Credo nella resurrezione dei morti Di fronte al mistero della morte siamo sempre in una situazione di scacco, sentiamo il peso della paura e della fragilità; la morte è sempre una sconfitta, in essa si teme non solo la fine di tutto, ma anche il non senso della vita sprecata; nella cultura odierna il valore della vita diminuisce con il tempo, fino a diventare minimo nei vecchi e nei morenti. Ciò non toglie che una riflessione su questa scomodissima questione non può essere eliminata, anzi risulta indispensabile per comprendere il senso pieno della vita. La riflessione deve mettere in discussione l’evidenza immediata e stabilire una distanza con la sua realtà.
Il bene e il male. I frammenti di senso che riusciamo ad individuare vanno esposte in una correlazione di cui abbiamo coscienza che mai riusciremo a padroneggiare del tutto. Tra la vita e la morte non vi è una congruenza diretta, anzi, c’è uno scarto; essi non costituiscono due parti della stessa totalità e nella loro opposizione entrano in gioco altre forze. Queste forze che si frappongono tra la vita e la morte, sono il bene e il male. Con il bene la vita diventa più vita e quindi più umana; mentre, il male è morte e distruzione, meno vita e meno umana; non è difficile trovare confusione tra le due realtà e maggiore attrazione per ciò che è male. Proprio perché la relazione tra il bene è il male è una relazione di rottura, la relazione tra la vita e la morte è una relazione d rottura; mentre il male e quindi la morte è opera dell’uomo, la vita e quindi il bene non è esclusivo frutto dell’opera dell’uomo; l’uomo non si può dare la vita, ma la può accogliere come dono.
morte come distruzione e morte come soglia La morte toglie all’uomo la vita; la morte è un “no” alle ragioni della vita, le aggredisce nel loro valore e nel loro tendere alla felicità; la morte non può essere accettata ma va combattuta, per questo l’apostolo Paolo scrive: «l’ultimo nemico ad essere annientato sarà la morte.» (1Cor 15,26) La Scrittura dice che Dio non ha creato la morte e non ha posto nelle creature alcun seme di distruzione, la morte ha fatto il suo ingresso nella vita attraverso il peccato. (Sap 1,13-15) Se la morte è il male e la vita è il bene, l’unico modo per vincere la morte è vivere nel bene. Chi vive nel bene coglie la morte non come distruzione, ma come confine, come viaggio, come partenza per una terra sconosciuta, come soglia da varcare per accedere ad altro. Forse bisognerebbe utilizzare termini diversi per parlare della morte come distruzione e della morte come soglia, come viaggio verso una pienezza di vita; le due cose vanno mantenute nettamente distinte.
l’esperienza di amore Inoltre, morte e vita non sono solo categorie puramente fisiche, ma riguardano anche l’assumere e il rifiutare l’esperienza di amore, dunque la relazione con Dio e con il prossimo; c’è “una morte in vita”, quella di ogni uomo che si lascia ingannare da falsi valori e rinuncia a vivere nella libertà e nell’amore; e, c’è “una morte fisica”, quella che pone fine al processo biologico dell’uomo. Per parlare della morte come viaggio prendo come punto di riferimento uno dei racconti presenti nell’Antico Testamento e che narra l’ascensione al cielo del profeta Elia. Il racconto ci introduce nel mistero della “morte” di Elia e nell’inizio del ministero di Eliseo.
La morte di Gesù Se all’inizio della vita nascere vuol dire uscire dal corpo di nostra madre, poi, nascere davvero, completare la nascita, significa uscire da questo mondo che è segnato dal male che è morte, per entrare in un mondo dove è tutto bene; questo è il senso della morte di Gesù, che per noi è esemplare, nel senso che traccia il sentiero che ogni uomo può percorrere. Affermare la resurrezione dei morti, comporta per la Chiesa la capacità di maturare una visione antropologica che prende le distanze dal mondo della filosofia greca, che separa l’anima dal corpo e considera l’anima incorruttibile e immortale, e il corpo corruttibile e mortale. La visione cristiana dell’uomo considera l’uomo nella totalità della sua identità: anima e corpo, inscindibili e profondamente uniti. Questa visione globale dell’uomo, alla luce dell’esperienza storica della morte, pone il grosso interrogativo: in cosa consiste la risurrezione dei morti, visto che il corpo va in putrefazione?
L’uomo risorge Per rispondere a questo interrogativo dobbiamo procedere attraverso il dato biblico in confronto con le idee della filosofia di matrice greca, che tanto hanno influenzato il pensiero teologico della Chiesa. L’incontro tra le idee del mondo greco e la concezione biblica anticotestamentaria permette alla Chiesa di maturare una visione del mondo e della resurrezione inedita, rispetto al pensiero già esistente; la speranza nella resurrezione dei morti è la forma basilare della speranza biblica nella immortalità, che alla luce della resurrezione di Cristo viene non solo ricompresa, ma anche sviluppata ed approfondita.
Amato da Dio Il pensiero biblico presuppone l’assoluta indivisibilità dell’uomo; la risuscitazione dei morti, di cui parla la Scrittura, si riferisce alla totalità dell’uomo e non alla sola anima; l’idea di immortalità che la Bibbia esprime interessa e coinvolge la totalità della persona, corpo e anima; per il dato biblico, dopo la morte, l’uomo continua a sussistere in quanto uomo, anche se trasformato. La sussistenza dell’uomo nella sua totalità non è data dagli elementi della natura, ma dall’amore del Creatore, che tiene in sussistenza tutte le cose; l’uomo non può morire totalmente perché è conosciuto e amato da Dio; l’amore di Dio non solo lo vuole, ma anche lo crea, lo determina, e lo innesta nella sua eternità.
Nella comunione di tutti gli uomini Poiché il Creatore nel suo grande amore per l’uomo, non pensa soltanto all’anima, bensì all’uomo che si realizza nella corporeità della storia e a lui dona immortalità, essa deve chiamarsi risuscitazione dei morti, ossia degli uomini. Il fatto che questa forma di pienezza di vita sia attesa alla fine della storia, e nella comunione di tutti gli uomini, indica il carattere comunitario dell’immortalità umana, la quale sta in relazione con l’umanità intera di cui, per cui e con cui il singolo è vissuto e perciò è ora beato o infelice.
L’eternità di Dio Per l’uomo inteso alla maniera biblica, come unità di corpo e anima, la dimensione comunitaria è fondamentale e costitutiva, se egli deve sopravvivere questa sua dimensione non può essere esclusa. Con Cristo, l’uomo che forma una sola cosa con il Padre, l’uomo che è entrato nella eternità di Dio, la questione dell’umanità appare definitivamente risolta e completa. Cristo, però, è al contempo Parola di Dio rivolta all’umanità; in Lui il dialogo tra Dio e l’uomo è entrato in una nuova dimensione: in Lui la Parola di Dio si è fatta carne, inserendosi direttamente e senza nessuna mediazione nella nostra esistenza.