“il naufragar m'è dolce in questo mare”

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e il naufragar m’è dolce in questo mare
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Transcript della presentazione:

“il naufragar m'è dolce in questo mare” L'infinito di Leopardi “il naufragar m'è dolce in questo mare” Italiano

L'Infinito viene scritto fra il 1819 e il 1821. Dal settembre di quell'anno Leopardi, comincia a rinchiudersi in una progressiva solitudine, che va peggiorando anche a causa di un fisico che uno studio forsennato di molti anni ha irreversibilmente rovinato. E' in questo clima che nasce il piccolo idillio, pubblicato per la prima volta nel 1825. Gli Idilli sono per lui componimenti che esprimono "situazioni, affezioni, avventure storiche del mio animo", componimenti cioè di carattere intimo dove è posta sempre in primo piano la figura del poeta solitario, mentre del mondo esterno non compaiono che alcuni aspetti della natura.

"Sempre caro mi fu quest'ermo colle / e questa siepe, che da tanta parte / dell'ultimo orizzonte il guardo esclude". Il poeta dice di trovarsi in un luogo preciso, che ama e frequenta abitualmente: un colle solitario, tradizionalmente identificato nel monte Tabor, che domina sulle campagne di Recanati. Solo, il poeta guarda, ma non riesce a vedere parte dell'"ultimo orizzonte“ a causa di una siepe; i sensi vengono soppressi e soffocati.

"Ma sedendo e mirando, interminati / spazi di là da quella, e sovrumani / silenzi, e profondissima quiete / io nel pensier mi fingo; ove per poco / il cor non si spaura “. L’infinito è frutto dell’immaginazione. E’ la forza del pensiero, infatti, che può superare l’ostacolo della siepe, per immaginare sovrumani spazi . Si rivela il confine tra la limitatezza della vita umana e l’immensità della Natura, di cui l’uomo fa parte, ma che non può cogliere appieno. Questa intuizione determina un senso di paura, è uno sgomento dato dalla consapevolezza di aver superato i propri limiti e di aver trasceso la propria quotidianità. "L'anima immagina quello che non vede, che quell'albero, quella siepe, quella torre gli nasconde, e va errando in uno spazio immaginario, e si figura cose che non potrebbe, se la sua vista si estendesse da per tutto, perché il reale escluderebbe l'immaginario“ (Zibaldone)

   “E come il vento / odo stormir tra queste piante, io quello / infinito silenzio a questa voce / vo comparando: e mi sovvien l'eterno, / e le morte stagioni, e la presente / e viva, e il suon di lei.“ Una sensazione uditiva e cioè lo stormire del vento tra le piante ci porta alla realtà (passaggio dalla vista all'udito cioè dallo spazio al tempo) e quindi quei sovrumani silenzi ora sono lontani da chi parla. Egli pensa allora all'eterno, l'infinito spazio in senso temporale, al passato (le morte stagioni) e al presente che ancora vive attraverso il rumore del vento;

"(...) Così tra questa / immensità s'annega il pensier mio: / e il naufragar m'è dolce in questo mare". Nell’immaginare l’infinito, il pensiero del poeta si smarrisce, si perde, ma questo naufragare nell’immensità provoca una sensazione indefinibile di piacere; percepire l’infinito significa evadere da una realtà circoscritta e illimitata, per perdersi nel nulla e dimenticare per qualche istante il dolore della vita All’uomo resta solo la consapevolezza di poter annegare in esso solo per il breve istante, perché come basta una siepe ad evocarlo, basta un soffio di vento per riportarlo alla sua essenza limitata

elementi di analisi formale L’insistenza dell’uso dell’aggettivo dimostrativo (questo/questa) intende dare un segno di concretezza al paesaggio che circonda il poeta e vuole esprime anche la familiarità e la vicinanza che Leopardi ha con esso. Gli enjambement danno una sensazione di una vastità infinita accentuata dalle parole polisillabe: tutto acquista una dilatazione in ogni direzione. La forte avversativa Ma introduce il momento di distacco, del superamento dell’ostacolo esterno attraverso la visione interiore. Entrambi gli aggettivi riferiti al poeta (caro mi fu, m’è dolce) nel primo e nell’ultimo verso della lirica sono di grado positivo e rimandano ad una condizione di limite, di piccolezza; Tutti gli altri, riferiti ad elementi esterni al poeta, sono invece di grado superlativo (profondissima) o comunque contengono in sé l’idea superlativa (ermo, ultimo, interminati, sovrumani, infinito, morte, presente, viva). Il passaggio continuo dal concreto all’astratto, dal finito all’infinito viene sottolineato ritmicamente dai numerosi enjambements e dalla frequenza delle particelle congiuntive, che allacciano i singoli periodi (ma sedendo, ove per poco, e come il vento, e mi sovvien, così tra questa, e il naufragar).

Concetto di infinito in Leopardi La scoperta e l'esperienza dell'infinito sono processi immaginativi sottoposti al controllo razionale; Il soggetto crea consapevolmente il contrasto tra ciò che è limitato e ciò che è illimitato (L'ostacolo e l'infinito spaziale); L’infinito diventa il principio stesso del piacere, il fine stesso a cui tende questo slancio dell’uomo; La concezione di infinito di Leopardi è quindi potenziale

Il pessimismo di Leopardi Si riscontrano tre momenti nello sviluppo del pensiero leopardiano: 1° pessimismo personale: Leopardi crede di essere lui solo infelice, ma gli altri possono essere felici 2° pessimismo oggettivo storico: tutti gli uomini del suo periodo storico sono infelici, a causa dell'evoluzione della coscienza e della ragione che rende limitato e passeggero il piacere umano. La natura è ancora vista come benevola, ma la ragione umana è meccanismo crudele. 3° pessimismo cosmico o universale: tutte le creature viventi e non solo gli uomini sono infelici da quando sono nati. È’ la natura che ha messo nell’uomo quel desiderio di felicità infinita, senza dargli mezzi per soddisfarlo. La natura non è più madre amorosa, ma matrigna. . Il pessimismo di Leopardi

L'infinito nella poesia del '900 PASCOLI “ Poeta del Cosmo” L'infinito nella poesia del '900 Ungaretti "Poeta ermetico"

Giovanni Pascoli Cosmo e umanità: sono i due termini essenziali di gran parte della meditazione svolta dal Pascoli attraverso le sue opere. In questo filone cosmico ha degli squarci di grande bellezza, intessuti di trame sonore, di allusioni, di simboli, di analogie e di immagini fantastiche altamente suggestive. E’ una tematica nuova, nata da sensazioni profonde di fronte agli spettacoli meravigliosi del cielo da lui trasfigurati in evocazioni simboliche.

X AGOSTO ... E tu, Cielo, dall'alto dei mondi sereni, infinito, immortale, oh! d'un pianto di stelle lo inondi quest'atomo opaco del Male! Questa è l’ultima quartina della poesia X Agosto, in cui la figura del cielo si contrappone a quella della terra. Il cielo è infinito, immortale, immenso, mentre la terra non è altro che un piccolo atomo di dolore, un granello dell’universo, insignificante e opaco, perchè privo di luce propria e perchè, metaforicamente, dominato dal Male, sul quale il cielo sembra piegarsi per piangere. Il dolore individuale del Poeta, condiviso, diviene dolore collettivo, un dolore immenso, di fronte al quale il Cielo “infinito e immortale” piange sconsolato.

....di là da ciò che vedo e ciò che penso, La vertigine ....di là da ciò che vedo e ciò che penso, non trovar fondo, non trovar mai posa, da spazio immenso ad altro spazio immenso;… Il poeta in questa poesia riesce a comunicare il brivido della vertigine dell’uomo di fronte all’immensità dello spazio che avvolge la terra e ai miliardi di stelle infinitamente più grandi del nostro pianeta. E’ lo smarrimento dell’essere sperduto nel cosmo, un orrore che gli paralizza il cuore, ben diverso da Leopardi che vorrebbe invece naufragare in quel mare infinito dello spazio e dell’eternità.

Giuseppe Ungaretti In Italia tra gli anni ’20 e ’30 si sviluppa una corrente poetica chiamata “ Ermetismo” di cui Giuseppe Ungaretti è il massimo esponente Le composizioni dei poeti ermetici sono molto brevi, scarne, si esprimono attraverso poche parole di intenso valore allusivo, simbolico, capaci di evocare sensazioni straordinarie I poeti ermetici, in modi concentrati ed essenziali, esprimono il senso di vuoto, la solitudine morale dell’ uomo contemporaneo, il suo "male di vivere“

Mattina M'illumino d'immenso (Giuseppe Ungaretti)

E' forse la lirica più breve ma anche tra le più famose del Novecento. Questa poesia, tratta dalla raccolta l'Allegria, è tra i testi più noti di Ungaretti. E' forse la lirica più breve ma anche tra le più famose del Novecento. Straordinaria per concisione, essenzialità, potenza evocativa ed espressiva, questa brevissima lirica è composta da due soli versi-parola, con i quali il poeta giunge a percepire un sentimento d'Infinito. La lirica è costruita su un'unica sinestesia analogica, che mette in connessione due campi diversi della percezione,: l'uno sensibile, che coinvolge : -la vista e il tatto( la luce è anche calore); - l'olfatto (l'aria fresca del mattino); - l'udito (l'immensità è eco e silenzio). l'altro interiore: l'immensità è il luogo dello spirito in cui si acquietano tutti i desideri di infinito e di eterno dell'uomo.

L’analogia pone quindi in stretta relazione il finito, rappresentato dal poeta nella sua pochezza d'uomo, l'infinito, rappresentato dall'immensità in cui terra, cielo e mare si fondono e confondono.   La prima stesura di questa poesia era intitolata Cielo e mare. A Papini mandò questa versione:       Siamo in guerra, siamo in trincea e siamo verso Trieste in una mattina di sole; all'improvviso i soldati ed anche Ungaretti vedono la distesa infinita del mare. E s'illuminano "d'immenso".       Il titolo esplicitava dunque l'iniziale separazione tra i due piani (la luce del cielo e l'immenso del mare). Il poeta punta tutto sulla concentrazione interiore: in questo modo si passa da una splendida "impressione" poetica a una vera e propria comunione del poeta con il tutto, non dissimile da quella cantata nel leopardiano Infinito. Menù