Prof.ssa Paola Avallone - Insegnamento di“Letteratura Italiana” Con gli Occhi dei Poeti percorsi tematici: La Guerra Unitre Napoli -Vomero anno accademico.

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Transcript della presentazione:

prof.ssa Paola Avallone - Insegnamento di“Letteratura Italiana” Con gli Occhi dei Poeti percorsi tematici: La Guerra Unitre Napoli -Vomero anno accademico 2016/2017

La II Guerra Mondiale

Bertolt Brecht (1898-1956) La guerra che verrà non è la prima. Prima ci sono state altre guerre. Alla fine dell’ultima c’erano vincitori e vinti. Fra i vinti la povera gente faceva la fame. Fra i vincitori faceva la fame la povera gente egualmente. La guerra che verrà Composta alla vigilia della II Guerra Mondiale fa parte della raccolta Poesie e Canzoni pubblicata nel 1961

Generale, il tuo carro armato è una macchina potente Bertolt Brecht (1898-1956) Generale, il tuo carro armato è una macchina potente Generale, il tuo carro armato è una macchina potente spiana un bosco e sfracella cento uomini. Ma ha un difetto: ha bisogno di un carrista. Generale, il tuo bombardiere è potente. Vola più rapido d’una tempesta e porta più di un elefante. Ma ha un difetto: ha bisogno di un meccanico. Generale, l’uomo fa di tutto. Può volare e può uccidere. Ma ha un difetto: può pensare.

Non sa più nulla, è alto sulle ali  il primo caduto bocconi sulla spiaggia normanna.  Per questo qualcuno stanotte  mi toccava la spalla mormorando  di pregar per l’Europa  mentre la Nuova Armada  si presentava alle coste di Francia.  Ho risposto nel sonno: “È il vento,  il vento che fa musiche bizzarre.  Ma se tu fossi davvero  il primo caduto bocconi sulla spiaggia normanna  prega tu se lo puoi, io sono morto  alla guerra e alla pace.  Questa è la musica ora:  delle tende che sbattono sui pali.  Non è musica d’angeli, è la mia  sola musica e mi basta”.  Vittorio Sereni (1913-1983) Non sa più nulla, è alto sulle ali «giugno 1944 – Campo Ospedale» in Diario d’Algeria - 1947

Salvatore Quasimodo (1901-1968) Invano cerchi tra la polvere, povera mano, la città è morta. È morta: s’è udito l’ultimo rombo sul cuore del Naviglio. E l’usignolo è caduto dall’antenna, alta sul convento, dove cantava prima del tramonto. Non scavate pozzi nei cortili: i vivi non hanno più sete. Non toccate i morti, così rossi, così gonfi: lasciateli nella terra delle loro case: la città è morta, è morta. MILANO, AGOSTO 1943 Giorno dopo Giorno - 1947

Salvatore Quasimodo (1901-1968) E come potevano noi cantare  con il piede straniero sopra il cuore,  fra i morti abbandonati nelle piazze  sull'erba dura di ghiaccio, al lamento  d'agnello dei fanciulli, all'urlo nero  della madre che andava incontro al figlio  crocifisso sul palo del telegrafo?  Alle fronde dei salici, per voto,  anche le nostre cetre erano appese,  oscillavano lievi al triste vento. Alle fronde dei salici 1944 Giorno dopo Giorno - 1947

Franco Fortini (1917-1994) Sulla spalletta del ponte Le teste degli impiccati Nell’acqua della fonte La bava degli impiccati. Sul lastrico del mercato Le unghie dei fucilati Sull’erba secca del prato I denti dei fucilati. Mordere l’aria mordere i sassi La nostra carne non è più d’uomini Mordere l’aria mordere i sassi Il nostro cuore non è più d’uomini. Ma noi s’è letta negli occhi dei morti E sulla terra faremo libertà Ma l’hanno stretta i pugni dei morti La giustizia che si farà. CANTO DEGLI ULTIMI PARTIGIANI 1944 in Foglio di via - 1946

Giuseppe Ungaretti (1888-1970) Cessate d'uccidere i morti,  non gridate più, non gridate  se li volete ancora udire,  se sperate di non perire.  Hanno l'impercettibile sussurro,  non fanno più rumore  del crescere dell'erba, lieta dove non passa l'uomo. Non gridate più Il dolore - 1947

anche adesso ne ho sette perché i bambini morti non diventano grandi anche adesso ne ho sette perché i bambini morti non  diventano grandi. Avevo dei lucidi capelli, il fuoco li ha strinati, avevo dei begli occhi limpidi, il fuoco li ha fatti di vetro. Un pugno di cenere, quella sono io poi il vento ha disperso anche la cenere. Apritemi; vi prego non per me perché a me non occorre né il pane né il riso: non chiedo neanche lo zucchero, io: a un bambino bruciato come una foglia secca non serve. Per piacere mettete una firma, per favore, uomini di tutta la terra firmate, vi prego, perché il fuoco non bruci i bambini e possano sempre mangiare lo zucchero Nazim Hikmet (1902-1963) LA BAMBINA DI HIROSHIMA da Poesie - 1960 “Apritemi sono io… busso alla porta di tutte le scale ma nessuno mi vede  perché i bambini morti nessuno riesce a vederli. Sono di Hiroshima e là sono morta tanti anni fa. Tanti anni passeranno. Ne avevo sette, allora:

Alfonso Gatto (1909-1976) La chiusa angoscia delle notti, il pianto  delle mamme annerite sulla neve  accanto ai figli uccisi, l’ululato  nel vento, nelle tenebre, dei lupi  assediati con la propria strage,  la speranza che dentro ci svegliava  oltre l’orrore le parole udite  dalla bocca fermissima dei morti  “Liberate l’Italia, Curiel vuole essere avvolto nella sua bandiera”.  Tutto quel giorno ruppe nella vita  con la piena del sangue, nell’azzurro  il rosso palpitò come una gola.  E fummo vivi, insorti con il taglio  ridente della bocca, pieni gli occhi,  piena la mano nel suo pugno: il cuore  d’improvviso ci apparve in mezzo al petto.  25 aprile Il capo sulla neve 1947  

Salvatore Quasimodo (1901-1968) Sei ancora quello della pietra e della fionda, uomo del mio tempo. Eri nella carlinga, con le ali maligne, le meridiane di morte, -t’ho visto- dentro il carro di fuoco, alle forche, alle ruote di tortura. T’ho visto: eri tu, con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio, senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora, come sempre, come uccisero i padri, come uccisero, gli animali che ti videro per la prima volta. E questo sangue odora come nel giorno quando il fratello disse all’altro fratello: “Andiamo ai campi”. E quell’eco fredda, tenace, è giunta fino a te, dentro la tua giornata. Dimenticate, o figli, le nuvole di sangue salite dalla terra, dimenticate i padri: le loro tombe affondano nella cenere, gli uccelli neri, il vento, coprono il loro cuore. Salvatore Quasimodo (1901-1968) Uomo del mio tempo 1946 Giorno dopo Giorno - 1947

Primo Levi (1919-1987) che non conosce pace che lotta per mezzo pane che muore per un sì o per un no. Considerate se questa è una donna, senza capelli e senza nome senza più forza di ricordare vuoti gli occhi e freddo il grembo come una rana d'inverno. Meditate che questo è stato: vi comando queste parole. Scolpitele nel vostro cuore Primo Levi (1919-1987) Shemà 10 gennaio 1946 in Se questo è un uomo - 1947 Voi che vivete sicuri Nelle vostre tiepide case, voi che trovate tornando a sera il cibo caldo e visi amici: considerate se questo è un uomo che lavora nel fango

Primo Levi (1919-1987) La bambina di Pompei in Ad ora incerta - 1947 Così tu rimani fra noi, contorto calco di gesso, agonia senza fine, terribile testimonianza di quanto importi agli dei l’orgoglioso nostro seme. Ma nulla rimane fra noi della tua lontana sorella, della fanciulla d’Olanda murata fra quattro mura che pure scrisse la sua giovinezza senza domani: la sua cenere muta è stata dispersa dal vento, la sua breve vita rinchiusa in un quaderno sgualcito. Nulla rimane della scolara di Hiroshima, ombra confitta nel muro dalla luce di mille soli. Vittima sacrificata sull’altare della paura. Potenti della terra padroni di nuovi veleni, tristi custodi segreti del tuono definitivo, ci bastano d’assai le afflizioni donate dal cielo. Prima di premere il dito, fermatevi e considerate. La bambina di Pompei in Ad ora incerta - 1947 Poiché l’angoscia di ciascuno è la nostra ancora riviviamo la tua, fanciulla scarna che ti sei stretta convulsamente a tua madre quasi volessi ripenetrare in lei quando al meriggio il cielo si è fatto nero. Invano, perché l’aria volta in veleno è filtrata a cercarti per le finestre serrate della tua casa tranquilla dalle robuste pareti lieta già del tuo canto e del tuo timido riso. Sono passati i secoli, la cenere si è pietrificata a incarcerare per sempre codeste membra gentili.