X Canto della Commedia Autore: Dante Alighieri

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X Canto della Commedia Autore: Dante Alighieri Vazzana Flavio III ELN

Indice del Canto Trama Personaggi Pena del contrappasso Luogo & Tempo X Canto

Trama Dante e Virgilio attraversano una palude per raggiungere la città infernale di Dite. In questa pianura vi sono disseminate delle tombe e queste sono separate da un fuoco che le fa bruciare. In queste fosse vi sono riposte anime descritte da Virgilio come epicurei, ovvero discepoli di una filosofia materialistica e queste, a causa del fuoco, lanciano gemiti di sofferenza. Mentre Virgilio e Dante hanno un dialogo, riconoscendo l’accento fiorentino di Dante, si alza Farinata degli Uberti che da vita ad uno scontro verbale con l’autore della commedia. Durante il litigio interviene Cavalcante de Cavalcanti, di Firenze, chiedendo a Dante del figlio Guido e il poeta risponde negativamente per cui Cavalcante si ripone nella tomba. Nel frattempo continua il litigio tra Dante e Farinata.

Personaggi I personaggi presenti in questo canto sono: Dante e Virgilio; Farinata degli Uberti; Cavalcante de Cavalcanti;

Farinata degli Uberti Nobile che visse a Firenze nel XIII secolo. Nel 1239 divenne capo dei ghibellini fiorentini per poter scacciare tutti i guelfi dalla città. Però con la morte dell’imperatore Federico II i guelfi poterono riorganizzarsi e riconquistare la città, esiliando tutti i ghibellini presenti nel capoluogo toscano.

Cavalcante de Cavalcanti Figlio di Schiatta, era un nobile della casata guelfa dei Cavalcanti. Lui aveva uno spirito razionalista ed epicureo perché, essendo formato tutto da atomi, non vi era una immoralità dell’anima

Pena del Contrappasso Gli eretici, essendo vissuti vedendo soltanto le cose materiali, sono riposti dentro delle tombe a testa in giù e l’arrivo del Giudizio Universale provoca la definitiva chiusura di queste.

Luogo e tempo Luogo: questo canto è ambientato nel VI cerchio dell’Inferno, precisamente nella città infernale di Dite, che si trova dopo la palude Stige Tempo: 9 aprile 1300, di sabato.

X Canto Ora sen va per un secreto calle, tra 'l muro de la terra e li martìri, lo mio maestro, e io dopo le spalle. 3 «O virtù somma, che per li empi giri mi volvi», cominciai, «com'a te piace, parlami, e sodisfammi a' miei disiri. 6 La gente che per li sepolcri giace potrebbesi veder? già son levati tutt'i coperchi, e nessun guardia face». 9 E quelli a me: «Tutti saran serrati quando di Iosafàt qui torneranno coi corpi che là sù hanno lasciati. 12 Suo cimitero da questa parte hanno con Epicuro tutti suoi seguaci, che l'anima col corpo morta fanno. 15

Però a la dimanda che mi faci quinc'entro satisfatto sarà tosto, e al disio ancor che tu mi taci». 18 E io: «Buon duca, non tegno riposto a te mio cuor se non per dicer poco, e tu m'hai non pur mo a ciò disposto. 21 «O Tosco che per la città del foco vivo ten vai così parlando onesto, piacciati di restare in questo loco. 24 La tua loquela ti fa manifesto di quella nobil patrïa natio a la qual forse fui troppo molesto». 27 Subitamente questo suono uscìo d'una de l'arche; però m'accostai, temendo, un poco più al duca mio. 30

Ed el mi disse: «Volgiti! Che fai? Vedi là Farinata che s'è dritto: da la cintola in sù tutto 'l vedrai». 33 Io avea già il mio viso nel suo fitto; ed el s‘ergea col petto e con la fronte com'avesse l'inferno a gran dispitto. 36 E l'animose man del duca e pronte mi pinser tra le sepulture a lui, dicendo: «Le parole tue sien conte». 39 Com'io al piè de la sua tomba fui, guardommi un poco, e poi, quasi sdegnoso, mi dimandò: «Chi fuor li maggior tui?». 42 Io ch'era d‘ubidir disideroso, non gliel celai, ma tutto gliel'apersi; ond'ei levò le ciglia un poco in suso; 45

poi disse: «Fieramente furo avversi a me e a miei primi e a mia parte, sì che per due fïate li dispersi». 48 «S'ei fur cacciati, ei tornar d‘ogne parte», rispuos'io lui, «l'una e l'altra fïata; ma i vostri non appreser ben quell'arte». 51 Allor surse a la vista scoperchiata un'ombra, lungo questa, infino al mento: credo che s'era in ginocchie levata. 54 Dintorno mi guardò, come talento avesse di veder s'altri era meco; e poi che 'l sospecciar fu tutto spento, 57 piangendo disse: «Se per questo cieco carcere vai per altezza d'ingegno, mio figlio ov'è? e perché non è teco?». 60 E io a lui: «Da me stesso non vegno: colui ch'attende là, per qui mi mena forse cui Guido vostro ebbe a disdegno». 63

Le sue parole e 'l modo de la pena m‘avean di costui già letto il nome; però fu la risposta così piena. 66 Di sùbito drizzato gridò: «Come? dicesti ‘elli ebbe'? non viv'elli ancora? non fiere li occhi suoi lo dolce lume?». 69 Quando s'accorse d'alcuna dimora ch'io facëa dinanzi a la risposta, supin ricadde e più non parve fora. 72 Ma quell'altro magnanimo, a cui posta restato m'era, non mutò aspetto, né mosse collo, né piegò sua costa: 75 e sé continüando al primo detto, «S‘elli han quell'arte», disse, «male appresa, ciò mi tormenta più che questo letto. 78

Ma non cinquanta volte fia raccesa la faccia de la donna che qui regge, che tu saprai quanto quell'arte pesa. 81 E se tu mai nel dolce mondo regge, dimmi: perché quel popolo è sì empio incontr'a' miei in ciascuna sua legge?». 84 Ond'io a lui: «Lo strazio e 'l grande scempio che fece l‘Arbia colorata in rosso, tal orazion fa far nel nostro tempio». 87 Poi ch'ebbe sospirando il capo mosso, «A ciò non fu' io sol», disse, «né certo sanza cagion con li altri sarei mosso. 90 Ma fu' io solo, là dove sofferto fu per ciascun di tòrre via Fiorenza, colui che la difesi a viso aperto». 93

«Deh, se riposi mai vostra semenza», prega' io lui, «solvetemi quel nodo che qui ha ‘nviluppata mia sentenza. 96 El par che voi veggiate, se ben odo, dinanzi quel che 'l tempo seco adduce, e nel presente tenete altro modo». 99 «Noi veggiam, come quei c'ha mala luce, le cose», disse, «che ne son lontano; cotanto ancor ne splende il sommo duce. 102 Quando s'appressano o son, tutto è vano nostro intelletto; e s'altri non ci apporta, nulla sapem di vostro stato umano. 105 Però comprender puoi che tutta morta fia nostra conoscenza da quel punto che del futuro fia chiusa la porta». 108

Allor, come di mia colpa compunto, dissi: «Or direte dunque a quel caduto che 'l suo nato è co'vivi ancor congiunto; 111 e s'i' fui, dianzi, a la risposta muto, fate i saper che 'l fei perché pensava già ne l'error che m'avete soluto». 114 E già 'l maestro mio mi richiamava; per ch'i' pregai lo spirto più avaccio che mi dicesse chi con lu' istava. 117 Dissemi: «Qui con più di mille giaccio: qua dentro è 'l secondo Federico, e 'l Cardinale; e de li altri mi taccio». 120 Indi s'ascose; e io inver' l'antico poeta volsi i passi, ripensando a quel parlar che mi parea nemico. 123

Elli si mosse; e poi, così andando, mi disse: «Perché se' tu sì smarrito?». E io li sodisfeci al suo dimando. 126 «La mente tua conservi quel ch'udito hai contea te», mi comandò quel saggio; «e ora attendi qui», e drizzò 'l dito: 129 «quando sarai dinanzi al dolce raggio di quella il cui bell'occhio tutto vede, da lei saprai di tua vita il viaggio». 132 Appresso mosse a man sinistra il piede: lasciammo il muro e gimmo inver' lo mezzo per un sentier ch'a una valle fiede, 135 che ‘nfin là sù facea spiacer suo lezzo.