Storia e sviluppo del concetto di calore
I fenomeni termici erano già noti agli albori della civiltà: la lavorazione di metalli, infatti, richiedeva l’applicazione del calore e le nozioni in base all’esperienza si accumularono velocemente. Il concetto di temperatura è legato alle nostre sensazioni di caldo e di freddo e da ogni operazione chimica deriva un apporto o una perdita di calore. Lo studio del calore è fortemente collegato alla chimica, in quanto una delle sue manifestazioni più visibili è il fuoco. Soprattutto durante il XVIII secolo, gli studi del calore si affiancarono a quelli sui gas, allora molto praticati. Possiamo datare l’inizio dei veri studi scientifici sul calore attorno al 1650, quando all’Accademia del Cimento vengono costruiti i primi termometri. In precedenza, Galileo si impegnò già nella creazione di un termoscopio,ma furono gli allievi dell’Accademia a impiegare ampiamente i termometri, anche se in realtà questi strumenti non avevano ancora punti fissi e, di conseguenza, i risultati ottenuti utilizzando strumenti di misura tarati diversamente non potevano essere fra loro confrontati.
Nel 1701 Newton aveva proposto una scala in cui il punto zero c coincideva con il punto di congelamento dell’acqua, mentre il 12 coincideva con la temperatura corporea. Si presupponeva, o almeno si faceva in modo che ciò avvenisse, che il coefficiente di espansione del fluido utilizzato fluido di espansione fosse costante. Anni dopo Faherenheit (1686- 1736 1736) assunse come punto zero la temperatura più bassa che si potesse raggiungere utilizzando una miscela di acqua e sale. Poco dopo dopo la morte di Faherenheit vennero scelti come punti fissi il punto di congelamento dell’acqua e quello della sua ebollizione, il cui Termometro di intervallo di temperatura venne suddiviso in 100 gradi (scala Celsius). Galileo
Fu sempre durante il XVIII secolo che il concetto di calore e quello di temperatura vennero visti come distinti. Joseph Black (1728-1799) si impegnò molto per chiarire il concetto di calore e sottoporlo a misurazione. I suoi contribuiti più duraturi coinvolsero la chimica; in fisica fece avanzare i concetti di capacità termica, calore specifico e calore latente di fusione, che, anche se non molto accuratamente, misurò per l’acqua. Il calore latente era una nuova grandezza introdotta per spiegare i cambiamenti di stato: ciò significa che per spiegare i passaggi di stato di aggregazione della materia, il concetto di temperatura non era più sufficiente e al calore venne attribuita una natura di tipo organico.. Alle basi delle idee teoriche di Black, però, risiedeva la teoria del flogisto ( dal greco «COMBUSTIBILE»). Essa fu inventata da Becher, e stabiliva l’esistenza appunto del flogisto, una «sostanza» che si pensava risiedesse in tutti i corpi combustibili, e che si liberava quando veniva bruciato materiale organico o trattando metalli con calore in aria libera. Dopo ciò i metalli diventavano metalli deflogisticati , gli ossidi, che potevano però riacquistare flogisto attraverso il riscaldamento con il carbone, poichè Joseph Black
si riteneva contenesse flogisto quasi puro si riteneva contenesse flogisto quasi puro. Stahl sapeva che il peso degli ossidi fosse maggiore di quello dei metalli da cui avevano origine, ma trovando semore scappatoie a tali difficoltà, veniva attribuito al flogisto un peso negativo. Questa teoria appoggiava la spiegazione e l’interpretazione, seppure errata, di molti fatti e scoperte, come quella dell’ossigeno. La teoria venne poi completamente smentita da Lavoisier (1743-1794) utilizzando una bilancia. Il problema centrale sul calore, per i filosi naturali era su quale fosse la natura e come potesse essere ridotto a qualcosa di più primitivo. Le dottrine contendenti erano due: secondo una il calore era una sostanza, dotata o meno di peso; secondo l’altra il calore era una specie di moto, probabilmente una vibrazione. La prima dottrina era risultato dei fenomeni che si osservano mescolando tra loro sostanza a temperature diverse. I risultati potevano essere spiegati se si introduceva una sostanza imponderabile e indistruttibile, il calorico (secondo Lavoisier). Il calore nascosto, il calore latente, si inseriva nello schema ammettendo che il calorico potesse combinarsi con gli atomi di una sostanza e diventare così latente, e supponendo che esso potesse liberarsi e diventare osservabile con il termometro. L’altra dottrina invece trovava conferma nello sviluppo di calore in seguito ad attrito. Sostenitore di tale dottrina era Roberrt Boyle, che scrisse: «Se un chiodo abbastanza grande viene infisso con un martello entro una tavola di legno, lo si dovrà colpire molte volte prima che esso divenga caldo: ma una volta che sarà
entrato del tutto nell’asse lasciando fuori solo la testa, così da non poter penetrare ancora più a fondo, pochi colpi saranno sufficienti a dargli un notevole calore; e infatti, quando ad ogni colpo del martello il chiodo entra sempre più nel legno, il moto che viene prodotto è soprattutto e riguarda il chiodo che tende a muoversi lungo una certa direzione; ma quando il moto è bloccato, l’impulso dato dalla martellata, essendo incapace di spingere più avanti il chiodo o di frantumarlo, deve essere consumato nel produrre un muoversi vario, veemente e interno delle parti, e in tal modo si genera un moto che già in precedenza osservammo esser della naturale del calore» Nonostante ciò i due punti di vista coesistevano e così fecero per molto tempo, finchè non venne colta alcuna contraddizione fra essi. Laplace e Lavoisier per esempio affermavano: «Non faremo una scelta fra le due precedenti ipotesi. Molti fenomeni sembrano favorevoli ad una di esse, come il calore prodotto per attrito fra due corpi solidi; ma ve ne sono altre che si spiegano più facilmente con l’altra – e forse entrambe sono valide Robert Boyle Pierre Laplace
Karl Wilcke Benjamin Thompson allo stesso tempo…» Laplace e Lavoisier, dopo Karl Wilcke (che nel 1772 propose di utilizzare come unità di misura del calore, il calore che avrebbe abbassato di 1°C un’unità di peso dell’acqua. Egli utilizzò il calorimetro delle mescolanze ), costruirono i primi calorimetri a ghiaccio, ponendo così le condizioni sufficienti per giungere ad una definizione operativa giusta di temperatura e calore. Un progresso concreto fu fatto da Benjamin Thompson (1753-1814). Dopo essere stato in America e in seguito in Inghilterra, egli emigrò in Germania al servizio dell’Elettore Karl Theodor di Baviera, nel settore della produzione delle armi da fuoco. Si occupò quindi anche di cannoni, e i lavori accanto a questi ebbero un’importante rilevanza nel campo scientifico. Riuscì a dimostrare infatti che una parte del lavoro compiuto durante l’alesatura della bocca da fuoco si trasforma in calore e, facendo uso di un attrezzo appositamente smussato, mostrò anche che il calore era prodotto in continuazione purchè si fornisse lavoro e non era direttamente correlato al taglio del metallo. Rimase però dubbia l’interpretazione di questo esperimento.
Rumford, e dopo di lui Thomas Young, sostennero che fosse inconciliabile con una teoria materiale del calore e che il calore derivasse da un moto molecolare o un insieme di vibrazioni. Rumford fornì anche dati quantitativi da cui si può ricavare un equivalente meccanico della caloria di 5,5 Joule. Rumford pose alla direzione della Royal Institution Humphry Davy. Davy (1778-1829), seguendo i lavori di Rumford mise in Dubbio la natura materiale del calore attraverso un esperimento: dimostrò che sfregando due pezzi Humphry Davy
di ghiaccio, essi fondono di ghiaccio, essi fondono. Si sapeva che il calore specifico dell’acqua era maggiore di quello del ghiaccio e ciò negava ogni interpretazione del fenomeno basata su una teoria materiale del calore. In ogni caso, né le ricerche di Rumford né quelle di Davy eliminarono la teoria materiale del calorico; infatti, per esempio, Fourier nel 1822 scrisse il suo libro sulla conduzione termica, partendo dal presupposto che il calore fosse una sostanza indistruttibile. Inoltre le misure dei calori specifici dei gas sembravano essere in accordo con tale teoria, anche se in realtà non lo erano. Fu intorno alla metà del XIX secolo che si affermò e fu stabilita la dottrina della convertibilità del lavoro in calore secondo un rapporto costante, giungendo così al principio di conservazione dell’energi. Bisogna però notare che il secondo principio della termodinamica era stato scoperto prima e, in un primo momento la termodinamica si basava solo su questo essendo, il primo e il secondo principio della termodinamica, indipendente fra loro. Il secondo principio della termodinamica fu scoperto da Sadi g Carnot (1796-1832). Attorno al 1824, Carnot aveva cominciato a porre i propri inte- ò ressi verso le macchine a vapore, macchine create per scopi k puramente pratici. Ma Carnot voleva spingersi oltre a quello j che era il fine della macchina e capirne i fondamenti teorici, l sperando che essi avrebbero portato ad un progresso pratico. Ò Così cominciò a schematizzare la macchina a vapore con un
modello molto semplice per analogia, con una turbina ad acqua, quindi nel caso in cui l’acqua scendendo da un livello superiore ad uno inferiore, trasforma l’energia potenziale in «potenza motrice». Quindi, nel caso della macchina a vapore, pensò che la potenza motrice derivasse dal calore che cade da una temperatura più alta ad una più bassa. Ma a quell’epoca Carnot seguiva la teoria del calorico, e fu per questo che non diede importanza alla differenza fondamentale fra acqua e calore, perché mentre la quantità d’acqua è costante, la quantità di calore ceduta alla temperatura più bassa diminuisce per un ammontare proporzionale al lavoro ottenuto. Carnot non era a conoscenza di ciò e credeva che il calorico si mantenesse costante. Tuttavia, in modo inconsapevole, attraverso all’analisi di una macchina a vapore sviluppando il concetto di rendimento di una macchina, radicò le basi per lo studio di una trasformazione. Carnot sosteneva la sua ipotesi paragonando un fiume che mette in movimento un mulino alla macchina a vapore: così come l’acqua azionava il moto della ruota, anche la macchina a vapore funzionava per la caduta del calorico, dalla caldaia al condensatore. Credeva inoltre che come tutta l’acqua dopo la rotazione della ruota ritorna al fiume, così anche il calorico si conserva dopo aver compiuto lavoro nella macchina a vapore. Nel 1848 Thomson presuppose, aderendo alla teoria del calorico e della sua conservazione come Carnot, che la quantità di calore che entrava nella macchina a vapore alla sorgente fosse uguale a quella che usciva dal refrigerante.
Bisognerà poi giungere verso la metà del XIX secolo perché si stabilisse definitivamente il secondo principio della termodinamica attraverso lo sviluppo di molte osservazioni e generalizzazioni. Gli scienziati che contribuirono alla scoperta del principio di conservazione dell’energia furono tre: Mayer, Joule e Helmholtz. Mayer, a Giacarta, fece dei salassi ad un marinaio e rimase sorpreso dal color rosso, più scuro nelle persone che vivevano in altri climi. In base a questa osservazione casuale, arrivò j lentamente alla conservazione dell’energia. Pensò subito j che il colore del sangue fosse dovuto al clima torrido e alla j minore ossidazione necessaria per mantenere la temperatura j normale del corpo. Questa ipotesi portava a considerare l’esistenza di una legge che legasse calore ed energia. Oltre però non riuscì a spingersi, a causa delle sue insufficienti i conoscenze matematiche. Julius Robert Mayer Il primo scienziato che impostò le idee su basi sperimentali sicure fu James Prescott Joule, che attraverso l’esperimento del mulinello, stabilì l’equivalente meccanico del calore ( 1cal=4,186 Joule). James Prescott Joule
Il terzo grande protagonista della scoperta della legge di conservazione fu Helmholtz (1821-1894). Egli giunse alla legge di conservazione dell’energia soprattutto grazie o agli studi e alle ricerche sulla fermentazione, sulla decomposizione e k sulla produzione di calore degli esseri viventi (che permise di n approfondire anche l’attività muscolare). L Poi vi fu Clausius, che fu il primo a chiarire e superare abilmente ò le contraddizioni presenti nelle teorie del calore allora j conviventi, e sviluppò un vero nuovo ramo della scienza che si l occupa appunto del calore. l Dopo l’enunciazione dei principi della termodinamica, vennero l eseguite numerose applicazioni ai gas reali, ai fenomeni elettrici, l alle trasformazioni di stato, ai vapori, alla capillarità e soprattutto alla chimica. Hermann von Helmholtz Rudolf Clausius