Il testamento biologico

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Il testamento biologico Anna Dalle Ore

1990 Milano “Biocard” o “Carta di autodeterminazione” I “provvedimenti di sostegno vitale” a cui il disponente può rinunciare sono definiti “misure urgenti senza le quali il processo della malattia porta in tempi brevi alla morte”. Tali provvedimenti comprendono, secondo il modulo: 1. “la rianimazione cardiopolmonare in caso di arresto cardiaco; 2. la ventilazione assistita; 3. La dialisi (rene artificiale); 4. la chirurgia d’urgenza; 5. le trasfusioni di sangue; 6. le terapie antibiotiche; 7. l’alimentazione artificiale”.

Gli estensori della “Biocard” specificavano che “l’Associazione si sta adoperando affinché una proposta di legge in tal senso sia presentata in Parlamento”. L’obiettivo della “Biocard” sarebbe quello di rendere il soggetto “padrone” delle proprie scelte terapeutiche, permettendogli di decidere in anticipo i trattamenti cui vorrà o non vorrà sottoporsi nell’eventualità di una futura perdita totale o parziale “della capacità di comprendere o di comunicare”. La considerazione che accompagna il proposito è che “la medicina di oggi (…) consente di prolungare la vita del paziente in condizioni non dignitose”, aumentando le sofferenze e dando luogo all’accanimento terapeutico.

art. 9 Convenzione di Oviedo “I desideri precedentemente espressi a proposito di un intervento medico da parte di un paziente che, al momento dell’intervento, non è in grado di esprimere la sua volontà saranno tenuti in considerazione”.

art. 12 Codice di Deontologia Medica “Il medico, se il paziente non è in grado di esprimere la propria volontà in caso di grave pericolo di vita, non può non tenere conto di quanto precedentemente manifestato dallo stesso”.

La Commissione Oleari Nel 2000 il Ministro Umberto Veronesi costituisce un gruppo di studio attorno al tema Nutrizione e idratazione nei soggetti in stato di irreversibile perdita della coscienza, presieduto dal Dott. Fabrizio Oleari. Nel rapporto si legge che nei pazienti in stato vegetativo persistente...

“è andata perduta definitivamente la funzione che più di ogni altra identifica l’essenza umana. Essi (così come il feto prima del terzo mese (…) o il bambino nato anencefalico) sono esseri umani puramente vegetativi, la cui “sopravvivenza”è affidata ai presidi che i parenti e la società sono capaci o disposti ad offrire”; dunque: occorre riaffermare l’ “autonomia anche per i soggetti in stato di irreversibile perdita della coscienza e la necessità pertanto di considerare valido criterio orientativo delle decisioni la volontà precedentemente espressa e ricostruibile attraverso testimonianze o in documenti”.

Comitato Nazionale per la Bioetica interviene sull’argomento con un elaborato parere del 18 dicembre 2003, intitolato: Dichiarazioni anticipate di trattamento. Quest’ultima espressione vuole contrapporsi a quella “direttive anticipate di volontà”, indicando – sulla scorta della Convenzione di Oviedo – che non si tratta di disposizioni vincolanti, ma di desideri da prendere in considerazione; da valutare, ma non da eseguire acriticamente. Lo stesso Comitato invita il legislatore a disciplinare le dichiarazioni anticipate in modo che “non contengano disposizioni aventi finalità eutanasiche, che contraddicano il diritto positivo, le regole di pratica medica, la deontologia”.

Eutanasia, accanimento terapeutico, diritto al rifiuto delle cure, limiti alle terapie; si tratta di temi presenti anche nel dibattito sul “testamento biologico” e che la spinta mediatica e liberal-radicale ha concettualmente “ampliato” e/o “ristretto”. Il concetto di eutanasia, infatti, è stato “ridotto” soltanto al profilo c.d. “attivo” (si parla di “interruzione volontaria della vita”), come se essa si concretizzasse soltanto nella somministrazione per via orale o venosa di una sostanza letale e non riguardasse anche l’omissione/interruzione di trattamenti proporzionati e ordinari.

Pertanto, l’omissione/sospensione di trattamenti proporzionati e ordinari è scivolata silenziosamente dall’ambito dell’eutanasia a quello del rifiuto dell’accanimento terapeutico o, ancor più in generale, del rifiuto delle cure/terapie (si parla di “interruzione volontaria delle terapie”). Di qui una sorta di “silenziatore” sulla possibile portata eutanasica del testamento biologico presentato come strumento semplice e innocuo volto ad evitare l’accanimento terapeutico e a permettere l’esercizio della libertà nel ricorso ai trattamenti sanitari.

La previsione - sostenuta dagli otto Disegni di Legge - della possibilità di rifiutare al di fuori della situazione concreta qualsiasi trattamento sanitario, significa rendere disponibile la vita umana e favorire l’idea che a certe condizioni la vita ha perduto la sua dignità e, dunque, è preferibile porvi fine.

Ciò che si configura come accanimento terapeutico va valutato dal medico caso per caso in base ai dati biomedici, indipendentemente dalla semplice volontà del malato. Il giudizio a cui si perviene è un giudizio “proporzionalità o sproporzionalità” delle terapie e di adeguatezza/inadeguatezza tecnico-medica del suo uso in relazione al raggiungimento di un determinato obbiettivo di salute o di sostegno vitale per il malato.

Comitato Nazionale di Bioetica “Se il medico si formasse il solido convincimento che i desideri del malato fossero non solo legittimi, ma ancora attuali, onorarli da parte sua diventerebbe non solo il compito dell’alleanza che egli ha stipulato con il suo paziente, ma un suo preciso dovere deontologico (…) E’ altresì ovvio che se il medico, nella sua autonomia, dovesse diversamente convincersi, avrebbe l’obbligo di motivare e giustificare in modo esauriente tale suo diverso convincimento”.