Aggressività costruttiva o distruttiva? Partecipazione o massa? Il problema della violenza Roma, 29 ottobre 2012
Aggressività costruttiva e distruttiva: un problema psicologico e sociale A livello individuale: aggressività difensiva per sé o per la prole Forza di sopravvivenza, “grinta” (lettura etologica) Aggressività distruttiva (in primo luogo contro di sé): thanatos (lettura freudiana) A livello di rapporto tra i gruppi: Violenza come soluzione distruttiva dei conflitti Strutturale o diretta Possibile anche nelle democrazie fragili
Il rischio della democrazia: la distribuzione di responsabilità Ciascuno di questi uomini vive per conto suo ed è come estraneo al destino di tutti gli altri: i figli e gli amici costituiscono per lui tutta la razza umana; quanto al resto dei concittadini, egli vive al loro fianco ma non li vede; li tocca ma non li sente; non esiste che in se stesso per se stesso (Tocqueville, 1835)
Il rischio della democrazia: il potere della distrazione Il potere: “è contento che i cittadini si svaghino, purché non pensino che a svagarsi” “Non spezza la volontà, la fiacca, la piega e la domina; … non tiranneggia, ostacola, comprime, spegne, inebetisce e riduce.. a non esser più che un gregge timido e industrioso, di cui il governo è il pastore” (Tocqueville, 1835)
Comunità di partecipazione o comunità di massa Massa: anonimato; individuo ma non soggetto; influenza conformistica come controllo sociale Partecipazione: istituzioni che non umiliano o infantilizzano l’individuo; soggetto che influenza ed è influenzato; minoranze attive
Il problema della violenza Fenomeno umano pervasivo intenzionale interazionale: vittima persecutore bystander
La psicologia dell’inerzia di fronte alla violenza. Vedere e non vedere la violenza Evidenze comuni: “Quattro sberle non hanno mai fatto male a nessuno” Fino alla cecità per la violenza “burocratica” (Shoa, “danni collaterali”) o implicita e strutturale (fame) Diritto formale di definizione dell’uso legittimo e illegittimo della violenza Ma anche: affievolimento della capacità (specie- specifica?) di solidarietà spontanea e di percezione del male dell’uomo sull’uomo
L’esempio della tortura Tecnica socialmente appresa Non è rivolta alla morte ma a “piegare” “ammorbidire”, far dire la “verità”. Esclusione sociale prima della morte fisica Tortura come ammaestramento o spettacolo Degradazione della vittima (disumanizzazione) per rassicurare l’aggressore Misattribuzione della sofferenza empatica
La vulnerabilità all’altro La condizione umana è segnata dalla vulnerabilità all’altro (Arendt, 1958) Altro indispensabile per decidere della sopravvivenza del singolo soggetto, nel bene e nel male
La vulnerabilità all’altro come variabile costruttiva Relazione di attaccamento come base della sopravvivenza fisica e psicologica, nelle prime fasi dello sviluppo Poche alternative: base sicura, relazione ansiosa invischiante, relazione ansiosa evitante, relazione disorganizzata Crea modelli operativi interni che agiscono da filtro per le relazioni intime con partner e figli Da genitore si può correggere “perdonando” l’imperfezione della propria infanzia
La vulnerabilità all’altro come variabile distruttiva Esposizione alle intenzioni aggressive dell’altro strutturali, nell’ingiusta distribuzione di possibilità e risorse (capacitazione) reificanti, nel trasformare alcuni soggetti in oggetti, da fine a mezzo dell’azione disumanizzanti, nell’esclusione di alcuni dalla comunità morale umana Dirette, nell’attacco fino alla morte fisica