Scaravento sassi Scaravento idee come fossero sassi, oltre la percezione della nebbia fitta. Come boomerangs si ritorcono in fronte e l’umidità mi trapassa.

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... perchè vi voglio bene!.
Transcript della presentazione:

Scaravento sassi Scaravento idee come fossero sassi, oltre la percezione della nebbia fitta. Come boomerangs si ritorcono in fronte e l’umidità mi trapassa. Con tre dita inconsce che ancora affondano vecchie piaghe, mi ostino a costruire un domani mettendo in conto tutto, più di tutto e ancor altro, men che un disegno a me già dato.

Emigrante Cerco nel vento le tue sensazioni, la risposta disumana ad un perché, la nostalgia che ti avrà corroso, il volto di quella donna, che non c’è. Pensa, emigrante, che dopo la tempesta torna sempre il sole a temperare l’amarezza di un esodo forzato, l’angoscia di un arbusto sradicato a forza e piantato altrove. Ascolta, nonno emigrante: in me rimane la radice marcia che ha lasciato il segno nella nostra storia, in me che dovrò raccontarla a chi pretenderà la risposta al perché di una genetica radice pregna di genetico dolore. Custodirò il valore del tuo sacrificio: mi sarà di sostegno nei tanti esodi cui amare circostanze potranno costringermi senza barlumi di scrupolo, proprio com’è toccato a te e a troppi, troppi altri.

Dialogo con un assisiate Non oserò tradirti cadendo nella tentazione di confondermi nella mischia ammainando le vele di sacco. Non oserò nascondere il mio orgoglioso esser tuo. Solo da infame coprirei la tua croce col maglione e non lotterei contro noie e tristezze per sforzarmi di sorridere. Perderei e perderesti dignità se osassi sciogliere il legaccio dei sandali per toglierli. Andrò invece avanti, piedi scalzi e croce al petto tra gli scherni a mo’ dei pazzi. E camminerò pensando che per otto lunghi secoli così tu hai fatto e farai ancora.

Nonna lontana Io non so quanto nettare il vento trasporta sulle immense distese di campi ancora vergini. Io non so quanti chicchi di sabbia l’onda del mare sfiora e bagna nel suo lieve distendersi sulla riva. Né so quante foglie l’autunno strappa ad una grande quercia secolare e saggia, e ormai spoglia. Ma so, grande madre, quanto inafferrabile il mistero che ci divide, di piume forse costruita, riposta chissà dove nel sogno o nelle cose … Ma saprò, presto o tardi, per una curiosa legge universale, risalire la scala di nuvole che conduce alla sconfinata dimora. E correrò tra stelle e galassie, tra oceani di comete e universi a cercarti. Ti troverò, ci fonderemo, e balleremo assieme un valzer celestiale. M’ascolti, nonna, vero? quanto schiette la vita e la morte. E l’uomo pensa e riflette, questo solo sa fare, mentre vorrebbe trovare e spezzare quel filo nascosto che concatena tutte le cose, strappare il cielo, riprendersi il proprio e ricucire. Io non so, nonna lontana, quante lucciole a sera allietano luminose il tuo sorriso. Non odo il dolce valzer che il vento concede ai petali di rose che improfumano la tua anima,

Contrada dei gelsi S’appanna il vetro al mio sospiro malinconico che rende opaca la vita oltre la finestra. E resta lì, a disvelarla. M’implora di riconoscerla prima che presto, e tutta intera. Ho smesso da un pezzo di idealizzare questo fianco di città cosparso di millenari gelsi. Segno che non basta ancora: tutto non è compiuto ma poco si compie per volta. Come ci si sente soli fra mille verità. Strane note stamane all’alba dei gelsi spogli in questo petto rimasto curvo. Chissà quanto avrebbe creduto che il destino non esiste ma da qualche dove è scritto, perciò si fa cercare.

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