REATI IN MATERIA AMBIENTALE

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REATI IN MATERIA AMBIENTALE I DELITTI

Art. 258 D.lgs. 152/06: VIOLAZIONI DI OBBLIGHI IN MATERIA DI FORMULARI Ogni rifiuto deve essere trasportato con un formulario. Chi falsifica il certificato di analisi dei rifiuti che accompagna il formulario è punito con la pena prevista dall’art. 483 c.p. (falsità ideologica commessa da privato in atto pubblico)

Art. 260 bis D.lgs. 152/06 Sistema tracciabilità dei rifiuti (SISTRI) – Rinvio. Se si falsificano i certificati di analisi utilizzati nell’ambito del SISTRI, si applicano le pene previste dall’art. 483 c.p. Se si alterano fraudolentemente le schede SISTRI, si applicano le pene previste dagli artt. 477 e 482 c.p. (falsità materiale del privato in certificazioni)

I DELITTI IN MATERIA AMBIENTALE Art. 260 comma 1: «Chiunque, al fine di conseguire un ingiusto profitto, con più operazioni e attraverso l'allestimento di mezzi e attività continuative organizzate, cede, riceve, trasporta, esporta, importa, o comunque gestisce abusivamente ingenti quantitativi di rifiuti è punito con la reclusione da uno a sei anni» Art. 260 comma 2: «Se si tratta di rifiuti ad alta radioattività si applica la pena della reclusione da tre a otto anni»

Art. 260 D.lgs. 152/06 Parallelismo con l’associazione a delinquere: la pluralità di agenti, tuttavia, non è qui richiesta come elemento costitutivo della fattispecie Reato di pura condotta. Più condotte autonome Necessaria una struttura organizzata: Necessario l’inserimento di tali operazioni nel contesto di una struttura organizzata, che operi con continuità. La fattispecie criminosa deve, in effetti, essere espletata attraverso più operazioni e con l’allestimento di mezzi e attività continuative organizzate

Art. 260 D.lgs. 152/06 Ingente quantità di rifiuti: difficile valutare Esclusa l’illegittimità costituzionale (es. piccole quantità ripetutamente) Fine di lucro: dolo intenzionale - non necessariamente di natura patrimoniale, ben potendo essere integrato anche dal mero risparmio di costi o dal perseguimento di vantaggi di altra natura

Art. 260 – Conseguenze del reato Il legislatore ha previsto pene alte Alla condanna conseguono le pene accessorie di cui agli artt. 28, 30, 32 bis e 32 ter del c.p. Il giudice, con la sentenza di condanna o con quella emessa ai sensi dell'art. 444 c.p.p., ordina il ripristino dello stato dell'ambiente e può subordinare la concessione della sospensione condizionale della pena all'eliminazione del danno o del pericolo per l'ambiente

LA COMBUSTIONE ILLECITA DI RIFIUTI La L. 8 febbraio 2014, n. 6 ha introdotto una nuova fattispecie incriminatrice che è confluita nel T.U. dell’ambiente all’art. 256 bis, rubricato «Combustione illecita di rifiuti» Il legislatore ha, così, tentato di far fronte al preoccupante fenomeno dei roghi di rifiuti, al quale conseguono danni sia all’ambiente che alla salute umana

Art. 256 bis D.lgs. 152/06 Comma 1: «Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque appicca il fuoco a rifiuti abbandonati ovvero depositati in maniera incontrollata è punito con la reclusione da due a cinque anni. Nel caso in cui sia appiccato il fuoco a rifiuti pericolosi, si applica la pena della reclusione da tre a sei anni. Il responsabile è tenuto al ripristino dello stato dei luoghi, al risarcimento del danno ambientale e al pagamento, anche in via di regresso, delle spese per la bonifica».

Art. 256 bis D.lgs. 152/06  Reato di pericolo presunto La collocazione nel T.U.A. suggerisce che l’oggetto della tutela debba individuarsi nell’integrità del suolo e nella qualità dell’aria, non già nell’incolumità pubblica Necessaria la presa delle fiamme sui rifiuti. Il reato si configurerà, quindi, anche nel caso in cui l’agente provocherà un rogo individuale, circoscritto e senza possibilità di diffusione nello spazio Il verbo «appicca» è sintomatico della necessità di accertare la sussistenza del dolo intenzionale

Art. 256 bis D.lgs. 152/06 La pena è aumentata in ragione della natura pericolosa dei rifiuti sui quali è applicato il fuoco Ai sensi dell’art. 184 comma 4 D.lgs. 152/06 sono pericolosi, i rifiuti che recano le caratteristiche di cui all’allegato I della parte quarta del medesimo decreto

Art. 256 bis D.lgs. 152/06 Dal momento che è la stessa connotazione di pericolosità del rifiuto a fondare l’aggravio di pena, si impone al giudice l’accertamento della sussistenza del dolo anche rispetto a tale elemento Quanto al «ripristino dei luoghi, al risarcimento del danno ambientale e al pagamento, anche in via di regresso, delle spese di bonifica», tali obblighi contribuiscono a rendere effettiva la tutela ambientale

Art. 256 bis D.lgs. 152/06 Comma 2: «Le stesse pene si applicano a colui che tiene le condotte di cui all'articolo 255, comma 1, e le condotte di reato di cui agli articoli 256 e 259 in funzione della successiva combustione illecita di rifiuti». La norma incrimina la condotta di colui il quale gestisca, depositi ovvero traffichi illecitamente rifiuti in funzione della loro successiva combustione La disposizione tipizza una condotta di tentativo incompiuto del reato di combustione di rifiuti, secondo la tecnica dei delitti di attentato (o a consumazione anticipata)

Art. 256 bis D.lgs. 152/06 Comma 3: «La pena è aumentata di un terzo se il delitto di cui al comma 1 è commesso nell'ambito dell'attività di un'impresa o comunque di un'attività organizzata. Il titolare dell'impresa o il responsabile dell'attività comunque organizzata è responsabile anche sotto l'autonomo profilo dell'omessa vigilanza sull'operato degli autori materiali del delitto comunque riconducibili all'impresa o all'attività stessa; ai predetti titolari d'impresa o responsabili dell'attività si applicano altresì le sanzioni previste dall'art. 9, comma 2, del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231».

Art. 256 bis D.lgs. 152/06 La norma introduce una circostanza aggravante speciale, ricorrente ogni qualvolta la combustione assuma le vesti di vero e proprio auto-smaltimento del rifiuto prodotto nell’esercizio di attività di impresa È altresì prevista l’applicazione delle sanzioni interdittive di cui all’art. 9, comma 2, del D.lgs. 231/2001. Tale mero rinvio potrebbe portare a considerare tutte le interdizioni come perpetue, non fornendosi al giudice alcun tipo di strumento per la relativa commisurazione

Art. 256 bis D.lgs. 152/06 Comma 4: «La pena è aumentata di un terzo se il fatto di cui al comma 1 è commesso in territori che, al momento della condotta e comunque nei cinque anni precedenti, siano o siano stati interessati da dichiarazioni di stato di emergenza nel settore dei rifiuti ai sensi della legge 24 febbraio 1992, n. 225». Circostanza aggravante speciale Peculiare gravità oggettiva della condotta Maggiore intensità del dolo

Art. 256 bis D.lgs. 152/06 Comma 5: «I mezzi utilizzati per il trasporto di rifiuti oggetto del reato di cui al comma 1 del presente articolo, inceneriti in aree o in impianti non autorizzati, sono confiscati ai sensi dell'articolo 259, comma 2, salvo che il mezzo appartenga a persona estranea alle condotte di cui al citato comma 1 del presente articolo e che non si configuri concorso di persona nella commissione del reato. Alla sentenza di condanna o alla sentenza emessa ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale consegue la confisca dell'area sulla quale è commesso il reato, se di proprietà dell'autore o del concorrente nel reato, fatti salvi gli obblighi di bonifica e ripristino dello stato dei luoghi».

Art. 256 bis D.lgs. 152/06 Il mezzo di trasporto, ai fini della confisca, deve essere stato impiegato per trasportare rifiuti già oggetto di combustione, e non, invece, per trasportare rifiuti da dare al fuoco La confisca dei suoli è espressamente subordinata alla sentenza di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti. L’istituto è già stato sperimentato – con molta cautela – nella normativa repressiva in tema di rifiuti, essendo previsto per il reato di «realizzazione di discarica abusiva»

Art. 256 bis D.lgs. 152/06 Comma 6: «Si applicano le sanzioni di cui all’art. 255 se le condotte di cui al comma 1 hanno ad oggetto i rifiuti di cui all’art. 184, comma 2 lett. e)».  Sanzione amministrativa Il riferimento è ai «rifiuti vegetali provenienti da aree verdi, quali giardini, parchi e aree cimiteriali». La deroga sanzionatoria è giustificata dal bassissimo – per non dire nullo – potenziale inquinante delle ceneri derivanti da una simile attività di combustione

IL DISASTRO AMBIENTALE Art. 434 c.p. : Crollo di costruzioni o altri disastri dolosi «Chiunque, fuori dei casi preveduti dagli articoli precedenti, commette un fatto diretto a cagionare il crollo di una costruzione o di una parte di essa ovvero un altro disastro è punito, se dal fatto deriva pericolo per la pubblica incolumità, con la reclusione da uno a cinque anni. La pena è della reclusione da tre a dodici anni se il crollo o il disastro avviene». Reato punito nella forma colposa dall’art. 449 c.p.

Art. 434 c.p. Norma di chiusura del capo dedicato ai delitti di comune pericolo mediante violenza, preceduto da strage, incendio, naufragio e disastro aviatorio, disastro ferroviario.. C.d. disastro innominato: «ovvero un altro disastro»: unica ipotesi non tipicamente descritta

DISASTRO AMBIENTALE Affinché si configuri il reato di «disastro» è sufficiente che il nocumento metta in pericolo – anche solo potenzialmente – un numero indeterminato di persone Infatti, il requisito che connota la nozione di «disastro», delitto previsto dall'art. 434 c.p., è la potenza espansiva del nocumento anche se non irreversibile, e l'attitudine a mettere in pericolo la pubblica incolumità

DISASTRO AMBIENTALE Tipici esempi di disastro: Stava, Vajont La giurisprudenza tende ad applicare questo reato anche in ipotesi in cui l’evento di danno è meno imponente: «il termine “disastro” (nella specie ambientale) implica che esso sia cagione di un evento di danno o di pericolo per la pubblica incolumità "straordinariamente grave e complesso", ma non eccezionalmente immane» (Cass., Sez. V, sent. 40330/2006). Pertanto, «è necessario e sufficiente che il nocumento abbia un carattere di prorompente diffusione che esponga a pericolo, collettivamente, un numero indeterminato di persone» (Cass., Sez. V, sent. 11486/1989)

DISASTRO AMBIENTALE Nella specie, i Giudici avevano evidenziato una imponente contaminazione di siti realizzata dagli indagati mediante l'accumulo sul territorio e lo sversamento nelle acque di ingenti quantitativi di rifiuti speciali altamente pericolosi. Tali condotte hanno insita una elevata portata distruttiva dell’ambiente con conseguenze gravi, complesse ed estese ed hanno una alta potenzialità lesiva tanto da provocare un effettivo pericolo per la incolumità fisica di un numero indeterminato di persone idonee a confermare gli arresti domiciliari a un imprenditore per lo smaltimento illecito di rifiuti speciali pericolosi (Cass., Sez. III, 29.2.2008, n. 9418)

DISASTRO AMBIENTALE CASO ETERNIT Negli stabilimenti Eternit si producevano manufatti di cemento-amianto. L’amianto era la materia prima e veniva utilizzato in dosi massicce La dispersione di fibre di amianto era dirompente Le fibre di amianto venivano “pettinate”, “sfilacciate”, “miscelate” e “disintegrate”, per poi essere inviate al ciclo di impasti per essere miscelate con il cemento (Trib. Torino, p. 249 e ss.). Gli impianti (ad esempio il disintegratore a Cavagnolo, p. 252) erano alimentati manualmente, “rovesciando i sacchi di amianto in un alimentatore a coclea”. Dopo l’essiccazione, i manufatti realizzati erano carteggiati e rifiniti a secco (p. 250). Le lavorazioni preliminari venivano eseguite dal personale operaio che portava il materiale con delle palette presso i miscelatori (p. 256) o utilizzando un piano ribaltabile praticando tre tagli nel sacco (p. 253).

DISASTRO AMBIENTALE – ETERNIT L’evento di disastro era stato ravvisato dal tribunale di Torino in una situazione diffusa e di lunga durata di inquinamento ambientale da fibre di amianto, anche nel territorio circostante gli stabilimenti Dato epidemiologico riportato nella sentenza del tribunale di Torino è impressionante:

DISASTRO AMBIENTALE – ETERNIT Stabilimento Monferrato (3.400 lavoratori) 284 decessi per asbestosi: 1 atteso 177 mesoteliomi pleurici: 5 attesi 69 mesoteliomi al peritoneo: 3 attesi 286 tumori del polmone: 128 attesi Stabilimento Bagnoli (1.500 lavoratori) N. tumori peritoneo > 15-16 volte al dato atteso 22 mesoteliomi pleurici: 0,9 attesi N. tumori polmonari doppio rispetto dato atteso 44 asbestosi: 0,009 attesi

DISASTRO AMBIENTALE – ETERNIT Sulla base di questi allarmanti dati fattuali il Tribunale di Torino ha ritenuto sussistere un’ipotesi di disastro, addirittura doloso: un disastro correlato all’esposizione ad amianto è stato riconosciuto in una situazione di altissime concentrazioni di fibre: «la contaminazione dei siti industriali e zone ad essi limitrofi [ha] assunto caratteristiche di potenza espansiva del danno e di attitudine a mettere in pericolo la pubblica incolumità tali da poter essere considerata come disastro»

DISASTRO AMBIENTALE Nozione unitaria di disastro: Sul piano dimensionale: evento distruttivo di proporzioni straordinarie, anche se non necessariamente immani, atto a produrre effetti dannosi gravi, complessi ed estesi Sul piano dell’offesa: pericolo per la vita o per l’integrità fisica di un numero indeterminato di persone, anche se non serve l’effettiva morte di uno o più soggetti.

DISASTRO AMBIENTALE: QUESTIONE DI LEGITTIMITA’ COSTITUZIONALE Con Sent. Interpretativa di rigetto n. 327/08, la Consulta ha dichiarato infondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 434 c.p., nella parte in cui esso punisce il c.d. disastro innominato, sollevate con riferimento agli artt. 24, 24 comma 2 e 27 Cost. «La nozione di ‘altro disastro’, su cui gravita la descrizione del fatto illecito, si connette con l’impossibilità pratica di elencare analiticamente tutte le situazioni astrattamente idonee a mettere in pericolo la pubblica incolumità»

DISASTRO AMBIENTALE: QUESTIONE DI LEGITTIMITA’ COSTITUZIONALE L'«altro disastro», cui fa riferimento l'art. 434 cod. pen., è un accadimento sì diverso, ma comunque omogeneo, sul piano delle caratteristiche strutturali, rispetto ai «disastri» contemplati negli altri articoli compresi nel capo relativo ai «delitti di comune pericolo mediante violenza»: conclusione, questa, confortata anch'essa dai lavori preparatori del codice. Secondo la Corte, “l’analisi d’insieme dei delitti compresi nel capo I del titolo VI” consente “in effetti, di delineare una nozione unitaria di ‘disastro’, i cui tratti qualificanti si apprezzano sotto un duplice e concorrente profilo. Da un lato, sul piano dimensionale, si deve essere al cospetto di un evento distruttivo di proporzioni straordinarie, anche se non necessariamente immani, atto a produrre effetti dannosi gravi, complessi ed estesi. Dall’altro lato, sul piano della proiezione offensiva, l’evento deve provocare – in accordo con l’oggettività giuridica delle fattispecie criminose in questione (la ‘pubblica incolumità’) – un pericolo per la vita o per l’integrità fisica di un numero indeterminato di persone; senza che peraltro sia richiesta anche l’effettiva verificazione della morte o delle lesioni di uno o più soggetti”.

DISASTRO AMBIENTALE: QUESTIONE DI LEGITTIMITA’ COSTITUZIONALE Quindi, l’art. 434 c.p. è sì una norma di chiusura – poiché disciplina un accadimento diverso da quelli precedentemente disciplinati – ma non può certo essere considerata indeterminata Inoltre, in quella sede, i giudici hanno espresso l’auspicio che l’ipotesi di c.d. disastro ambientale formi oggetto di autonoma considerazione da parte del legislatore: «In relazione ai problemi interpretativi che possono porsi nel ricondurre alcune ipotesi al paradigma del c.d. disastro innominato (tra le quali, segnatamente, l'ipotesi del disastro ambientale), è auspicabile un intervento del legislatore penale che disciplini in modo autonomo tali fattispecie criminose» 

RIFORMA DEI REATI AMBIENTALI Recentemente è stato approvato alla Camera il Ddl che inserisce nel codice penale un nuovo titolo (Titolo VI-bis), dedicato ai reati contro l’ambiente Il Ddl prevede l’introduzione di quattro delitti ambientali: Inquinamento ambientale Disastro ambientale Traffico e abbandono di materiale di alta radioattività Impedimento al controllo

RIFORMA DEI REATI AMBIENTALI Le pene previste potranno essere diminuite per coloro che collaborano con le autorità prima della definizione del giudizio (ravvedimento operoso) Le fattispecie di inquinamento ambientale (art. 452-bis c.p.) e di disastro ambientale (art. 452-ter c.p.) potranno essere commesse anche per colpa

RIFORMA DEI REATI AMBIENTALI: IL NUOVO ART. 452-ter c.p. Disastro ambientale: Comma 1: «Chiunque, in violazione di disposizioni legislative, regolamentari o amministrative, specificamente poste a tutela dell’ambiente e la cui inosservanza costituisce di per sé illecito amministrativo o penale, cagiona un disastro ambientale è punito con la reclusione da quattro a venti anni»

RIFORMA DEI REATI AMBIENTALI: IL NUOVO ART. 452-ter c.p. Comma 2: «Costituisce disastro ambientale l’alterazione irreversibile dell’equilibrio dell’ecosistema o l’alterazione la cui eliminazione risulti particolarmente complessa sotto il profilo tecnico o particolarmente onerosa o conseguibile solo con provvedimenti eccezionali ovvero l’offesa della pubblica incolumità in ragione della rilevanza oggettiva per l’estensione della compromissione ovvero per il numero delle persone offese o esposte a pericolo»

AVVELENAMENTO DI ACQUE O DI SOSTANZE ALIMENTARI Art. 439 codice penale: Comma 1: «Chiunque avvelena acque o sostanze destinate all’alimentazione, prima che siano attinte o distribuite per il consumo, è punito con la reclusione non inferiore a 15 anni». Comma 2: «Se dal fatto deriva la morte di alcuno, si applica l’ergastolo e nel caso di morte di più persone si applica la pena [di morte]».

AVVELENAMENTO – art. 439 c.p. Si tratta di un delitto contro l’incolumità pubblica, volto a proteggere dal contatto con acque o sostanze alimentari avvelenate coloro che potrebbero bere le acque avvelenate o mangiare gli alimenti avvelenati dopo la loro distribuzione per il consumo. La tutela è anticipata alla soglia del pericolo per l’incolumità pubblica Un danno per la salute di persone determinate non è elemento costitutivo del reato, ma integra un’aggravante in caso di morte

AVVELENAMENTO – art. 439 c.p. Il comportamento tipico si sostanzia nel rendere velenose acque o sostanze destinate alla pubblica alimentazione:  Secondo l’opinione dominante, il predetto effetto naturalistico può seguire immediatamente l’azione o l’omissione oppure risultare differito nel tempo

AVVELENAMENTO – art. 439 c.p. Si tratta di un reato comune In qualità di reato di evento a forma libera, esso può essere realizzato sia in forma commissiva sia in forma omissiva ex art. 40 comma 2 c.p. Secondo l’opinione dominante, non vi sono ostacoli alla configurabilità del tentativo

AVVELENAMENTO – art. 439 c.p. Se è vero che gli effetti dell’avvelenamento possono essere apprezzati sia nel breve che nel medio-lungo periodo, si deve evidenziare la natura di reato istantaneo, tutt’al più ad effetti differiti Il delitto si perfeziona nel momento in cui gli oggetti materiali del reato hanno acquisito qualità venefiche tali da poter ledere la salute di una pluralità indeterminata di consociati, senza che sia necessario che si verifichi un danno alla salute dei singoli individui

AVVELENAMENTO – art. 439 c.p. Reato di pericolo presunto? accertamento in concreto del pericolo insito nell’accertamento dell’avvelenamento Il concetto di avvelenamento di per sé denota una situazione spiccatamente pericolosa: è un veleno solo una sostanza che causa pericoli per la salute

AVVELENAMENTO – Nozione «Il pericolo è l'aspetto sostanziale dell'avvelenamento: se non sorge alcun pericolo, l'acqua non si può dire 'avvelenata', e perciò non vi è reato» (Pagliaro) È questo il senso dell’affermazione ricorrente in dottrina e in giurisprudenza, secondo cui «il pericolo per la pubblica incolumità non è espressamente menzionato dal legislatore, in quanto insito nello stesso avvelenamento» (Fiandaca e Musco)

AVVELENAMENTO – Nozione Cass. 13 febbraio 2007, n. 15216: «La norma incriminatrice non richiede apertis verbis che dal fatto sia derivato un pericolo per la salute pubblica e la considerazione può ritenersi sufficiente a giustificare l’orientamento giurisprudenziale che considera il reato in esame come fattispecie di pericolo presunto. Ciò nondimeno il giudice è tenuto, anzitutto, ad accertare che si sia verificato l’avvelenamento (termine che ha pregnanza semantica tale da renderne deducibile in via normale il pericolo per la salute pubblica, bene giuridico tutelato), che è l’evento del reato»

AVVELENAMENTO – Nozione Cass. 13 febbraio 2007, n. 15216: la Cassazione ha annullato (con rinvio) la sentenza impugnata, «che afferma in modo del tutto apodittico la sussistenza dell’avvelenamento; non spiega, in altre parole, da quali elementi abbia dedotto che il cromo versato nel rio avesse determinato l’avvelenamento delle acque. Manca, tra l’altro, nella decisione impugnata, ogni considerazione sull’effettiva quantità di cromo finita nelle acque, benché l’avvelenamento non possa riferirsi se non a condotte che, per la qualità e la quantità dell’inquinante, siano pericolose per la salute pubblica, pericolosità che va scientificamente accertata…

AVVELENAMENTO – Nozione ..Pericolosa per il bene giuridico tutelato è, in altre parole quella dose di sostanza contaminante alla quale le indagini scientifiche hanno associato effetti avversi per la salute. Non è corretto, invece, il riferimento a schemi presuntivi; in particolare, i “limiti soglia”, di cui parla la sentenza impugnata, costituiscono una prudenziale indicazione sulla quantità di sostanza, presente in alimenti, che l’uomo può assumere senza rischio, quotidianamente e sul lungo periodo».

AVVELENAMENTO – Nozione La natura «venefica», quindi pericolosa della sostanza, deve essere accertata in concreto. Anche se non si può definire come reato di pericolo concreto, l’avvelenamento presuppone pur sempre un pericolo reale per la salute. Ciò implica la necessità di valutare in concreto se vi sia stata immissione di sostanze inquinanti in qualità e quantità sufficienti da determinare un pericolo in caso di ingestione, non essendo sufficiente invocare la natura oggettivamente venefica della sostanza.

AVVELENAMENTO – Nozione Paracelso: “è la dose che fa il veleno” . Arsenico: storico veleno Nell’acqua potabile è normativamente previsto (D.Lgs. 31/2001 sulla potabilità delle acque) un limite di 10 microgrammi/litro. Neanche in applicazione dei limiti iper-precauzionali fissati dalla Legge, si può identificare un pericolo per l’assunzione per tutta la vita di arsenico in basse concentrazioni

AVVELENAMENTO – Nozione Termine avvelenare: perché l’acqua possa considerarsi avvelenata, integrando l’elemento materiale del reato, vi deve essere necessariamente il pericolo che essa determini effetti tossici nelle persone che vi entrino in contatto alimentare L’avvelenamento non deve necessariamente avere potenzialità letale: è sufficiente che abbia idoneità a nuocere alla salute (Cass., Sez. I, 26.9.2006, n. 35456) CRITICA: entità della pena. La pena è più alta di quella prevista per il tentato omicidio aggravato dall’uso di sostanze venefiche (da 12 a 24 anni – avvelenamento: da 15 a 24): proiezione offensiva più intensa di quella del tentativo di omicidio aggravato, perché diretta a un numero indeterminato di persone.

AVVELENAMENTO – Nozione La natura velenosa delle sostanze deve essere accertata secondo parametri oggettivi che prescindono dalle condizioni individuali di salute o dalle capacità di reazione del singolo L’art. 439 c.p. conferisce rilevanza a qualunque tipologia di veleno, a prescindere che quest’ultimo sia inserito nella farmacopea ufficiale, purché in grado di provocare effetti offensivi

AVVELENAMENTO – Oggetto Oggetto materiale di avvelenamento possono essere «acque o sostanze destinate all’alimentazione» prima che siano attinte/distribuite per il consumo. Es: chi avvelena l’acqua del pozzo prima che l’acqua sia attinta da un soggetto determinato, si rende responsabile di avvelenamento ex art. 439 c.p.; chi, viceversa, avvelena l’acqua dopo che un soggetto abbia attinto l’acqua per il proprio uso domestico, risponderà di omicidio aggravato nella forma consumata o tentata. Il concetto di destinazione non implica che l’uso della cosa alimentare sia imminente: la fattispecie si presta ad essere integrata anche in caso di prospettiva di utilizzazione lontana nel tempo. Deve trattarsi di uso sì futuro, ma certo e probabile.

AVVELENAMENTO - Oggetto Rientra nella previsione di legge qualsiasi acqua ad uso alimentare, e quindi non quella usata soltanto per bere, ma anche quella usata per preparare gli alimenti È indifferente il luogo dove si trovi l’acqua, che sia corrente, stagnante, sorgiva oppure chiusa in pozzi, cisterne, serbatoi, acquedotti, ecc., che si tratti di acqua di proprietà privata oppure pubblica (Cass., Sez. III, 27.5.1997) Specie in passato, sono state considerate ‘acque desinate all’alimentazione’ non solo quelle destinate direttamente al consumo, ma anche quelle che, essendo impiegate per la coltivazione di prodotti agricoli o per l’allevamento di bestiame, risultano indirettamente destinate alla pubblica alimentazione (Trib. Savona, 17.6. 1982)

AVVELENAMENTO - Oggetto Indirizzo giurisprudenziale (inerente il meno grave reato di adulterazione di sostanze alimentari, art. 440 c.p.): oggetto del reato possono essere anche acque di falda potenzialmente attingibili e, pertanto, destinabili (anziché attualmente destinate) all’alimentazione umana. Critica: interpretazione analogica? Ciò che è destinabile all’alimentazione non è destinato all’alimentazione.

AVVELENAMENTO - Dolo Ai fini dell’integrazione del dolo si richiede: La conoscenza della natura venefica della sostanza immessa La volontà di contaminare le acque/sostanze alimentari La consapevolezza della destinazione all’alimentazione collettiva Laddove parte della dottrina sostiene la necessità che l’agente si rappresenti anche il pericolo che deriva dall’avvelenamento, altri ritengono che tale consapevolezza sia insita nel fatto stesso di avvelenare cose destinate all’alimentazione

AVVELENAMENTO - Circostanze Il comma secondo dell’art. 439 c.p. contempla due fattispecie accessorie di natura oggettiva: dall’avvelenamento deriva la morte di una persona dall’avvelenamento derivi la morte di più persone In entrambi i casi – a seguito dell’abrogazione della pena di morte - è prevista la pena dell’ergastolo L’equiparazione sul versante sanzionatorio delle due ipotesi di cui supra, tuttavia, non convince gran parte della dottrina

Art. 452 c.p. Ipotesi colposa di avvelenamento: Nel caso di morte di più persone, si applica la pena da 3 a 12 anni; Nel caso di morte di una persona si applica la pena da 1 a 5 anni; Per il solo avvelenamento si applica la pena da 6 mesi a 3 anni.

Art. 452 c.p. Ai fini dell’affermazione della responsabilità colposa, è necessario verificare che l’avvelenamento delle acque e delle sostanze destinate all’alimentazione pubblica sia avvenuta a causa di imprudenza, negligenza o imperizia ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline Quanto al momento a partire dal quale il pericolo comune immanente all’avvelenamento debba ritenersi riconoscibile all’agente modello e, dunque, evitabile la sua realizzazione nell’evento, è stato autorevolmente sottolineato che «si deve far riferimento alle conoscenze diffuse in un dato momento, e alle misure tecnologiche disponibili in un dato momento sul mercato» (MARINUCCI)