VITTORIO ALFIERI.

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VITTORIO ALFIERI

BIOGRAFIA Vittorio Alfieri nasce nel 1749 da una famiglia aristocratica Il padre Antonio Amedeo, conte di Cortemilia, muore di polmonite nel primo anno di vita di Vittorio La madre Monica Maillard de Tournon (già vedova del marchese Alessandro Cacherano Crivelli dal quale aveva avuto due figli, Angela Maria Eleonora e Vittorio Antonio) si risposa in terze nozze con il cavaliere Carlo Giacinto Alfieri di Magliano, un parente del defunto marito Fino all'età di nove anni e mezzo, Alfieri vive un’infanzia povera d’affetti ad Asti a Palazzo Alfieri (la residenza paterna), affidato ad un precettore, senza alcuna compagnia

Nel 1758 entra alla Reale Accademia militare di Torino (un collegio per l’educazione dei figli dei nobili) dove compie i suoi studi di grammatica, retorica, filosofia, legge Viene a contatto con molti studenti stranieri, i cui racconti gli fanno sviluppare la passione per i viaggi Disgustato dall’ambiente retrivo dell’Accademia, nel 1766 la abbandona e si arruola nel reggimento regionale di Asti, diventando "portinsegna" (cioè "alfiere", tradizione di famiglia da cui derivava appunto il cognome, secondo una leggenda) Rimane nell'esercito fino al 1774 e si congeda col grado di luogotenente In questo periodo scopre anche un'altra delle sue passioni, l'amore per i cavalli, che lo accompagnerà sempre

Tra il 1766 e il 1772 Alfieri compie due lunghi viaggi in Italia (Milano, Napoli, Firenze e Roma) e in Europa (Francia, Inghilterra, Olanda, Svezia e Russia) Nel 1772 a Lisbona conosce l’abate Tommaso Valperga di Caluso, un coltissimo letterato che gli sarà amico per tutta la vita Abbandonato l’esercito nel 1774, scrive la prima tragedia Cleopatra (che anni dopo disconoscerà ritenendola imperfetta)

Convinto di avere un futuro come scrittore di tragedie, scrive Filippo e altri drammi Sente il bisogno di “sfrancesarsi” (= ripulire il proprio linguaggio dal francese che era la lingua parlata nell’aristocrazia piemontese) e di usare un italiano letterario più puro Per raggiungere quest’obiettivo, va a vivere in Toscana nel 1777, in particolare a Siena, dove conosce quello che sarebbe diventato uno dei suoi più grandi amici, il letterato Francesco Gori Gandellini Inizia a scrivere i due trattati politico-civili Della Tirannide e Del principe e delle lettere Per dedicarsi solo ed esclusivamente alla letteratura per lungo tempo, arriva a farsi legare alla sedia dal servo Elia, in un famosissimo episodio

Nell'ottobre del 1777 Alfieri conosce la donna che lo terrà legato a sé per tutto il resto della vita: Luisa di Stolberg-Gedern, contessa d'Albany, moglie di Carlo Edoardo Stuart, pretendente al trono di Inghilterra Con lei vive prima a Firenze poi a Roma a Villa Strozzi Per staccarsi del tutto dal Piemonte e dalla corte di Savoia, che disprezza, rinuncia (nel 1778) ai beni ereditati dalla famiglia, cedendoli alla sorella Giulia Nei due anni successivi di soggiorno romano lo scrittore porta a compimento le tragedie Merope e Saul.

Sempre nel 1783 riprende a viaggiare tra l’Italia e l’Europa Nascono poco dopo nuove tragedie, tra le quali un nuovo capolavoro, la Mirra Intanto la Stolberg, che ha ottenuto la separazione dal marito, lo raggiunge a Colmar in Alsazia e poi con lei va a vivere a Parigi A Parigi Alfieri cura la stampa delle sue tragedie, pubblicate dall’editore Didot Nel 1790 comincia a scrivere un’autobiografia in prosa, la Vita Dopo essersi mostrato favorevole alla Rivoluzione francese (a cui dedica le ultime tragedie e un’ode in versi), diventa sospetto ai rivoluzionari per le sue origini nobili e per il legame con la contessa

Rientra in Italia nel 1793 stabilendosi a Firenze Qui compone le ultime opere, tra cui il Misogallo (= l’odiatore dei francesi) e sei commedie Muore nel 1803 ed è sepolto nella chiesa di Santa Croce (a Firenze), dove la contessa d’Albany fa scolpire un grandioso monumento funebre da Antonio Canova

LA POSIZIONE CULTURALE Dopo aver letto le Vite parallele di Plutarco, Alfieri rimane folgorato dal dramma degli eroi infelici, dalle vite ricche di fortune inattese e poi d’improvvise irrimediabili sciagure (come avviene a Cleopatra, Antonio, Bruto) Il mondo eroico di Plutarco gli suggerisce la predilezione per un senso austero e dignitoso del vivere dandogli la spinta per isolarsi dalla società circostante

Per Alfieri la letteratura diventa un mezzo per sfuggire ai mali del presente e per affermare la propria individualità Alfieri sceglie la tragedia perché il solo genere illustre e perché solo tra personaggi sublimi pensava di poter ritrovare le autentiche “tragiche passioni” (amore, ira, furore, gelosia, odio, ambizione, libertà, vendetta) Per lui solo chi sa coltivare sentimenti e passioni ha un animo divino che si può esprimere solo con la poesia (“del più forte sentir più forte figlia”)

Le differenze fra Alfieri e la cultura settecentesca sono: CONTEMPORANEI ALFIERI Lodano chi sapeva vivere in società Esalta l’individualismo (un modo di vivere combattivo, solitario, anarchico “volli, sempre volli, fortissimamente volli”) Progettano di realizzare la felicità terrena attraverso un graduale progresso di tutta la società Pone al primo posto i diritti del singolo, di sè solo (rivelando in ciò la sua natura aristocratica) Chiamano ogni uomo “cittadino del mondo” Rifiuta il cosmopolitismo, proclama il valore della patria e della nazione, divenendo uno dei profeti della futura Italia unita, lo scrittore più amato nel Risorgimento

La vocazione di scrittore tragico nasce in Alfieri come ribellione al mondo retrivo, di rigida disciplina militare nel quale viene educato presso la Reale Accademia militare di Torino La sua ribellione è poi alimentata dai viaggi che compie percorrendo l’Europa tra il 1766 e il 1772 (“più da fuggiasco che da viaggiatore”) . Dopo l’esordio con la tragedia Cleopatra (in seguito rifiutata), si dedica anima e corpo alla composizione teatrale Prima però spezza ogni legame con il passato torinese (vuole “spiemontizzarsi”): infatti, per “disvallarsi” (cioè per eliminare i vincoli di vassallaggio che lo legavano al sovrano torinese) fa dono alla sorella di tutti i suoi beni prende poi dimora a Firenze (patria ideale della nazione italiana) dove studia i classici italiani per rimediare alla propria educazione linguistica

IL PENSIERO POLITICO La visione politica di Alfieri è rigidamente aristocratica Per lui in politica non c’è posto per i mediocri né spazio per il popolo La politica per Alfieri è scontro di grandi personalità al fine di conquistare o mantenere il potere Alfieri tratta i temi politici nelle tragedie ma anche in due importanti trattati in prosa: Della tirannide (scritto nel 1777 dopo aver letto Machiavelli che amava tanto), dove tratta il tema dell’inevitabile conflitto che sorge tra il tiranno e il “liber’uomo” che si oppone al despota non per spirito democratico ma perché non può mettere a tacere la propria volontà individuale e il proprio “alto sentire”

Del principe e delle lettere (concluso nel 1786), nel quale l’autore riassume le proprie idee politiche ed espone la propria poetica (illustra il suo ideale del libero scrittore, un intellettuale che è anche uomo d’azione, investito di una missione civile di rinnovamento nazionale; il vero poeta non può sottomettersi ad alcun potere) In definitiva è Alfieri stesso che incarna il “liber’uomo” e il libero scrittore

LE TRAGEDIE Tra il 1787 e il 1789 esce a Parigi l’edizione Didot delle Tragedie alfieriane, pubblicata a spese dell’autore, che comprende 19 tragedie che si possono suddividere in cinque gruppi:

Polinice, Agamennone, Don Garzia, Maria Stuarda TRAGEDIE D’AMORE Cleopatra (non inclusa nella raccolta), Filippo, Rosmunda, Sofonisba, Ottavia TRAGEDIE DI LIBERTA’ Virginia, La congiura de’ Pazzi, Timoleone, Agide, Bruto primo, Bruto secondo TRAGEDIE DI AMBIZIONE REGALE Polinice, Agamennone, Don Garzia, Maria Stuarda TRAGEDIE DEGLI AFFETTI DOMESTICI Antigone, Oreste, Merope TRAGEDIE DEL CONFLITTO INTERIORE Saul, Mirra

E’ difficile stabilire una cronologia delle tragedie perché Alfieri ci lavorava a lungo (il suo metodo di lavoro: dopo averle ideate, le scriveva prima in prosa in francese e dopo le riscriveva in italiano, poi le riscriveva in versi endecasillabi sciolti, infine le rimaneggiava continuamente) Le tragedie alfieriane sono “classiciste” (rispettano infatti le regole classiche): si svolgono in cinque atti attingono soggetti dalla mitologia o dalla storia antica (qualche volta anche dalla storia medievale e moderna e dalla Bibbia)

rispettano le “unità” di tempo (la vicenda si svolge di solito in una sola giornata), di luogo (la vicenda è ambientata in un unico luogo, di solito la reggia), d’azione (la vicenda procede senza digressioni dal nucleo centrale) Pur attenendosi alla norma classicistica, Alfieri la reinterpreta profondamente: Egli vuole che il pubblico si concentri immediatamente sugli aspetti essenziali del dramma Perciò elimina i personaggi minori Elimina la ricostruzione ambientale Tutto si concentra in un unico nodo tragico

La catastrofe incombe inesorabile sin dall’inizio Il teatro di Alfieri pare svolgersi in un tempo universale, in un luogo che può essere ovunque perché ciò che interessa sono le dinamiche profonde dell’agire umano Sulla scena le vicende si riducono a scontro terribile di grandi personalità (o dell’io con se stesso) La catastrofe incombe inesorabile sin dall’inizio Il pessimismo è la sostanza più tragica del teatro alfieriano Quello di Alfieri è un teatro di parola I fatti avvengono fuori scena, riferiti da altri Assoluta protagonista è la voce dei personaggi principali Essi più che dialogare con gli altri, monologano con se stessi in versi irti, endecasillabi sciolti da rima e violentemente spezzati dal poeta

Questa poetica teatrale è descritta dallo stesso autore in una lettera del 6 settembre 1783 a Ranieri de’ Calzabigi, un letterato che aveva espresso un parere critico sulle sue tragedie Spesso era lo stesso Alfieri che, in messinscene private, recitava la parte del protagonista delle sue tragedie Nelle prime tragedie l’attenzione si focalizza sull’analisi del conflitto che oppone la smisurata sete di potere del tiranno e il “forte sentire” del “liber’uomo” La libertà a cui guarda Alfieri non è un ideale politico, ma qualcosa di più profondo e assoluto tanto da risultare irraggiungibile

LA VITA L’autobiografia di Alfieri è considerato uno dei più bei libri scritti nel Settecento E’ il ritratto di una personalità prepotente e anticonvenzionale La Vita è una sorta di autobiografia “psicologica”, dove prevale un racconto soggettivo, svolto sempre in prima persona, misto di narrazione e giudizi Unico vero protagonista del libro è l’io alfieriano che si impone nel mondo come al termine di una lunga battaglia condotta e vinta nella solitudine dello spirito Da qui scaturisce il carattere “romantico” della Vita che i patrioti del Risorgimento consideravano come un’opera educativa e patriottica, perché dimostrava che figure di “liber’uomo” potevano davvero esistere nell’ Italia di allora

Lo stile usato nella Vita è assai personale, talora ironico o impetuoso Il linguaggio è scattante, ricco di contrasti, con tanti neologismi (i cosiddetti “alfierismi”), accrescitivi e vezzeggiativi molto espressivi L’autore aveva intrapreso la stesura dell’autobiografia a Parigi nel 1790 L’opera esce postuma a Londra nel 1804 col titolo Vita di Vittorio Alfieri da Asti scritta da esso Nella stesura finale il libro è diviso in due parti: la prima, assai più lunga è a sua volta distinta in quattro “Epoche” (Puerizia, Adolescenza, Giovinezza, Virilità) la seconda è la continuazione della quarta epoca

Del principe e delle lettere Del principe e delle lettere è il secondo e più ampio trattato politico alfieriano Vi ritroviamo la sua poetica: il poeta dev’essere un “liber’uomo” indipendente sul piano economico e spirituale, anticonformista, persino ribelle il poeta deve tenersi lontano dal “palazzo” il mecenatismo non ha più senso perché quando un principe si fa protettore degli artisti lo fa solo per il suo tornaconto politico

i poeti “cortigiani” (come Virgilio, Orazio, Ariosto) vengono biasimati sul piano personale (non sul piano artistico), perché vissuti all’ombra dei troni lo scrittore deve sempre essere proteso a superarsi, infiammato di amore per la gloria allo scrittore spetta il compito di indurre l’uomo al bene e distornarlo dal male (= compito civile della letteratura) lo scrittore non è solo un maestro, ma è insieme poeta e martire, profeta ed educatore della nazione

Il trattato è stato concepito nel 1778, terminato nel 1786 e stampato nel 1789 È diviso in tre libri L’ultimo capitolo riporta un titolo che ricalca il titolo dell’ultimo brano del Principe di Machiavelli (“Esortazione a liberar l’Italia dai barbari”) e che manifesta fiducia in un prossimo sollevamento del popolo italiano (perciò l’opera piaceva molto in epoca risorgimentale)

SAUL Saul è la tragedia alfieriana più famosa, considerato il suo capolavoro La scrisse nel 1782, anno nel quale si dedicò all’intensa lettura della Bibbia Il protagonista è Saul, un re ossessionato dai timori di congiure a palazzo e che si sente abbandonato da Dio e dagli uomini Saul è un personaggio interiormente combattuto fra amore e odio, fra orgoglio e consapevolezza della prossima catastrofe

L’opera si ispira alla vicenda del re Saul, narrata nella Bibbia (I libro di Samuele, capitoli 8-13) La tragedia si svolge in una sola giornata secondo le regole aristoteliche Inoltre, Saul sa che David sarà il suo successore sul trono d’Israele perché il suo figlio naturale Gionata è stato escluso per volere divino e per meriti personali di David Saul vive come una catastrofe l’idea di dover morire senza che il trono sia ereditato dal figlio Egli perciò scende in lotta contro tutti: contro i sacerdoti, contro David e, soprattutto, contro Dio In ciascuno di loro vede una forza che insidia la sua autorità in declino Tale inquietudine divora il personaggio fino al suicidio

L’opera si ispira alla vicenda del re Saul, narrata nella Bibbia (I libro di Samuele, capitoli 8-13) La tragedia si svolge in una sola giornata secondo le regole aristoteliche

TRAMA Saul, coraggioso guerriero, fu incoronato re di Israele su richiesta del popolo e consacrato dal sacerdote Samuele, che lo unse in nome di Dio. Col tempo, però, Saul si allontanò da Dio finendo per compiere diversi atti di empietà. Allora Samuele, su ordine del Signore, consacrò re un umile pastore: David. Questi fu chiamato alla corte di Saul per placare con il suo canto l'animo del re, e lì riuscì ad ottenere l'amicizia di Gionata, figlio del re, e la mano della giovane figlia di Saul, Micol. David generò però una forte invidia nel re, che vide in lui un usurpatore e al tempo stesso vi vide la propria passata giovinezza. David venne perseguitato da Saul e costretto a rifugiarsi in terre dei filistei (e per questo accusato di tradimento).

TRAMA La vicenda del Saul narra le ultime ore di vita del re e vede il ritorno di David, che da prode guerriero è accorso in aiuto del suo popolo in guerra con i Filistei, pur sapendo bene il rischio che ciò poteva comportare per la sua vita. David è pronto a farsi uccidere dal re, ma prima vuole potere combattere con il suo popolo. Saul vedendolo lo vuole uccidere, ma dopo averlo ascoltato si convince a dargli il comando dell'esercito. David ad un certo punto commette però un errore, parlando di “due agnelli” in Israele, e ciò genera il delirio omicida di Saul verso il giovane. Saul poi spiega a Gionata la dura legge del trono, per la quale “il fratello uccide il fratello”. Davanti al re arriva il sacerdote Achimelech, che porta a Gionata la condanna divina e lo mette al corrente dell'avvenuta incoronazione di David. Il re fa uccidere il sacerdote, e da lì egli andrà sempre più verso il delirio. Nell'ultimo atto, Saul prevede in un incubo la propria morte e quella dei suoi figli e con una visione piena di sangue si ridesta, e coglie la realtà dei fatti: i Filistei li stanno attaccando, e l'esercito israelita non riesce a difendersi. A questo punto Saul ritrova se stesso, e uccidendosi riconquista l'integrità di uomo e di re.