LA DERIVA DEI CONTINENTI
Le prime ipotesi L’idea che i continenti si possano muovere e possano cambiare nel tempo la propria posizione iniziò a farsi strada nel XVII secolo.
Il filosofo Bacone osservò come il profilo orientale delle coste del continente sudamericano coincidesse con quello occidentale delle coste del continente africano, proprio come succede alle tessere di un puzzle che si incastrano fra loro. Ciò si poteva spiegare immaginando che i due continenti un tempo fossero uniti.
Nei secoli successivi questa idea fu ripresa e ampliata da altri scienziati che cercavano spiegazioni della formazione dei continenti, degli oceani e del sollevamento delle catene montuose.
Ipotesi avanzate Una ipotesi fu avanzata per la prima volta nel 1858 da Antonio Snider, ma spettò al meteorologo tedesco Alfred Wegener, considerato il padre della teoria della deriva dei continenti, sviluppare in dettaglio quest'idea, in un’opera (L'origine dei continenti e degli oceani) pubblicata nel 1915.
Wegener Nel 1915 il meteorologo tedesco A. Wegener ipotizzò che un tempo fosse esistito un supercontinente da lui battezzato Pangèa (dal greco: “tutto terra”) circondato da un oceano molto esteso, chiamato Panthalassa.
Egli suddivise la Pangea in 2 blocchi: quello boreale (Laurasia) e quello australe (Gondwana).
Circa 200 milioni d’anni fa la Pangea avrebbe iniziato a frammentarsi in continenti più piccoli che sarebbero “andati alla deriva” verso le posizioni attuali
210 milioni di anni fa (Triassico) 135 milioni di anni fa (Giurassico) 65 milioni di anni fa (Cretacico) Oggi
Prove a favore della teoria A sostegno della propria teoria Wegener propose alcune argomentazioni di tipo geografico, geologico, paleontologico e paleoclimatico.
Argomentazione geografica Era basata sulla somiglianza fra il profilo delle coste atlantiche dell’Africa orientale e quello delle coste dell’America meridionale che formano un incastro quasi perfetto: questo fa ipotizzare una loro antica unione.
Argomentazione geologica Indagini geologiche effettuate in territori del pianeta esplorati da poco avevano dimostrato che catene montuose molto antiche erano presenti non solo in Europa e nell’America settentrionale, ma anche nei continenti australi, in Africa, in America Meridionale, in Antartide, in Australia e in India.
Wegener notò che,unendo i continenti e facendo combaciare le linee di costa, queste catene sembravano formare un’unica e continua catena montuosa.
Argomentazione paleontologica In continenti molto distanti fra loro erano stati trovati resti fossili delle stesse specie di animali e piante.
Wegener notò che, spostando i continenti e facendo combaciare le linee di costa, essi formavano un unico territorio, nel quale l’Antartide veniva a trovarsi più a nord rispetto all’attuale posizione. Ciò poteva spiegare la presenza nelle sue rocce di fossili di animali tipici di climi caldi.
Argomentazione paleoclimatica Era basata sull’analisi della distribuzione delle tilliti, depositi di rocce di origine glaciale risalenti a una glaciazione avvenuta oltre 300 milioni di anni fa, che si trovavano in tutti i continenti dell’emisfero meridionale.
Wegener notò che, se si facevano combaciare le linee di costa dei continenti, i depositi di tilliti risultavano vicini e concentrati in un’unica zona.
Per poter giustificare la distribizione di tali depositi nei continenti, era necessario ammettere che nel passato i poli geografici avessero occupato una posizione molto differente da quella attuale, con l’intero emisfero meridionale ricoperto dai ghiacci fino all’equatore e l’emisfero settentrionale caratterizzato da un clima tropicale, esteso fino al polo Nord.
Una nuova teoria La teoria della deriva dei continenti fu ritenuta troppo rivoluzionaria e venne attaccata dalla maggior parte degli scienziati contemporanei di Wegener.
IPOTESI A SFAVORE
La congruenza fra le linee di costa dei continenti non era assoluta, ma vi erano delle lacune.
La presenza e la posizione delle catene montuose potevano essere coincidenze.
Secondo i paleontologi gli organismi potevano aver attraversato gli oceani sfruttando antichi ponti continentali, cioè lunghe lingue di terra, oggi scomparse a causa dell’erosione, oppure sfruttando “zattere” naturali.
Un punto debole La teoria in realtà aveva un grande punto debole: non era in grado di spiegare in che modo i continenti potessero muoversi.
Holmes propose una variante alla teoria, ipotizzando la presenza di correnti convettive, cioè movimenti circolari determinati dal riscaldamento e dal raffreddamento di masse fluide.
I movimenti di queste correnti erano in grado di generare una forza sufficiente a spostare i continenti.
La teoria di Holmes non fu presa in considerazione nemmeno dallo stesso Wegener, ma attualmente è considerata la spiegazione più plausibile dei movimenti delle placche litosferiche.
Motore della deriva Forze di marea tendono a far rallentare la rotazione delle parti superficiali della superficie rispetto alle parti profonde. La repulsione dai poli è dovuta alla simmetria, non perfettamente sferica, del campo gravitazionale per cui la verticale relativa ad un punto superficiale non è una retta ma una curva concava verso il polo. I continenti , zattere sulla parte superiore del mantello, sono soggetti ad una spinta idrostatica diretta perpendicolarmente alla superficie terrestre. Gravità e spinta non sono coassiali e non si annullano. La componente residua diretta verso l’equatore
Ben presto si scoprì che Pangea era il risultato dell'aggregazione di precedenti masse continentali, a loro volta frammenti di un supercontinente ancora più antico. In sostanza, la frammentazione, dispersione e riaggregazione dei supercontinenti si rivelò, con ogni evidenza, un processo ciclico.
Le dorsali oceaniche Negli anni cinquanta e sessanta presero il via le esplorazioni dei fondi oceanici che portarono alla scoperta dell’esistenza di lunghe catene di vulcani sottomarini chiamati dorsali oceaniche.
Esse possono avere un’altezza massima di 3000 m circa e si estendono attraverso gli oceani Atlantico, Indiano, Pacifico e i mari antartici per una lunghezza complessiva di 80000 km.
Una dorsale è formata da una lunga catena montuosa sottomarina attraversata da una spaccatura centrale, la rift valley.
Dalla parte opposta rispetto alla rift valley le pareti alte e ripide della catena montuosa degradano verso la piana abissale.
Le faglie trasformi La rift valley viene interrotta da delle zone di frattura che rompono la linearità e la continuità dell’asse delle dorsali: questi siti prendono il nome di faglie trasformi e sono costituite da zone, altamente sismiche, di scorrimento relativo e opposto di flussi di lava fuoriuscenti da due tronconi di dorsali.
Furono proprio la scoperta e lo studio delle dorsali a fornire la chiave per capire la dinamica dell’intero pianeta.
Lo studio dei fondali oceanici Alla fine degli anni ‘40 gli oceani venivano ancora considerati strutture primordiali. All’inizio degli anni ‘50 l’oceanografia geologica e la geofisica progredirono considerevolmente, fornendo sempre più precise cartografie dei fondali. Tali informazioni permisero di mettere in evidenza fenomeni allora sconosciuti come l’espansione dei fondali e il paleomagnetismo.
La cartografia dei fondali
La teoria dell’espansione dei fondi oceanici L’americano Harry Hess formulò la teoria dell’espansione dei fondi oceanici.
La teoria di Hess Secondo egli le correnti convettive risalgono in punti particolari della crosta oceanica generando le dorsali oceaniche. Il magma in risalita si accumula lungo la frattura centrale della dorsale e solidifica, producendo nuova crosta che spinge la vecchia crosta verso l’esterno
La superficie della Terra non è sostanzialmente aumentata nel corso della sua storia, devono esserci anche zone dove la crosta è distrutta, cioè inglobata nel mantello. Queste zone sono chiamate fosse oceaniche, aree strette, allungate e profonde.
Prove a favore della teoria di Hess Formulata per spiegare le caratteristiche dei fondali oceanici, la teoria di Hess ha trovato conferma definitiva nello studio del paleomagnetismo delle anomalie magnetiche rilevate su tutti i fondali con estrema regolarità e simmetria.
Il paleomagnetismo Certe rocce ricche di minerali ferrosi (magnetite), possiedono una suscettibilità magnetica ovvero la capacità di acquistare una magnetizzazione permanente che ha la stessa direzione del campo magnetico esistente nell’atto del loro consolidamento; Rocce che solidificarono migliaia o anche milioni di anni fa conservano così una “registrazione” della posizione dei poli magnetici terrestri al tempo della loro formazione; Queste rocce si dicono possedere un magnetismo fossile o paleomagnetismo.
La migrazione dei poli All’inizio degli anni ‘50 si osservò che rocce della stessa età, in continenti diversi, variavano in polarità magnetica, come se nello stesso momento fossero stati presenti sulla Terra distinti assi magnetici. Osservando inoltre la magnetizzazione di rocce di età successiva nella stessa regione risultò evidente una variazione della direzione del polo nord magnetico.
Dai dati dati ricavati dalle rocce del Nord America e dalle rocce europee, si sono potute tracciare 2 curve distinte che rappresentano il percorso apparente seguito dal polo nord magnetico negli ultimi 600 milioni di anni. Per interpretare questi dati sono possibili 2 alternative: o sono i continenti a migrare oppure migrano i poli mentre rimangono fissi i continenti.
L’improbabilità della migrazione dei poli Per la coincidenza d’improbabili condizioni fisiche che si dovrebbero presupporre nel caso di un’effettiva migrazione dei poli magnetici, la sola alternativa possibile rimane quella della deriva dei continenti.
Appare infatti più probabile che i 2 continenti in questione, originariamente uniti, si siano allontanati nel tempo fino alla posizione attuale: l’andamento della curva di migrazione consentirebbe di definire il tragitto di deriva.
Ad avvalorare questa tesi, vi è l’osservazione che i due itinerari di migrazione, notevolmente separati, presentano però andamenti similari se non del tutto sovrapponibili.
Inversioni di polarità Studi sul paleomagnetismo hanno evidenziato che nel corso della storia della Terra la posizione dei poli magnetici si è invertita più volte. Dal momento che è impossibile che le rocce invertano da sole il proprio magnetismo, dobbiamo concludere che il campo magnetico terrestre inverte la sua polarità. Le cause di questa inversione sembrano dipendere da variazioni d’intensità del campo.
Le rocce che presentano direzione di magnetizzazione uguale a quella del campo magnetico attuale sono dette a POLARITÀ NORMALE. Le rocce che presentano direzione di magnetizzazione opposta a quella del campo magnetico attuale, sono dette a POLARITÀ INVERSA.
Utilizzando metodi radiometrici, è stato possibile costruire una scala paleomagnetica nella quale si distinguono 4 lunghi intervalli di tempo definiti epoche di polarità, al cui interno sono stati riconosciuti brevi periodi di cambiamento di polarità detti eventi di polarità.
L’inversione di polarità e l’espansione dei fondali oceanici Secondo la teoria di Hess, man mano che nuovo materiale viene aggiunto lungo la dorsale, le lave solidificate, e già magnetizzate sono allontanate dalla rift valley.
Nel 1963 i geofisici inglesi Vine e Mathews supposero che la lava basaltica, uscendo dalla fenditura centrale delle dorsali, si magnetizzasse durante il raffreddamento.
Dopo un certo periodo dunque il fondo oceanico risulta costituito da bande a magnetizzazione alternativamente normale e inversa, specularmente rispetto alla rift valley.
La datazione dei sedimenti oceanici Al di sopra dei fondi basaltici degli oceani si sono stratificati depositi di sedimenti ricchi di resti di microrganismi marini. Registrando su una carta dei fondi oceanici l’età di questi sedimenti, si può notare che i sedimenti della stessa età si dispongono in fasce simmetriche rispetto alla dorsale, simili a quelle rilevate in base alle anomalie magnetiche. La disposizione delle face e l’età dei sedimenti confermano l’ipotesi dell’espansione dei fondi oceanici.
Tetide L'Oceano Tetide era un braccio oceanico disposto in senso Est-Ovest che, nei tempi geologici compresi tra il Permiano ed il Miocene separava l'Africa settentrionale dall'Europa e dall'Asia. L'apertura dell'Oceano Tetide avvenne circa 250 milioni di anni fa, tra il Permiano ed il Triassico inferiore e portò alla separazione tra la Laurasia e la Gondwana. L'allontanamento delle due parti del Pangea proseguì fino al Giurassico, quando i movimenti delle placche tettoniche si invertirono ed iniziò una contrazione dell'Oceano Tetide stesso.
La formazione dell’oceano Atlantico In seguito alle esplorazioni oceaniche lungo la dorsale medioatlantica, si è scoperto che i sedimenti oceanici più antichi hanno 190 milioni di anni. Ciò significa che prima di tale epoca l’Oceano atlantico non esisteva e i continenti che attualmente lo delimitano dovevano essere uniti. Esso cominciò a formarsi circa 190 milioni
L’oceano Atlantico cominciò a formarsi circa 190 milioni di anni fa, quando la risalita del magma dall’astenosfera determinò la frattura della massa continentale. Dapprima si formò un mare e poi un oceano che cominciò ad allargarsi, separando l’America meridionale dall’Africa.
La teoria oggi I continenti, e più propriamente le zolle litosferiche, sono tuttora in moto, con una velocità di pochi centimetri all'anno; la loro attuale configurazione, quindi, non è definitiva.
Uno sguardo al futuro L’Africa procede verso l’Eurasia, chiudendo il Mediterraneo fino alla collisione fra i due continenti.L’India continuerà la collisione con l’Asia provocando faglie che porteranno al distacco della Cina che se ne andrà alla deriva verso Est. L’atlantico e il Pacifico si stanno espandendo: uno dei due inghiottirà l’altro.(Il pacifico). Fra 250 milioni di anni l’Africa occuperà il posto dell’Europa, Australia ed Antartide aderiranno al Sud Africa, la Cina sarà attaccata all’America del Nord e quest’ultima saldata all’Africa.
LAVORO SVOLTO DA EMILIANO AURILIA IICTM A.S 2011/12