La lingua della politica in Italia

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Transcript della presentazione:

La lingua della politica in Italia 3. I linguaggi settoriali e la lingua della politica

Le lingue speciali Alcune varietà diafasiche sono legate non solo alla situazione comunicativa e al contesto ma anche all’ambito lavorativo e/o professionale di chi parla o scrive e alla disciplina di studio dell’argomento oggetto della comunicazione. Si tratta di linguaggi che sono usati da un gruppo di parlanti più ristretto (rispetto a quelli che parlano la lingua base) e che devono soddisfare le esigenze comunicative di un certo settore specialistico.

Le lingue speciali Uno dei tratti distintivi delle lingue speciali è la loro referenzialità (il riferimento a significati oggettivi), ovvero la loro neutralità emotiva. Le parole sono usate in funzione denotativa (descrittiva) e non in funzione connotativa (marcata da valenze affettive). Nella chimica, per esempio, la parola ossigeno indica solo l’elemento caratterizzato dal simbolo O, e non assume mai l’accezione di ‘sollievo’ (soprattutto finanziario) che ha nella lingua comune (con questo prestito avrò un po’ d’ossigeno fino a fine mese). A livello linguistico, le lingue speciali si caratterizzano soprattutto per determinate scelte lessicali (ma sono importanti anche le soluzioni morfologiche e sintattiche).

Linguaggi specialistici e linguaggi settoriali All’interno delle lingue speciali si può operare una prima distinzione tra linguaggi specialistici e linguaggi settoriali. I linguaggi specialistici sono varietà con un alto grado di specializzazione che appartengono alle cosiddette scienze “dure”, ovvero a discipline scientifiche o tecniche come la matematica, la fisica, la chimica, la medicina, la linguistica e l’informatica. I linguaggi settoriali sono usi linguistici legati a settori di studio o ambiti professionali non specialistici come il giornalismo, la burocrazia, il diritto, lo sport.

I tecnicismi Il lessico di queste varietà linguistiche si caratterizza per la presenza di parole tecniche, dette appunto tecnicismi, che possono essere distinte in due categorie: tecnicismi specifici tecnicismi collaterali

I tecnicismi specifici I tecnicismi specifici sono parole che appartengono alla nomenclatura di una disciplina e che non possono essere sostituiti da un sinonimo. Sono tecnicismi specifici: termini con i quali vengono definiti concetti, nozioni e strumenti tipici di una disciplina particolare, molti sconosciuti ai profani (come evizione ‘perdita totale o parziale dei diritti di proprietà su un bene legittimamente rivendicato da un terzo’), altri ormai entrati nel lessico comune (come indulto, per restare nel campo giuridico); Parole di uso comune alle quali viene però assegnato un significato specifico attraverso un meccanismo che viene detto di rideterminazione (è il caso del termine lavoro, che nel linguaggio della fisica ha assunto il significato di ‘spostamento del punto di applicazione di una forza’).

I tecnicismi collaterali Si definiscono tecnicismi collaterali quelle parole e quei costrutti ai quali si potrebbe facilmente sostituire un sinonimo e che vengono usati non per effettive necessità comunicative ma per l’opportunità di adottare un registro elevato, distinto dal linguaggio comune (un malato dirà che sente o prova un forte dolore alla bocca dello stomaco ma il medico sulla cartella clinica scriverà che il paziente accusa, lamenta o riferisce un vivo dolore nella regione epigastrica).

Linguaggio settoriale e morfologia Caratteristiche di un linguaggio settoriale possono essere anche alcune soluzioni morfologiche, ovvero il ricorso a particolari affissi (prefissi e suffissi) o affissoidi (prefissoidi e suffissoidi) per creare nuove parole (così da cloro il linguaggio chimico ricava clorico, clorato, cloruro, cloridrico; per gli affissoidi basti pensare alla produttività del suffissoide -patìa).

Linguaggio settoriale e sintassi Anche alcune scelte sintattiche possono rientrare tra le caratteristiche di un linguaggio settoriale. Nel linguaggio burocratico, per esempio, sono molto sfruttate formule come al fine di ‘per’, nell’atto di ‘mentre’, a mezzo ‘con’, e si tende a usare il participio presente in funzione verbale (la ricevuta attestante ‘che attesta’ il pagamento, lo scrivente ufficio).

Un esempio di burocratese: l’antilingua del brigadiere Nel 1965, sulle colonne del quotidiano «Il Giorno», Italo Calvino coniò il termine “antilingua” per definire il linguaggio burocratico, tipico degli uffici e delle pubbliche amministrazioni, ma diffuso in altri settori della comunicazione, nei giornali e in televisione (e noi possiamo aggiungere: nella politica). Queste le parole di Calvino: «Ogni giorno, soprattutto da cent’anni a questa parte, per un processo ormai automatico, centinaia di migliaia di nostri concittadini traducono mentalmente con la velocità di macchine elettroniche la lingua italiana in un’antilingua inesistente. Avvocati e funzionari, gabinetti ministeriali e consigli d’amministrazione, redazioni di giornali e di telegiornali scrivono parlano pensano nell’antilingua».

Un esempio di burocratese: l’antilingua del brigadiere Alle categorie professionali citate da Calvino potremmo aggiungere di fatto tutti noi, in quanto cittadini destinatari e al tempo stesso emittenti di messaggi scritti in burocratese. Contratti di lavoro, reclami alle aziende che gestiscono servizi come i trasporti pubblici, documenti e certificati da presentare nei pubblici uffici sono solo alcuni degli esempi possibili. Questo spiega come molti vocaboli, movenze sintattiche e stilemi tipici del burocratese si siano potuti trasferire nel linguaggio comune. A ricorrere a elementi lessicali e formali del burocratese sono soprattutto le persone meno istruite che, trovandosi in un contesto formale, li usano per cercare di adeguarsi alla situazione comunicativa.

Un esempio di burocratese: l’antilingua del brigadiere Calvino ha offerto anche una celebre parodia di questa traduzione dalla lingua italiana all’antilingua immaginando la riformulazione della deposizione del testimone di un furto nel verbale di un brigadiere:

Un esempio di burocratese: l’antilingua del brigadiere Il brigadiere è davanti alla macchina da scrivere. L’interrogato, seduto davanti a lui, risponde alle domande un po’ balbettando, attento a dire tutto quel che ha da dire nel modo più preciso e senza una parola di troppo: «Stamattina presto andavo in cantina ad accendere la stufa e ho trovato tutti quei fiaschi di vino dietro la cassa del carbone. Ne ho preso uno per bermelo a cena. Non ne sapevo niente che la bottiglieria di sopra era stata scassinata».

Un esempio di burocratese: l’antilingua del brigadiere Impassibile, il brigadiere batte veloce sui tasti la sua fedele trascrizione: «Il sottoscritto essendosi recato nelle ore antimeridiane nei locali dello scantinato per eseguire l’avviamento dell’impianto termico, dichiara d’essere casualmente incorso nel rinvenimento di un quantitativo di prodotti vinicoli, situati in posizione retrostante al recipiente adibito al contenimento del combustibile, e di aver effettuato l’asportazione di uno dei detti articoli nell’intento di consumarlo durante il pasto pomeridiano, non essendo a conoscenza dell’avvenuta effrazione dell’esercizio soprastante».

Il linguaggio politico è un linguaggio settoriale? Il linguaggio politico viene solitamente indicato come un linguaggio settoriale ma, a ben vedere, non presenta nessuno dei tratti che abbiamo esaminato, ovvero: la specializzazione; la referenzialità o neutralità emotiva; i tecnicismi.

Il linguaggio politico è un linguaggio settoriale? Il linguaggio politico non dipende da un settore di conoscenze o da un ambito di conoscenze specialistico; anzi, per definizione, la comunicazione è rivolta all’intera collettività e non a una cerchia ristretta di addetti ai lavori. L’intento della comunicazione politica non è quello di comunicare contenuti dimostrabili scientificamente ma quello di convincere gli elettori facendo leva, in parte, anche su contenuti emotivi. Se si esclude un nucleo terminologico di base (parlamento, senato, seggio elettorale), il linguaggio politico non presenta un lessico caratteristico ma tende piuttosto ad assorbire tecnicismi e stilemi propri di settori contigui (come il diritto, la finanza, l’economia e la burocrazia) oppure capaci di produrre metafore con funzione espressiva (come lo sport e la pubblicità).

Il linguaggio politico è un linguaggio settoriale? L’elemento “settoriale” del linguaggio politico è affidato unicamente al soddisfacimento di precise (per quanto varie) strategie comunicative che vengono elaborate grazie anche a sondaggi e indagini statistiche e con una grande consapevolezza degli strumenti linguistici e retorici da impiegare.