l’uomo, ma soprattutto a chinarsi sulle sofferenze dell’individuo. La vita politica era, secondo Epicuro, addirittura nociva: lathe biosas, cioè “vivi nascosto”, è il suo motto.
L’atomismo di Democrito L’individuo in età ellenistica ha perso le sue certezze sociali, il suo ruolo politico, e nella filosofia cerca soprattutto risposta ai suoi interrogativi interiori. Per guarire l’uomo dall’angoscia l’Epicureismo parte dall’indagine fisica, che è di tipo materialistico, e si rifà alle teorie di Democrito (V-IV sec a.C.). “Principi dell’universo sono gli atomi e il vuoto; tutto il resto non è che convenzione. I mondi sono infiniti e soggetti a nascita e distruzione. Nulla si genera dal non essere e nulla nel non essere si distrugge. Quanto a grandezza e a numero, gli atomi sono infiniti; nell’universo sono travolti da un vortice e così raggruppandosi si generano tutte le cose, fuoco, acqua, aria e terra, poiché anche questi sono sistemi di atomi, i quali sono fissi e inalterabili per la loro durezza” (Diogene Laerzio, Vite e opinioni dei filosofi illustri).
La ricerca del piacere Epicuro comprende che la vita dell’uomo brancola tra i due poli opposti del piacere e del dolore, percepiti come sensazione. Tutto avviene in un flusso di perenne modificazione, come gli atomi si aggregano e disgregano in base alla sola casualità. Questo è lo scopo della filosofia: considerare questo incessante movimento di trasformazione universale. Così ci libereremo dall’ignoranza, ma soprattutto conquisteremo l’armonia interiore frutto di una ragionevole serenità. E’ il rapporto uomo-dio a minare questa serenità, perché non correttamente impostato: gli dei vivono beati in spazi siderali lontanissimi, gli intermundia, senza occuparsi degli uomini.
La corretta attenzione alle nostre esigenze naturali determina invece il piacere, l’edoné, chiamata da Lucrezio voluptas, che richiama un duplice concetto: il piacere cinetico: la ricerca affannosa e mai soddisfatta di agi e divertimenti materiali; il piacere catastematico: l’appagamento che perviene dall’assenza di sofferenze fisiche e turbamenti spirituali. La tranquillità dell’animo risiede solo nella comprensione della natura delle cose. Pertanto, la supremazia della ragione è la garante unica della felicità umana.
Il tetraphàrmakon epicureo Per Epicuro la filosofia svolge la funzione di un”quadrifarmaco”, in quanto consiste in quattro principi che sono il rimedio contro ogni male: Gli dei esistono, ma non provvedono alle cose umane: siamo così liberati dal timore degli dei. La morte è solo disgregazione di atomi: quando ci siamo noi, non c’è la morte, quando c’è la morte non ci siamo noi; siamo così liberati dal timore della morte. Il piacere è il fine dell’uomo: il piacere è prima di tutto assenza di dolore; ma il dolore, se è molto forte, non dura in eterno: siamo così liberati dal timore del dolore. La felicità consiste nell’atarassia, che permette all’uomo di vivere come un dio su questa terra e non è difficile; siamo così liberati dal timore di non poter raggiungere la felicità.
L’epicureismo a Roma Nel I sec.a.C. l’epicureismo poteva contare su un fiorente cenacolo che aveva il suo centro a Napoli ed Ercolano con illustri maestri come Filodemo di Gadara e Sirone, appoggiato dalla nobile famiglia dei Pisoni. Tuttavia molti erano gli ostacoli che impedivano la sua diffusione nel mondo romano: questa filosofia sembrava svalutare i capisaldi della morale e della politica romana. Il “vivi nascosto” invitava all’otium (meditazione, amicizia disinteressata, quiete naturale) in opposizione al negotium (la politica, l’attività militare, gli accordi, i dibattiti del foro). Vi era una forte discordanza tra la spiritualità dell’Epicureismo (che immaginava gli dei come astratta beatitudine) e la religione romana, imperniata su un rapporto utilitaristico con la divinità. Una filosofia che denunciava come follia superstiziosa gran parte di ciò che la tradizione riteneva sacro, aveva l’aria di configurarsi come ateismo.
Le preoccupazioni di Lucrezio Nella società romana del I sec. a.C., preda delle lotte politiche tardo-repubblicane, l’epicureismo sarebbe stato una risposta eccellente. Lucrezio pensa al suo poema come a una risposta a questa situazione di crisi: di fronte al dilagare dei culti misterici di origine orientale e di atteggiamenti di disimpegno edonistico (neoteroi) e irrazionalità, il De rerum natura si propone come strumento per superare, dopo averle esplorate, le radici profonde dell’infelicità e del dolore e garantire, attraverso l’affermazione della supremazia della ragione, la tranquillità e, quindi, la felicità.
Lucrezio aveva ben presenti: Le obiezioni dell’ambiente romano verso il Kèpos ; L’ostilità programmatica nei confronti della speculazione filosofica o di astrazione; La diffidenza verso la Grecia; Il carattere innovativo dell’epicureismo, apparentemente inconciliabile con il mos maiorum; I problemi che doveva affrontare come letterato; Il fatto di conciliare la scelta dello strumento poetico con la condanna epicurea dell’arte: per Epicuro, infatti, la poesia va evitata in quanto suscita emozioni e, quindi, allontana dalla atarassia. Lucrezio rifiuta la poesia come lusus (gioco elegante e disimpegnato, come per i neoteroi) e propone invece una poesia educativa, centrata sulla ricerca delle cause, proposta di verità; Il fatto di mantenere un poema didascalico su un piano di serietà concettuale, la gravitas, senza scadere nell’erudizione;
Il fatto di diffondere le innovazioni della filosofia senza per questo scadere nel principio neoterico della novitas, lo sperimentalismo formale a tutti i costi; Il fatto di creare un lessico filosofico che allora mancava (è lo stesso problema che si pone Cicerone, ma in tutt’altra prospettiva) corretto nei significati ma lontano da ogni esterofilia. Nel finale del I libro (vv. 922 ss) Lucrezio chiarisce le proprie scelte di poetica: Si presenta come insignito dalle stesse Muse di una missione divina; Si professa poeta – apostolo di verità; Paragona la poesia al miele con cui si costringe il bambino a bere la medicina amara; In sostanza, insiste sui poteri psicagocici della poesia, cioè sulla sua capacità di persuadere emotivamente per immagini, meno precise di un’esposizione in prosa, ma molto più attraenti.
Modelli e fonti Lucrezio aveva in mente un poema universale quanto ai contenuti, eppure pienamente romano sotto il profilo formale. Roma era matura per qualcosa di forte e di nuovo, ma bisognava presentarlo nel solco della tradizione. Modelli e fonti greci: Filosofia: filosofi presocratici naturalisti (Empedocle, Parmenide, Democrito); Epicuro; Poesia: Omero (epica), Esiodo (didascalica), poesia ellenistica (poemi didascalici nei quali, però, prevale l’aspetto erudito); Tucidide: storico greco autore della Guerra del Peloponneso, capolavoro della storiografia greca e modello per la descrizione della peste di Atene del 430 a.C.. Modelli e fonti latini: Poesia: Ennio, fondatore della poesia esametrica a Roma e scrittore di poemetti filosofici.
La struttura del poema Il De rerum natura è un poema didascalico in sei libri di versi esametri composto per diffondere nel mondo romano la filosofia di Epicuro e il suo messaggio di “salvezza”. Il poema si articola in tre diadi: I l’atomismo e al teoria del clinamen, cioè l’aggregazione e disgregazione atomica in un movimento disordinato nel vuoto (FISICA). II la natura umana nelle sue componenti biologiche e psicologiche (ANTROPOLOGIA). III le cause dei fenomeni naturali (COSMOLOGIA). Viene così delineato un preciso percorso di ricerca: L’informazione sul mondo fisico. La formazione etica. La meta della serenità ottenuta con l’uso della ragione.
Lo stile Nel poema Lucrezio assume due atteggiamenti che corrispondono ai due toni stilistici fondamentali dell’ opera: Razionalista: deve convincere il lettore con l’aggressione sarcastica, satira di illusioni, paure, superstizioni. Poetico: deve emozionare il poeta con l’intonazione epica, immagini grandiose per esprimere un messaggio nobile e grande. Da queste due componenti nasce quello che G. B. Conte definisce il sublime lucreziano, che punta a produrre nel lettore quello sconvolgimento emotivo che il poeta giudica necessario se si vuole raggiungere l’atarassia, il premio per coloro che hanno saputo vincere le passioni e le paure interiori.
Caratteristiche principali Linguaggio formulare: ripetizione di frasi, di passi più o meno lunghi, gruppi di parole nella stessa sede metrica (nell’epica arcaica funzionale a memorizzazione e apprendimento). Nessi argomentativi: formule di raccordo della costruzione del discorso, di solito in posizione iniziale del verso. Uso di arcaismi e di neologismi: parole di suono antico per dare solennità (genitivi in -ai, composti, gerundivi in –undi) o nuove parole o perifrasi per sopperire a povertà della lingua latina. Frequenti allitterazioni: determinano esametri sonori, punto di passaggio tra lo stile arcaico (Ennio) e quello virgiliano.
Il nostro percorso Il proemio (I, 1-43) L’elogio di Epicuro (I, 62-79) Il sacrificio di Ifigenia (I, 80-101) Nulla si crea, nulla si distrugge (I, 149-264) in trad. Il dolce filtro della poesia (I,921-950) Elogio del saggio (II, \-20) Negazione di un ordine provvidenziale(II, 167-183)in trad. Il secondo elogio di Epicuro (III, 1-30) Ricerca distorta del piacere (III, 1053-1075) L’inganno dell’amore(IV, 1141,1191)in trad. Storia del genere umano (V, 925-1061)in trad. Contro L’antropocentrismo (v, 195-234) La peste di Atene: la distruzione della vita civile (VI, 1215-1286) in trad.