Che è Daniel Clement Dennett Nato a Boston nel 1942, si è laureato in filosofia ad Harvard nel 1963. Si è poi trasferito ad Oxford per lavorare con Gilbert Ryle, completando il dottorato in filosofia nel 1965. Dennet si è interessato di neuroscienze, linguistica, intelligenza artificiale, informatica e psicologia. Le sue ricerche hanno suscitato vasta eco nei settori delle scienze cognitive e i suoi scritti hanno avuto larghissima diffusione nel dibattito contemporaneo sull'intelligenza artificiale. Dal 1971 insegna alla Tufts University di Medford (Massachusetts), dove è stato anche nominato direttore del Center for Cognitive Studies. 15/12/2010 prof. Francesco Paolo Firrao
Intenzionalità Premessa L'intenzionalità si basa su nozioni che possono essere definite pseudospiegazioni, poiché le convinzioni, i desideri o gli atti volitivi a cui essa fa riferimento, non costituiscono la vera causa del comportamento umano, ma sono semplici etichette per descrivere ed, eventualmente, prevedere il comportamento stesso. L'intenzionalità, che deriva dalla psicologia del senso comune, non rappresenta un adeguato concetto esplicativo, dal momento che non può fare a meno di evocare una sorta di homunculus (eredità che ci deriva dalla concezione di Cartesio), posto alla base del nostro agire intenzionale e cosciente. L'unico modo per eliminare l'homunculus è quello di ignorare la soggettività dell'individuo, concentrando la nostra attenzione sulla struttura reale del cervello. In tal modo si può sostituire l'homunculus con tanti sottosistemi (folletti), ognuno dei quali svolge operazioni elementari: invece di parlare di fini o di intenzioni, analogamente a quanto avviene nei calcolatori, si può fare riferimento a subroutine di un programma a cui vengono assegnati compiti semplici e ben specifici. Intenzionalità : proprietà che hanno molti stati e eventi mentali di direzionarsi verso e di relazionarsi a oggetti o stati di cose, denominati oggetti o stati di cose intenzionali. Homunculus: La spiegazione cartesiana della percezione coinvolge gli organi di senso in grado di raccogliere informazioni sul mondo e quindi il cervello che interpreta le informazioni. Ma come fa il cervello a interpretare le informazioni? Se le informazioni sono raccolte e presentate al cervello, quest’ultimo dovrebbe avere specifici suoi organi sia per interpretare, sia per recepire, acquisire le sue interpretazioni. E 'come se ci fosse un piccolo uomo dentro il cranio (chiamata "homunculus") che guarda su uno schermo TV (chiamato "teatro cartesiano") ciò che gli organi di senso trasmettono E poi, c'è un omuncolo ancora più piccolo dentro l'omuncolo '? E così via ad infinitum?! 15/12/2010 prof. Francesco Paolo Firrao
Il problema della ‘coscienza’ Punto di vista funzionalista Dennett non ritiene che ci sia una sostanziale differenza tra il modo di operare di un calcolatore e quello del cervello umano. In entrambi i casi si tratta di sistemi fisici (composti da un certo numero di sottosistemi). Non ha importanza il tipo di materiale con cui tali sistemi sono costruiti, bensì la funzione che essi svolgono. Dennett non nega l'utilità di attingere dati dalla soggettività individuale, ma nello stesso tempo ci invita a considerare con sospetto questi dati. L'evidenza con cui essi si presentano a un determinato soggetto non costituisce affatto una garanzia circa la loro veridicità. La capacità introspettiva della coscienza potrebbe addirittura essere frutto di un'illusione e noi non avremmo modo di smascherarla se ci affidassimo soltanto ad essa. Nella sua argomentazione, Dennett si richiama a Hume, all'analisi da questi condotta sul processo casuale. Prima di Hume, tutti i tentativi di spiegare perché si crede nella casualità muovevano dal presupposto che, quando si osserva una causa e poi un effetto, non si fa altro che vederne la necessaria connessione. Hume cercò di capovolgere questa impostazione osservando che essendo noi tutti stati condizionati ad aspettarci l'effetto allorché vediamo una causa, siamo irresistibilmente portati a trarre l'inferenza, e ciò fa sorgere l'illusione di vedere la connessione necessaria che lega il succedersi dei due eventi. Dennett propone una spiegazione analoga per la coscienza: «ci scopriamo a voler dire innumerevoli cose su ciò che sta accadendo in noi, e questo fa sorgere le varie teorie che spiegano come siamo capaci di dare resoconti introspettivi, tra le quali, ad esempio, quella ben nota ma semplicistica secondo la quale "percepiamo" questi avvenimenti con il nostro "occhio interiore"» 15/12/2010 prof. Francesco Paolo Firrao
Teoria delle ‘molteplici versioni’ Secondo Dennettnon esiste un luogo centrale, un Teatro Cartesiano dove "tutto converge" per essere esaminato da un osservatore privilegiato. La coscienza non sarebbe quindi una questione d'arrivo a un determinato luogo cerebrale, quanto piuttosto di attivazione che supera una certa soglia sull'intera corteccia o su larga parte di essa. Al posto della concezione del Teatro Cartesiano, in cui opera un flusso lineare di processi che si succedono in maniera ordinata e sequenziale, Dennet propone quella delle Molteplici Versioni, costituita da un certo numero di circuiti in stretta interconnessione tra loro, che operano in parallelo. Secondo tale concezione, l'unità dell'esperienza cosciente non viene ottenuta riconducendo l'attività dei diversi moduli in cui può essere idealmente suddivisa la corteccia cerebrale a un centro finale, che agisce da "collettore", bensì deriva dal loro funzionamento strettamente integrato e interdipendente. Non esiste un Teatro Cartesiano; esistono solo Molteplici Versioni composte da processi di fissazione di contenuti che giocano vari ruoli semi-indipendenti nella più vasta economia tramite il quale il cervello controlla il viaggio del corpo umano attraverso la vita [...]. I "qualia" sono stati sostituiti da complessi stati disposizionali del cervello e il sé (altrimenti noto come il Pubblico del Teatro Cartesiano, l'Autore Centrale o il Testimone) si rivela essere una valida astrazione, una finzione teorica piuttosto che un osservatore interno o un boss. Se il sé è "soltanto" il Centro di Gravità Narrativa, e se tutti i fenomeni della coscienza umana sono "soltanto" i prodotti delle attività di una macchina virtuale realizzata dalle connessioni incredibilmente modificabili del cervello umano, allora, in linea di principio, un robot opportunamente "programmato", con un cervello costituito da un calcolatore a base di silicio, sarebbe cosciente, avrebbe un sé. (Daniel Dennett, Coscienza. Che cos'è, Rizzoli, Milano, 1993, pag. 480) 15/12/2010 prof. Francesco Paolo Firrao
prof. Francesco Paolo Firrao Che cos’è ‘Sè’ ? In questa prospettiva, il Sé, l'Io a cui ciascuno di noi fa riferimento, si rivela essere soltanto una valida astrazione, una funzione teorica, piuttosto che un osservatore interno con il compito di raccogliere messaggi che provengono dalle varie zone del cervello. Detto questo, il passo successivo discende quasi come una logica conseguenza. Se il Sé - scrive Dennett - è soltanto il Centro di Gravità Narrativa, e se tutti i fenomeni della coscienza umana rappresentano soltanto i prodotti dell'attività di una macchina virtuale realizzata con connessioni variamente modificabili del cervello umano, allora, in linea di principio, un robot opportunamente "programmato" con un cervello costituito da un calcolatore al silicio, sarebbe cosciente, avrebbe un sé. Dennett osserva che molte persone trovano molto poco credibile che un robot possa essere cosciente; esse sono portate a considerare tale ipotesi come una pura e semplice assurdità. 15/12/2010 prof. Francesco Paolo Firrao
prof. Francesco Paolo Firrao Problema E’piuttosto difficile immaginare come un calcolatore o una qualsiasi macchina cibernetica possa sviluppare la coscienza. Come potrebbe un complicato ammasso di circuiti che elaborano informazioni su chip al silicio equivalere alle esperienze coscienti? Ma, secondo Dennett, è altrettanto difficile immaginare come un cervello umano organico possa sostenere la coscienza. Come potrebbe un complicato ammasso di interazioni elettrochimiche tra miliardi di neuroni equivalere alle esperienze coscienti? Se non riusciamo a immaginare come un sistema complesso (biologico o artificiale) possa albergare al suo interno i fenomeni della coscienza, possa vivere le esperienze su di sé proprio come noi le viviamo, possa comprendere il senso di una frase allo stesso modo in cui noi lo comprendiamo, ciò dipende, secondo Dennett, dal fatto che ci limitiamo ad immaginare un caso troppo semplice. 15/12/2010 prof. Francesco Paolo Firrao
Conclusione Ipotesi di spiegazione La qualità dell'essere coscienti, per Dennett deriva unicamente da un certo tipo di organizzazione funzionale, e non dal fatto che si abbia a che fare con un cervello organico piuttosto che con un cervello costituito da un calcolatore elettronico. Egli non trova una differenza sostanziale tra le due realizzazioni, essendo le loro attitudini legate all'insieme dei processi fisici che si svolgono in esse e non al materiale con cui sono costruiti. Non c'è altro da considerare, poiché le esperienze coscienti si identificano totalmente con gli eventi portatori di informazione al loro interno. 15/12/2010 prof. Francesco Paolo Firrao