Come agisce l’evoluzione

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teoria dell'evoluzione Susanna Gramaglia Realizated by Pink Squirrel - august 1, 2002.
Transcript della presentazione:

Come agisce l’evoluzione Capitolo 13 Come agisce l’evoluzione

L’evoluzione biologica e la teoria di Darwin 13.1 Le teorie evolutive prima di Darwin Le specie viventi si trasformano nel tempo Nel 1700 lo studio dei fossili dimostrava l’esistenza di antichi organismi talvolta molto diversi da quelli attuali, suggerendo che le specie viventi si trasformano nel tempo.  Il naturalista Georges-Louis Buffon (1707-1788) avanzò l’ipotesi che i viventi si fossero originati da un esiguo numero di antichissimi antenati.  Figura 13.1A

Il naturalista inglese Erasmus Darwin (1731-1802), nonno di Charles Darwin, era tra coloro che sostenevano che le specie viventi si trasformano nel tempo e che tali cambiamenti, testimoniati dai fossili, sono il risultato dell’interazione delle popolazioni con l’ambiente. Figura 13.1B

L’evoluzionismo secondo Lamarck Jean-Baptiste Lamarck (1744-1829) formulò una teoria sull’evoluzione coerente e sistematica, secondo la quale le specie si evolvono tramite l’interazione con l’ambiente. Il punto debole della teoria risiedeva nella convinzione che le caratteristiche acquisite in tal modo fossero trasmissibili alla progenie. Figura 13.1C

Cuvier e le teorie del catastrofismo Georges Cuvier (1760-1832), fondatore della degli studi di paleontologia dei vertebrati, spiegava la scomparsa di specie presenti un tempo sulla Terra attraverso la teoria del catastrofismo. Figura 13.1D

Le basi del pensiero evoluzionistico di Darwin Gli studi del geologo scozzese Charles Lyell (1797-1875) fornirono le basi per il pensiero evoluzionistico; infatti, Lyell nel suo Principles of Geology si oppose alla teoria del catastrofismo; affermò che i lenti e costanti cambiamenti nella storia della Terra sono causati da forze naturali che operano in tempi molto lunghi.

13.2 Nel suo viaggio intorno al mondo Darwin gettò le basi della sua teoria dell’evoluzione Charles Darwin nacque nel 1809 in Inghilterra; iniziò gli studi di medicina e poi di teologia, ma la sua vera passione erano le scienze naturali. Figura 13.2A

Il viaggio con il Beagle Durante il suo viaggio durato cinque anni (1831-1836) sul brigantino inglese Beagle, Darwin osservò le somiglianze tra organismi viventi e fossili e la diversità della vita sulle isole Galápagos. Figura 13.2B

Dalla pratica alla teoria Le osservazioni che Darwin fece durante il suo viaggio sul Beagle lo aiutarono a elaborare la sua teoria sull’evoluzione. Quando fece ritorno in Gran Bretagna, scrisse un saggio in cui descriveva i principi della sua teoria dell’evoluzione, parlando di discendenza con modificazioni. Darwin si rese conto dell’unità tra le specie, secondo cui tutti i viventi sono correlati tra loro attraverso un comune progenitore di qualche specie sconosciuta, vissuto in epoca remota.

Prevedendo le polemiche che le sue idee avrebbero potuto suscitare, Darwin preferì ritardare la pubblicazione del suo libro. Alfred Wallace, un altro naturalista inglese, concepì una teoria identica a quella di Darwin, che venne presentata nel 1858, citando il precedente saggio di Darwin. Darwin nel 1859 pubblicò il volume Sull’origine delle specie mediante selezione naturale, che divenne un caposaldo delle scienze naturali. Figura 13.2D

13.3 Secondo Darwin la selezione naturale è alla base dei meccanismi dell’evoluzione Darwin osservò che gli organismi di tutte le specie: hanno la tendenza a produrre prole in eccesso, con un numero di individui superiore a quello che l’ambiente può sostenere; variano in molte caratteristiche individuali che possono essere ereditate (trasmesse da una generazione a quella successiva).

La selezione naturale Darwin osservò che la sopravvivenza dipende almeno in parte dalle caratteristiche ereditate dai genitori. All’interno di una popolazione diversificata, gli individui dotati di tratti ereditari che permettono di adattarsi meglio all’ambiente, hanno maggiore probabilità di sopravvivere e riprodursi. Secondo Darwin, in seguito alla selezione naturale le caratteristiche vantaggiose saranno rappresentate sempre più frequentemente nelle generazioni successive, mentre quelle sfavorevoli lo saranno sempre meno.

La selezione artificiale La selezione artificiale Darwin trovò prove convincenti a sostegno delle sue teorie osservando i risultati della selezione artificiale, cioè la coltivazione e l’allevamento selettivi di piante e animali. Figura 13.3A Incroci condotti dall’uomo per migliaia di anni (selezione artificiale) Cane ancestrale (simile al lupo) Figura 13.3B

nel corso di milioni di anni Secondo Darwin le diverse forme di vita si sono originate, attraverso successive modificazioni, da un antenato comune. Il meccanismo che ha portato alla formazione delle diverse specie è stato la selezione naturale. Selezione naturale avvenuta nel corso di milioni di anni Canide ancestrale Licaone Coyote Lupo Volpe Sciacallo Figura 13.3C

Le prove dell’evoluzione 13.4 Lo studio dei fossili fornisce prove a favore dell’evoluzione I fossili e la documentazione fossile, ossia la serie ordinata di fossili che affiorano dagli strati di rocce sedimentarie, forniscono una delle prove più importanti dell’evoluzione. Figura 13.4A-F

La documentazione fossile testimonia che gli esseri viventi si sono evoluti in una sequenza cronologica. Figura 13.4G

Molti fossili mettono in collegamento le specie attuali con i loro antenati estinti. Figura 13.4H

13.5 Altre prove che confermano la teoria evolutiva 13.5 Altre prove che confermano la teoria evolutiva La biogeografia Alcune discipline scientifiche sono di supporto allo studio dei fossili nel sostenere la teoria evolutiva. La biogeografia, la distribuzione geografica delle specie, suggerì per prima a Darwin che gli organismi si evolvono da antenati comuni. Darwin notò che gli animali delle Galápagos assomigliavano di più alle specie continentali che agli animali di altre isole tropicali (con un ambiente più simile).

L’anatomia comparata Un altro supporto alla teoria dell’evoluzione è fornito dall’anatomia comparata, la disciplina che mette a confronto le strutture corporee di specie diverse. Somiglianze anatomiche che accomunano le specie costituiscono un indicatore di discendenza comune.

Spesso le strutture omologhe hanno funzioni diverse. I biologi chiamano strutture omologhe le strutture che sono simili perché derivano da un antenato comune. Spesso le strutture omologhe hanno funzioni diverse. Specie umana Gatto Balena Pipistrello Figura 13.5A

L’embriologia comparata L’embriologia comparata, lo studio delle strutture che compaiono durante lo sviluppo dei diversi organismi, fornisce ulteriori prove delle origini comuni dei viventi. Spesso, infatti, le specie strettamente imparentate presentano stadi simili nel loro sviluppo embrionale.

Molti vertebrati hanno strutture omologhe nei loro embrioni. Coda Tasche branchiali Embrione di pollo Embrione umano Figura 13.5B Molti vertebrati hanno strutture omologhe nei loro embrioni.

La biologia molecolare La biologia molecolare Un supporto alla teoria dell’evoluzione è stato fornito recentemente dalla biologia molecolare, la disciplina che paragona sequenze di DNA e proteine in organismi differenti. Le specie che risultano strettamente correlate hanno in comune una percentuale di DNA e di proteine maggiore rispetto alle specie non imparentate. Tabella 13.5

COLLEGAMENTI 13.6 La selezione naturale in azione 13.6 La selezione naturale in azione Il mimetismo degli insetti che si sono evoluti in ambienti molto diversi è un esempio di adattamento evolutivo e dei risultati ottenuti dalla selezione naturale. Una mantide orchidea (Malesia) foglia (Costa Rica) Figura 13.6A

Un altro esempio di evoluzione in atto è la comparsa della resistenza agli insetticidi negli insetti. Applicazione del pesticida Individuo resistente Gene che conferisce resistenza al pesticida Le successive somministrazioni dello stesso pesticida saranno sempre meno efficaci e il numero di individui resistenti nella popolazione di insetti aumenterà progressivamente Figura 13.6B

Da Darwin alla sintesi moderna 13.7 Le popolazioni sono le unità su cui agisce l’evoluzione La popolazione (un gruppo di individui della stessa specie che vivono nello stesso posto nello stesso momento) rappresenta l’insieme più piccolo di organismi soggetto all’evoluzione. Una specie è un gruppo di individui, generalmente concentrati in popolazioni, che sono in grado di incrociarsi tra loro e produrre prole fertile. Figura 13.7

La genetica delle popolazioni, nata intorno al 1920, è la scienza che si occupa dei cambiamenti genetici delle popolazioni. La sintesi moderna (o teoria sintetica dell’evoluzione), sviluppatasi all’inizio degli anni Quaranta, è una teoria evolutiva che considera le popolazioni come le unità dell’evoluzione e tiene conto di gran parte dei concetti espressi da Darwin.

L’insieme di tutti gli alleli di tutti gli individui che compongono una popolazione, presenti in qualsiasi momento, costituisce il pool genico della popolazione. La microevoluzione è un cambiamento nella frequenza relativa degli alleli nel pool genico di una popolazione.

13.8 In una popolazione che non si evolve il pool genico rimane immutato nel corso delle generazioni In una popolazione che non si evolve il mescolamento di geni che accompagna la riproduzione sessuata non altera la composizione genetica della popolazione. Zampa con membrana Zampa senza membrana Figura 13.8A

Questo principio è chiamato equilibrio di Hardy-Weinberg e stabilisce che il mescolamento dei geni durante la riproduzione sessuata non altera le frequenze dei diversi alleli in un pool genico. Fenotipi Genotipi WW Ww ww Numero di animali (totale  500) 320 160 20 500 Frequenze genotipiche  0,64  0,32  0,04 Numero di alleli del pool genetico (totale  1000) Frequenze alleliche 800 1000  0,8 W  0,2 w 640 W 160 W  160 w 40 w 200 Figura 13.8B

Per verificare l’equilibrio di Hardy-Weinberg si possono seguire gli alleli in una popolazione. Ricombinazione degli alleli della prima generazione (genitori) Gameti femminili Frequenze genotipiche Frequenze alleliche 0,64 WW 0,32 Ww 0,04 ww 0,8 W 0,2 w Seconda generazione: W femminile p  0,8 w femminile q  0,2 W maschile p  0,8 w maschile q  0,2 Gameti maschili WW p2  0,64 Ww pq  0,16 wW qp  0,16 ww q2  0,04 Figura 13.8C

Perché una popolazione si mantenga all’interno dell’equilibrio di Hardy-Weinberg devono essere soddisfatte le seguenti cinque condizioni: la popolazione deve essere molto vasta; la popolazione deve essere isolata; non devono avvenire mutazioni che alterino il pool genico; l’accoppiamento tra gli individui deve essere casuale; tutti gli individui devono avere pari successo riproduttivo;

13.9 L’equazione di Hardy-Weinberg è utile nello studio delle malattie genetiche I consultori genetici utilizzano l’equazione di Hardy-Weinberg per stimare la percentuale dei soggetti portatori di alleli responsabili di alcune malattie ereditarie. Conoscere la frequenza di un allele dannoso è utile per qualunque programma di sanità pubblica che si occupi di malattie genetiche.

13.10 La deriva genetica e il flusso genico possono contribuire alla microevoluzione La deriva genetica La deriva genetica è un cambiamento nel pool genico di una piccola popolazione. Può alterare le frequenze alleliche in una popolazione. È un esempio di microevoluzione in cui non è coinvolta la selezione naturale.

l’effetto collo di bottiglia; l’effetto del fondatore. Esistono due modi in cui la deriva genetica può avere un effetto sulle frequenze alleliche: l’effetto collo di bottiglia; l’effetto del fondatore. Popolazione iniziale Effetto collo di bottiglia Popolazione sopravvisuta Figura 13.10A Figura 13.10B

Il flusso genico Il flusso genico è un altro fattore che può determinare microevoluzione: si verifica quando individui fertili entrano a fare parte di una popolazione o se ne allontanano, oppure quando si verifica un trasferimento di geni; tende a ridurre le differenze genetiche tra le popolazioni.

Il ruolo delle mutazioni Il ruolo delle mutazioni Anche le mutazioni (cambiamenti casuali nel DNA di un organismo che possono dare origine a un nuovo allele) possono determinare microevoluzione. Le mutazioni sono la causa principale della variabilità genetica e rappresentano il punto di partenza dei processi evolutivi.

L’accoppiamento non casuale All’interno delle popolazioni che si riproducono per via sessuata, alcuni individui (genotipi che presentano caratteristiche più efficienti) generano più figli di altri. In questo modo, la selezione naturale dà luogo al mantenimento dei caratteri che permettono l’adattamento di una popolazione al proprio ambiente.

Variabilità e selezione naturale 13.11 Gran parte delle popolazioni è caratterizzata da una notevole variabilità Il polimorfismo Molte popolazioni mostrano polimorfismo, diverse varianti di una caratteristica fenotipica. Figura 13.11A, B

Oltre alle variazioni all’interno delle popolazioni, nella maggior parte delle specie esistono variazioni tra le popolazioni. Le popolazioni possono mostrare anche variazioni geografiche. Talvolta un cambiamento geografico progressivo dà origine a un cline, cioè a una variazione graduale di una caratteristica ereditaria.

La misura della variabilità genetica Per misurare la variabilità genetica, i genetisti prendono in considerazione: la variabilità a livello di geni (media percentuale di loci genici eterozigoti in una popolazione); la variabilità nei nucleotidi (confronto delle sequenze nucleotidiche in campioni di DNA).

13.12 Le mutazioni e la ricombinazione sessuale sono alla base della variabilità genetica Le mutazioni possono creare nuovi alleli. Una mutazione genica puntiforme può essere innocua se avviene in un tratto di DNA che non influenza la funzione della proteina codificata. Le mutazioni cromosomiche si originano nel corso della meiosi, coinvolgono tratti di DNA abbastanza lunghi e sono quasi certamente dannose.

La ricombinazione sessuale produce variazioni mescolando gli alleli durante la meiosi. A1 A2 A3 e X Genitori Meiosi Gameti Fecondazione Prole con nuove combinazioni di alleli Figura 13.12A, B

13.13 La selezione naturale influenza la variabilità genetica 13.13 La selezione naturale influenza la variabilità genetica La presenza di due corredi di cromosomi negli eucarioti diploidi impedisce che le popolazioni diventino geneticamente uniformi. Negli eterozigoti l’allele recessivo è mascherato dall’allele dominante e protetto dalla selezione naturale. L’«oscuramento» da parte degli alleli dominanti permette a un gran numero di alleli recessivi di rimanere in un pool genico.

Negli organismi diploidi la variabilità genetica può essere preservata proprio dalla selezione naturale. Quando la selezione naturale mantiene stabile per lunghi periodi di tempo la frequenza di due o più fenotipi in una popolazione si parla di selezione bilanciante. Questi poliformismi bilanciati possono essere il risultato della cosiddetta superiorità dell’eterozigote o della selezione frequenza-dipendente.

Esistono variazioni neutrali, cioè variazioni di una caratteristica ereditaria che non favorisce selettivamente alcuni individui rispetto ad altri. Figura 13.13

13.14 Le specie a rischio di estinzione presentano spesso una scarsa variabilità Le specie in pericolo d’estinzione sono caratterizzate da una bassa variabilità genetica. La bassa variabilità genetica può ridurre la capacità di alcune specie (come il ghepardo) di sopravvivere ai cambiamenti che gli esseri umani causano nel loro ambiente. Figura 13.14

13.15 Il successo riproduttivo dipende dalla trasmissione dei geni 13.15 Il successo riproduttivo dipende dalla trasmissione dei geni Il successo riproduttivo, o fitness, è il contributo di un individuo al pool genetico della generazione successiva rispetto a quello di altri individui. Gli individui più avvantaggiati in un determinato contesto evolutivo sono quelli che contribuiscono maggiormente con i loro geni alla generazione seguente.

13.16 La selezione naturale agisce in tre modi diversi 13.16 La selezione naturale agisce in tre modi diversi La selezione stabilizzante favorisce le varietà intermedie. La selezione direzionale tende a eliminare uno dei due estremi delle varianti fenotipiche. La selezione divergente favorisce gli individui posti a entrambi gli estremi della gamma fenotipica.

Selezione stabilizzante Selezione direzionale I tre possibili effetti della selezione naturale: Popolazione di partenza Numero di individui Popolazione di partenza Popolazione che si è evoluta Varianti fenotipiche (colore della pelliccia) Figura 13.16 Selezione stabilizzante Selezione direzionale Selezione divergente

13.17 La selezione sessuale influenza il dimorfismo tra i sessi 13.17 La selezione sessuale influenza il dimorfismo tra i sessi La selezione sessuale porta all’evoluzione di caratteri sessuali secondari (dimorfismo sessuale) che possono conferire agli individui un vantaggio nell’accoppiamento. Figura 13.17A Figura 13.17B

13.18 La selezione naturale non può «confezionare» organismi perfetti 13.18 La selezione naturale non può «confezionare» organismi perfetti Ci sono almeno quattro buone ragioni per cui la selezione naturale non può produrre individui perfetti: gli organismi sono condizionati dalla loro storia; gli adattamenti sono spesso dei compromessi; il caso interagisce con la selezione naturale; la selezione può soltanto far emergere le varianti esistenti.