Corso di Diritto costituzionale comparato 2018-2019 Lezione 26 marzo 2019 Roberto Scarciglia Università di Trieste Dipartimento di Scienze politiche e Sociali Piazzale Europa, 1 34100 TRIESTE e-mail: roberto.scarciglia@dispes.units.it
Che cosa significa Brexit? L’anglicismo Brexit indica l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea, scelta dai cittadini britannici con il referendum del 23 giugno 2016. La parola è in uso in inglese dal 2012, inizialmente nella forma alternativa Brixit. È stata formata dalla fusione di British+exit sul modello di Grexit (Greek o Greece+exit), che però descriveva la possibile uscita della Grecia non dall’Ue ma dall’eurozona. Il Regno Unito ha avuto per decenni un rapporto ambiguo con l’Unione europea. Sin dal dopoguerra il Regno Unito non è stato particolarmente attivo nel favorire l’affermarsi dei primi soggetti giuridici comunitari.
Nel 1950, le Nazioni europee cercavano ancora di risollevarsi dalle conseguenze devastanti della Seconda guerra mondiale. Per la volontà comune di impedire il ripetersi di un simile conflitto, alcuni governi europei svilupparono l’idea che la fusione delle produzioni di carbone e acciaio avrebbe fatto sì che una guerra tra Francia e Germania, storicamente rivali, diventasse materialmente impossibile. Si pensava, giustamente, che mettere in comune gli interessi economici avrebbe contribuito ad innalzare i livelli di vita e sarebbe stato il primo passo verso un'Europa più unita. L’adesione alla CECA era aperta ad altri paesi.
La Dichiarazione Schuman, rilasciata dal ministro degli Esteri francese Robert Schuman il 9 maggio 1950, proponeva la creazione di una Comunità europea del carbone e dell'acciaio, i cui membri avrebbero messo in comune le produzioni di carbone e acciaio. La CECA (paesi fondatori: Francia, Germania occidentale, Italia, Paesi Bassi, Belgio e Lussemburgo) è stata la prima di una serie di istituzioni europee sovranazionali che avrebbero condotto a quella che sarebbe divenuta l’Unione europea.
18 aprile 1951 Sulla base del Piano Schuman sei Paesi firmano un Trattato per riunire le rispettive industrie pesanti sotto una gestione comune. In questo modo, nessuno di essi può fabbricare per sé armi da guerra da utilizzare contro gli altri, come in passato. I sei sono la Germania, la Francia, l’Italia, i Paesi Bassi, il Belgio e il Lussemburgo.
Lo EUROPEAN COMMUNITY ACT del 1972 è entrato in vigore il 1 gennaio 1973 e introduce nel sistema giuridico inglese il principio della diretta applicabilità del diritto comunitario. L’art. 2 dell’ECA recita: “tutti i diritti, poteri, responsabilità e restrizioni derivanti dai Trattati e tutti i rimedi e le procedura di volta in volta previsti dai Trattati sono, senza necessità di ulteriore promulgazione, efficaci nel Regno Unito e devono essere quindi riconosciuti e applicati”. Il Trattato di Lisbona – firmato a Lisbona il 13 dicembre 2007, e composto dal Trattato dell'Unione europea (TUE) e dal Trattato sul funzionamento dell’Unione – entrato in vigore il 1° dicembre 2009, introduce per la prima volta una clausola di recesso dall’Unione.
Clausola di recesso L'articolo 50 del trattato sull’Unione europea prevede un meccanismo di recesso volontario e unilaterale di un paese dall'Unione europea (UE). Il paese dell'UE che decide di recedere, deve notificare tale intenzione al Consiglio europeo, il quale presenta i suoi orientamenti per la conclusione di un accordo volto a definire le modalità del recesso di tale paese. Tale accordo è concluso a nome dell'Unione europea (UE) dal Consiglio, che delibera a maggioranza qualificata previa approvazione del Parlamento europeo. Qualsiasi Stato uscito dall'Unione può chiedere di aderirvi nuovamente, iniziando una ulteriore procedura di adesione.
I trattati cessano di essere applicabili al paese interessato a decorrere dalla data di entrata in vigore dell’accordo di recesso o due anni dopo la notifica del recesso. Il Consiglio può decidere di prolungare tale termine. CHE COSA È ACCADUTO IN GRAN BRETAGNA? Come abbiamo rilevato a proposito di metodologia, il diritto costituzionale e la sua comparazione comporta un rapporto con la storia. Possiamo in proposito prendere in considerazione la storia dell’adesione del Regno Unito alla CEE e alle altre Comunità negli anni 1971-1973 per vedere come gli organi costituzionali hanno esercitato le attribuzioni loro spettanti.
Nel 1975, si era già tenuto un referendum per restare a far parte delle Comunità europee – Do you think that the United Kingdom should stay in the European Community (the Common Market)? – che ha registrato il seguente risultato: United Kingdom European Community (Common Market) membership referendum, 1975 Choice Votes % SI 17,378,581 67.23 NO 8,470,073 32.77 Voti validi 25,848,654 99.79 Voti invalidi o schede bianche 54,540 0.59 Totale dei voti 25,903,194 100.00 Votanti registrati 40,086,677 64.67
Per comprendere la vicenda occorre partire dalla stipula da parte del Regno della “Nuova Intesa per il Regno Unito nell’Unione europea”, le cui trattative hanno avuto inizio nel 2015 e hanno trovato esplicita formalizzazione in occasione del Consiglio europeo del 18-19 febbraio 2016. Non si trattava di una decisione giuridicamente vincolante non avrebbe trovato attuazion in caso di formalizzazione del recesso da parte della Gran Bretagna, cui si riconosceva uno status (ulteriormente) privilegiato al Regno Unito in quattro settori: materia finanziaria, sovranità, welfare state e immigrazione.
Il progetto di referendum è incluso nel Discorso della Regina del 27 maggio 2015 (Queen’s Speech) all’insediamento del Governo Cameron. Il governo di Cameron ha poi confermato la convocazione entro la fine del 2017 di un referendum sull’appartenenza del Regno Unito all'Ue. “Una legge sarà presentata per organizzare un referendum sul mantenimento del Regno Unito nell’Unione Europea prima della fine del 2017” Dopo il referendum, seguirà una fase di rinegoziazioni delle condizioni di appartenenza del Regno Unito al gruppo dei 28. Il “governo rinegozierà le relazioni del Regno con l'Unione Europea e proseguirà la riforma dell'Ue”. Il discorso della Regina segna anche l’apertura del nuovo Parlamento uscito dalle elezioni del 7 maggio.
L’intesa raggiunta con il Regno Unito era volta ad assicurare a quest’ultimo ulteriori garanzie nel senso di mantenere una condizione differenziata circa l’attuazione delle politiche europee La trattativa e la conseguente adozione di tali misure rivelavano un atteggiamento di aperta diffidenza del Regno Unito nei riguardi della creazione di un “even closer Union”, confermando l’orientamento assunto in ordine al processo di integrazione europea sin dalla sua partecipazione allo stesso con l’approvazione dello European Community Act del 1972. Una volta raggiunto l’accordo con il Consiglio europeo, la scelta di Cameron di arrivare al referendum popolare sulla “Brexit”, più che mirare all’uscita della Gran Bretagna dall’UE, avrebbe dovuto perseguire lo scopo opposto.
Il raggiungimento della Nuova intesa con il Consiglio europeo avrebbe dovuto essere motivo per Cameron per condurre una propaganda organica e sistematica sull’opportunità non solo politica ma anche giuridica circa la permanenza in Europa. Al contrario, il Leader del Partito conservatore aveva mancato di valorizzare quanto ottenuto in sede europea in settori di particolare interesse e da sempre guardati con scrupolo nell’ordinamento inglese, ossia la governance economica, l’Unione monetaria e la protezione della sovranità nazionale.
La scelta di dare seguito alle intenzioni manifestate nell’ambito delle elezioni politiche del 2015 aveva determinato poi un’accesa campagna propagandistica nella quale il fulcro delle argomentazioni proposte riposava sulla importanza della permanenza dello Stato nell’Unione europea. La spaccatura interna al partito conservatore (che ha portato lo stesso Cameron a riconoscere ai propri Ministri la libertà di voto “secondo coscienza” al referendum), nonché il rafforzamento in seno al Parlamento europeo del partito indipendentista Ukip di Farage, promotore di un robusto filone antieuropeista, e, da ultimo, la debole campagna per il “Remain” promossa all’interno del partito laburista da Jeremy Corbyn
Il parlamento del Regno Unito approva lo European Union Referendum Act 2015 che prevede lo svolgimento di un referendum non vincolante da tenersi nel Regno Unito, nell’Irlanda del Nord e Gibilterra (REMAIN or LEAVE). L’Act è approvato in seconda lettura il 9 giugno 2015 con 544 voti favorevoli e 53 contrari alla Camera dei Comuni (contrario lo Scottish National Party) nonché il 14 dicembre 2015 dalla Camera dei Lords. La Regina ha dato il Royal Assent il 17 dicembre 2015. La legge è stata a sua volta approvata dal Parlamento di Gibilterra e ha ricevuto il parere conforme del Governatore di Gibilterra il 28 gennaio 2016.
Poi, dopo l’omicidio della deputata laburista Jo Cox il 16 giugno e la sospensione temporanea della campagna referendaria, i sondaggi avevano di nuovo previsto una vittoria del Remain
Referendum sulla permanenza del Regno Unito nell'Unione europea Il Regno Unito non ha disposizioni costituzionali che impongono di rispettare i risultati di un referendum da attuare, a differenza, ad esempio, della Repubblica d'Irlanda, dove la Costituzione prevede i casi in cui deve essere tenuto un referendum vincolante REFERENDUM DEL 23 GIUGNO 2016 Referendum sulla permanenza del Regno Unito nell'Unione europea Esito Restare nell'Unione europea (Remain) 48,1% Lasciare l'Unione europea (Leave) 51,9% (affluenza: 72,2%)
Significativa è la divisione dell’espressione di voto tra le quattro nazioni appartenenti al Regno Unito: netta preferenza per il Remain in Scozia e nell’Irlanda del Nord e, al contrario, a favore del Leave da parte dell’Inghilterra (ma non di Londra) e del Galles. Il voto referendario del 23 giugno, il quale ha avuto l’immediato effetto di far cadere il governo Cameron e di portare alla nascita del nuovo governo conservatore guidato da Theresa May che si sarebbe di conseguenza dovuta occupare della complessa questione dell’uscita dall’Unione Europea.
Secondo le regole del partito è compito dei parlamentari conservatori selezionare i candidati per la carica attraverso votazioni successive che permettano di individuare i due nomi sottoposti poi al voto degli iscritti al partito. Dopo la sorpresa della rinuncia di Boris Johnson a partecipare alla sfida, a seguito della prima votazione del 5 luglio Theresa May, ministro dell’interno del governo Cameron aveva ottenuto 165 voti, Andrea Leadsom, ministro dell’Energia, 66, Michael Gove 48, Stephen Crabb 34 e Liam Fox 16. Fox è stato escluso, Crabb si è ritirato ed entrambi hanno dato il loro sostegno alla May. Alla seconda votazione dell’8 luglio la May ha ottenuto 199 voti, Andrea Leadsom 84 e Michael Gove, 44, uscendo così dalla contesa. L’11 luglio, poi, Andrea Leadsom ha rinunciato alla corsa
Leadsom ha deciso di ritirarsi Leadsom ha deciso di ritirarsi. La May è così rimasta l’unica candidata e pertanto, secondo le regole del partito, non è stato necessario il voto degli iscritti e il 13 luglio Theresa May sostituiva David Cameron alla guida del partito e alla premiership. Dobbiamo ricordare che il 13 luglio, dopo aver affrontato il suo ultimo Prime Minister’s Question Time, Cameron si è recato dalla regina Elisabetta per rassegnare le sue dimissioni e Theresa May, nuova leader del partito conservatore, è divenuta premier del Regno. Figlia di un pastore anglicano, laureata a Oxford, la May siede in parlamento del 1997 ed è stata ministro degli interni fin dal 2010. È la seconda donna a rivestire la carica di Primo Ministro del Regno Unito, dopo la Thatcher.
Due i nuovi ministeri creati per affrontare l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea: il Department for Exiting the European Union, guidato da David Davis – anche lui sostenitore del Leave – e il Department for International Trade guidato da Liam Fox, un chiaro segno che il governo May non intende tornare indietro sulla Brexit.
Nel governo siedono insieme le due anime dei conservatori i Leavers e i Remainers al Regno Unito L’opposizione laburista non è riuscita ad approfittare della crisi di governo per mostrarsi all’elettorato come concreta alternativa all’esecutivo in carica, nel rispetto del modello Westminster, dato che il Partito è stato travolto da una crisi interna.
Realtivamente alla Brexit la maggioranza dei parlamentari sia ai Comuni che ai Lords è contraria all’uscita, mentre il governo May – diviso sul tema – si è impegnato a dar corso all’esito referendario. parlamento e governo hanno una visione diversa del ruolo che dovranno svolgere in detto processo, tanto che sarà interessante conoscere l’esito delle diverse cause di judicial review su cui si pronuncerà la High Court nel mese di ottobre, cause in cui è stata contestata la scelta dell’esecutivo di attivare la procedura di recesso dall’Unione Europea, prevista dall’art. 50 del Trattato di Lisbona, senza un preventivo voto del parlamento.
Governo e parlamento non hanno espresso solo posizioni diverse sulla Brexit, ma anche su altri temi tra cui quelli della riforma dello Human Rights Act e della revisione dei poteri della Camera dei Lords. Il governo Cameron aveva annunciato, nel discorso della Corona, di voler aprire una fase consultiva in vista della sostituzione dello Human Rights Act 1998 con un “British Bill of Rights”. proposta che incontrava il deciso sostegno anche della nuova Premier. Tuttavia, sempre nel mese di maggio, l’House of Lords European Union Committee pubblicava un rapporto molto critico su tale riforma, esprimendo la sua decisa contrarietà all’abrogazione dello Human Rights Act.
Ruolo dei Parlamenti Un tema sollevato dal referendum è rappresentato dal ruolo del Parlamento e, in particolare, se sia necessario che il Parlamento si pronunci successivamente oppure possa il Primo ministro dare esecuzione alla volontà espressa dai cittadini. Bisogna ricordare che tanto il Parlamento del Regno Unito, il Parlamento europeo e, con ogni probabilità, ciascuno dei parlamenti degli Stati membri dell’UE potranno esercitare poteri di veto sui termini del negoziato per la Brexit previsti dall’art. 50 del TUE. Tuttavia, la Premier Theresa May manifesta l’intenzione di attivare la procedura di recesso senza una preliminare consultazione con il Parlamento
dal momento che il Leave era stato espresso con un referendum, strumento di democrazia diretta, anche se di carattere consultivo, secondo le previsioni del EU Referendum Act del 2015. Due cittadini britannici di origini sudamericane) Gina Miller and Dier Tozetti Dos Santos presentarono ricorso contro la decisione del Primo ministro chiedendo all’Alta Corte di Londra che l’ultima parola sull'uscita della Gran Bretagna dall'Europa dovesse spettare al Parlamento. Davanti all’High Court si discusse la causa R (Miller) -v- Secretary of State for Exiting the European Union
l’Alta Corte di Londra ha stabilito che solo il Parlamento ha il potere di attivare la Brexit e che il governo dovrà ottenerne il consenso per avviare la procedura di divorzio dall’Ue. Dibattito sulle Prerogative Reali L’attivazione del percorso di fuoriuscita dall’Unione Europea, disciplinato dall’art. 50 del TUE, è un atto di natura duumvirale, ossia richiede una preventiva manifestazione di volontà del Parlamento per autorizzare il Governo a comunicare alle istituzioni comunitarie la decisione adottata dal sistema costituzionale britannico.
la Corte ha osservato che l’art la Corte ha osservato che l’art. 50 TUE, nella sua formulazione, debba intendersi come irrevocabile. Pertanto, allo scadere del termine di due anni dal momento in cui le istituzioni britanniche dovessero notificare al Consiglio europeo la volontà di recedere dall’Unione, in caso non si addivenisse ad alcun accordo condiviso e salvo proroga votata all’unanimità dai Paesi membri, i trattati cesserebbero di trovare applicazione per il Regno Unito, indipendentemente dallo European Community Act del 1972.
Il Governo ha presentato ricorso in appello alla Corte Suprema, che il 24 gennaio 2017 ha confermato la decisione della Corte di Londra, escludendo, tuttavia, qualunque potere di veto da parte delle Assemblee di Scozia, Galles e Irlanda del Nord sulla Brexit. Iter parlamentare L’8 febbraio 2017 la maggioranza dei deputati della Camera dei Comuni del parlamento britannico ha approvato in terza e ultima lettura il disegno di legge che permetterà al governo di invocare l’articolo 50 del Trattato di Lisbona per l’uscita dall’Unione Europea Il disegno di legge è stato approvato senza alcuna modifica: tutti gli emendamenti presentati sono stati respinti e alla fine i voti favorevoli sono stati 494, i contrari 122.
Il 29 marzo 2017, l’ambasciatore del Regno Unito presso l'Unione europea consegna ufficialmente la lettera del primo ministro Theresa May al presidente del Consiglio europeo Donald Tusk, dando così l'avvio alla procedura dell'articolo 50 Il 29 aprile 2017 il Consiglio europeo, a 27 (senza il Regno Unito), ha adottato gli orientamenti per i negoziati sulla Brexit 19 giugno 2017 prima sessione dei negoziati d’uscita a Bruxelles 2 luglio 2017, il Governo inglese annuncia l'abbandono della convenzione sulla pesca del 1964
12 settembre 2017, La Camera dei comuni approva il Great Repeal Bill, la legge quadro che assorbe la legislazione europea in quella nazionale ed abroga l'European Communities Act del 1972 il Great Repeal Bill convertirà le norme europee in diritto interno, al tempo stesso permettendo al Governo britannico di decidere quali norme e regolamenti mantenere post-Brexit. Si confida che ciò varrà a rassicurare imprese, lavoratori e consumatori sul fatto che non dovranno affrontare cambiamenti inaspettati nel giorno della Brexit. Il Great Repeal Bill abrogherà l’European Communities Act del 1972, che aveva formalizzato l’adesione del Regno Unito all’Unione e attribuito al diritto europeo il primato sulla legislazione nazionale.
Il White Paper del Governo sul disegno di legge afferma che una semplice trasposizione della legislazione europea potrebbe essere problematica, in quanto molte leggi dell’Unione non saranno più applicabili al di fuori del contesto europeo. Infine, il disegno di legge ha altresì lo scopo di porre fine alla giurisdizione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea nel Regno Unito. La premier britannica Theresa May concorda con l'Unione europea che il Regno Unito aderirà alle quattro libertà richieste per poter particepare al mercato unico europeo anche dopo il 29 marzo 2019, finché non troverà una soluzione per poter controllare il flusso di merci e persone da e verso l'Irlanda, senza implementare controlli di frontiera.
A seguito di un incontro svoltosi a Strasburgo l'11 marzo 2019, il Presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, e il Primo Ministro, Theresa May, avevano annunciato di aver concordato di integrare l' accordo di recesso del Regno Unito dall'UE e la dichiarazione sul quadro delle future relazioni, con tre ulteriori atti volti a dare assicurazioni al Regno Unito sulla natura della cosiddetta clausola di backstop per il confine tra Irlanda e Irlanda del Nord .
La parola backstop è una delle più usate quando si parla dell’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea. Si traduce con “rete di protezione”: una soluzione “di sicurezza” sul confine tra Irlanda e Irlanda del Nord nel caso i negoziatori europei e britannici non trovino un accordo complessivo su Brexit. Contrariamente al resto delle parole più usate per la Brexit, backstop ha un’origine nel gioco del baseball.
Il backstop per la Brexit invece viene descritto come una assicurazione che permetterà di avere un confine non rigido tra l’Irlanda del Nord – che fa parte del Regno Unito – e la Repubblica dell’Irlanda una volta formalizzata la separazione del Regno Unito dal resto dell’Unione Europea. In pratica, la situazione rimarrebbe uguale a quella attuale malgrado l’entrata in vigore del nuovo “confine”: l’Irlanda del Nord rimarrebbe nel mercato comune europeo e nell’unione doganale senza quindi che vengano ripristinati i controlli alla frontiera con l’Irlanda.
L’integrazione dell’accordo di recesso, costituisce: uno strumento interpretativo congiunto dell'UE e del Regno Unito dell'accordo di recesso giuridicamente vincolante - che, in particolare, ribadendo quanto già previsto dall'accordo di recesso, prevede l'impegno delle parti ad avviare immediatamente ed a concludere entro il 31 dicembre 2020 i negoziati per un accordo che contenga soluzioni alternative volte ad assicurare l'assenza di un confine fisico tra Irlanda e Irlanda del Nord, rendendo dunque non necessario ricorrere alla clausola di backstop ed indica che il Regno Unito, nel caso in cui l'UE non si impegni in buona fede a negoziare tale nuovo accordo con il Regno Unito, potrebbe adire un collegio arbitrale per la sospensione della clausola di backstop;
una dichiarazione congiunta dell'UE e del Regno Unito sul quadro delle future relazioni tra UE e Regno Unito, che impegna entrambe le parti a sviluppare nuove tecnologie alla frontiera tra Irlanda e Irlanda del Nord per sostituire la necessità della clausola di backstop entro il 2020 una dichiarazione unilaterale del Regno Unito nella quale si indica che, nel caso in cui l'UE non agisca in buona fede al fine di negoziare un accordo commerciale con il Regno Unito che garantisca il superamento della clausola di backstop, il Regno Unito è titolato ad avviare una procedura volta al superamento della clausola di backstop.
La House of Commons, in una sequenza di votazioni su diverse mozioni presentate dal Governo dal 12 al 14 marzo scorso, ha respinto, il 12 marzo, l' accordo di recesso La dichiarazione sul quadro delle future relazioni tra UE e Regno Unito gli atti aggiuntivi che sono stati concordati tra UE e Regno Unito l'11 marzo 2019 Il 13 marzo ha approvato una mozione con la quale respinge la possibilità di recedere dall'UE senza un accordo (cosiddetto No Deal) ora e in futuro e il 14 marzo ha approvato una mozione a favore di un'eventuale estensione del periodo previsto all'art. 50 del Trattato sull'Unione europea
Secondo la mozione approvata il 14 marzo, tale estensione avrebbe dovuto avere una durata limitata al 30 giugno 2019, in caso fosse stato approvato un accordo da parte della House of Commons entro il 20 marzo 2019 ovvero una durata da definire in seno al Consiglio europeo in caso contrario, tale comunque da prevedere la partecipazione del Regno Unito alle prossime elezioni europee
Il Consiglio europeo del 21 marzo 2019, riunito a 27 Stati membri, ha adottato delle conclusioni con le quali ha: preso atto della lettera del Primo Ministro, Theresa May, del 20 marzo 2019 (v. infra); approvato lo strumento relativo all'accordo di recesso e la dichiarazione congiunta integrativa della dichiarazione politica, concordati tra la Commissione europea e il Governo del Regno Unito a Strasburgo l'11 marzo 2019 acconsentito a una proroga fino al 22 maggio 2019, a condizione che l'accordo di recesso sia approvato dalla Camera dei Comuni
Se l'accordo di recesso non sarà approvato dalla Camera dei Comuni, il Consiglio europeo acconsente a una proroga fino al 12 aprile 2019 e si attende che il Regno Unito indichi prima di tale data il percorso da seguire, in vista dell'esame da parte del Consiglio europeo; ribadito che non è possibile riaprire l'accordo di recesso che è stato concordato tra l'Unione e il Regno Unito nel novembre 2018 e che ogni impegno, dichiarazione o altro atto unilaterale dovrebbe essere compatibile con la lettera e lo spirito dell'accordo di recesso; chiesto di proseguire i lavori sulle misure di preparazione e di emergenza a tutti i livelli, per far fronte alle conseguenze del recesso del Regno Unito, prendendo in considerazione tutti gli esiti possibili
Nelle comunicazione sugli esiti del Consiglio europeo del 21 e 22 marzo, svolte alla House of Commons il 25 marzo, il Primo Ministro Theresa May, ha indicato che «al momento non vi sono le condizioni per sottoporre nuovamente l'accordo di recesso al voto e che proseguirà i contatti con le forze politiche, non escludendo la possibilità di un voto più in là nel corso della settimana. A seguito delle comunicazioni del Primo Ministro, la House of Commons ha approvato (329 voti a favore, 302 contro) un emendamento alla mozione del Governo, presentato dal deputato conservatore Oliver Letwin, con il quale si prevede lo svolgimento dalla parte della House of Commons nella giornata del 27 marzo, ha indicato che
di una serie di votazioni indicative su alternative all'accordo di recesso negoziato dal Governo (alternative che non sono state ancora presentate) con le quali procedere nel processo della Brexit Possibile uscita del Regno Unito dall'UE senza accordo a partire dal 12 aprile 2019, sulla base delle conclusioni del Consiglio europeo adottate il 21 marzo 2019, in caso di mancata approvazione dell'accordo entro la settimana dal 25 al 31 marzo 2019