L’atomo e la sua storia
L’atomo nel XIX secolo
Dalton (1810), sulla base di comportamenti scientificamente osservati (leggi ponderali di Lavoisier, Proust e Dalton), teorizzò che la materia è «quantizzata», «pacchettizzata», in massa e volume (atomi). Questi «pacchetti» erano pensati «indistruttibili», «indivisibili» e «immutabili». Gay-Lussac, Berzelius, Avogadro, Cannizzaro (prima metà del 1800) «perfezionarono» e integrarono la teoria atomica di Dalton, scoprendo ulteriori leggi che spiegano meglio il comportamento delle particelle nelle varie trasformazioni e combinazioni, ma confermarono e rinforzarono l’idea di indistruttibilità e indivisibilità dell’atomo.
Elettricità e magnetismo Tra il 1700 e il 1800 la ricerca scientifica si occupò anche di altri tre fenomeni: quelli elettrici, quelli magnetici e quelli luminosi. Inizialmente venivano studiati a parte e non considerati come proprietà della materia. Era, infatti, convinzione generale che l’elettricità, il magnetismo e la luce fossero «fluidi» particolari non aventi massa né volume e tra loro indipendenti. Con A. Volta si cominciò a collegare i fenomeni elettrici con le trasformazioni chimiche (si può ottenere elettricità da reazioni chimiche e, viceversa, l’elettricità può avviare reazioni chimiche)
Elettricità e magnetismo Nel 1820, Oersted dimostrò che un conduttore attraversato da corrente elettrica è in grado di «orientare» un ago magnetico posto nelle immediate vicinanze. Ciò significava che il passaggio di corrente «crea» nello spazio attorno al conduttore un campo magnetico che interagisce con quello dell’ago. Faraday, poco dopo, sperimentò che, muovendo una calamita vicino ad un conduttore (o viceversa), si genera in esso della corrente elettrica. Erano le prove scientifiche che elettricità e magnetismo non sono indipendenti. Gli studi successivi pervennero a diverse leggi e raggiunsero il culmine con Maxwell il quale dimostrò matematicamente (attraverso le sue famose 4 equazioni) che elettricità e magnetismo sono due aspetti di uno stesso fenomeno che chiamò «elettromagnetismo» (teoria unificata dell’elettromagnetismo). Dimostrò anche che la luce è fatta di onde elettromagnetiche.
I raggi catodici Ritornando alla materia, nonostante diverse prove dimostrassero che elettricità, magnetismo, nonché la stessa luce, interagissero con essa, per tutto il XIX secolo si rimase convinti che l’elettromagnetismo fosse separato dalla materia: nessuno aveva idea di quanto, in realtà, siano strettamente legati. Verso gli ultimi decenni del 1800 furono intensificati gli studi degli «effetti» elettrici sui vari materiali, in particolare sui gas. Si utilizzavano tubi di vetro, contenenti gas, collegati con elettrodi (catodo – e anodo +) cui veniva applicata un’alta tensione: A pressioni (densità) medie e alte nessun effetto apprezzabile (isolanti). A pressioni basse luminescenza colorata diffusa con scariche elettriche (archi). A pressioni sempre più basse luminescenza tenue, assente nella zona attorno al catodo (-), qualche scarica elettrica. In un primo momento si pensava che il tutto fosse dovuto alle particelle di gas surriscaldate e rese incandescenti dal passaggio del «fluido» elettrico…
I raggi catodici … Crookes ideò e costruì un tubo adatto a rilevare meglio tali fenomeni a bassissime pressioni (densità di gas): il tubo di Crookes. Utilizzò un tipo di vetro «arricchito» con fosforo (per via delle proprietà fluorescenti). Il tubo era collegato, oltre che agli elettrodi, ad una pompa aspirante abbastanza potente da realizzare praticamente il «vuoto» dentro il tubo (circa 1 milionesimo di atmosfera). - + All’accensione dello strumento (ad alto voltaggio) non si notarono scariche elettriche, ma, oltre ad una tenue luminescenza diffusa diversamente colorata (a seconda del gas), una zona fluorescente verde sul vetro nella zona in prossimità dell’anodo (+).
L’inserimento di lamine sagomate (es L’inserimento di lamine sagomate (es. a croce) produceva la proiezione di ombre sempre verso l’anodo. Si aveva la netta impressione che un fascio di energia partisse dal catodo per colpire i fosfori verdi dell’anodo. Si parlò di raggi catodici.
natura dei raggi catodici (1) J. J. Thomson continuò le sperimentazioni sul tubo di Crookes con la chiara intenzione di rivelare la natura di questi raggi catodici. Inserì un disco con foro centrale (per ottenere un «pennello» di raggi cat.) e pose il tubo tra le armature di un condensatore elettrico (per avere un campo elettrico uniforme), notò una significativa deflessione dei raggi verso la piastra positiva. L’avvicinamento al tubo di una calamita produceva un analogo effetto: attrazione verso il polo nord e repulsione dal polo sud.
Questa deflessione fu paragonata alla flessione che subisce un filo metallico attraversato da corrente elettrica e immerso in un campo magnetico. (fenomeno studiato anni prima dal fisico Lorentz) Quest’ultimo aveva dimostrato che il campo magnetico creato al passaggio della corrente (Oersted), interagendo con quello della calamita, genera una forza che fa flettere il filo stesso (detta proprio forza di Lorentz). Le sue indagini lo portarono a concludere che tale forza dipende dall’intensità del campo magnetico B, dal tratto del filo immerso nel campo magnetico L e dall’intensità di corrente I, secondo la formula FL=BxLxI. Tale forza, tra l’altro, è in grado di far «ruotare» un avvolgimento di filo conduttore non strettamente vincolato agli estremi (principio del motore elettrico) Tornando ai raggi cat., si dimostrò che la loro deflessione è imputabile proprio alla forza FL=BxIxL. Fu la prova certa che essi devono essere dotati di carica elettrica. Dato, inoltre, che i raggi si muovono dal catodo (-) all’anodo (+), nonché vengono attratti verso la piastra + di un condensatore, il segno della carica doveva essere negativo (-).
natura dei raggi catodici (2) Il comportamento dei raggi cat. simile a quello di un filo percorso da corrente, ma differente da quello dei raggi luminosi (non subiscono deviazioni in campi elettrici o magnetici), portava anche a pensare ad una natura di tipo «materiale». Si era propensi a credere che fossero fatti da atomi incandescenti , carichi di fluido elettrico staccatisi dal metallo del catodo. Se così fosse avrebbero, comunque, una massa. L’idea fu confermata da un esperimento in cui, dentro al tubo di Crookes, fu inserito un mulinello disposto su una sorta di binario e libero di ruotare. L’accensione dello strumento provocò lo spostamento del mulinello in direzione dell’anodo: i raggi cat. urtavano le pale del mulinello: era una prova abbastanza convincente che i raggi catodici sono fatti di materia.
Forze e formule q/m= V/(Bxr) Convinti che i raggi cat. fossero comunque costituiti da particelle aventi massa, la loro deviazione, nell’attraversare un campo magnetico, era da considerare come accelerazione. Dalla 2° legge di Newton F=mxa. Visto che la traiettoria descritta è una «curva», tale accelerazione sarà data da ac =V2/r. Sostituendo, la forza in gioco avrà valore di una forza centrifuga Fc=mxV2/r. Nulla si crea, niente si distrugge: forza centrifuga e forza di Lorenz sono uguali: FL=Fc . Posso porre, dunque, BxLxI=mxV2/r Per definizione, l’intensità di corrente I è la quantità di carica nell’unità di tempo, cioè I=q/t, sostituendo BxLxq/t = mxV2/r. La quantità L/t rappresenta la velocità V della carica elettrica. L’equazione diventa BxqxV= mxV2/r. Con passaggi matematici, da quest’ultima si ricava q/m= V/(Bxr) Questo significa che, conoscendo la velocità V della carica, l’intensità B di campo magnetico e il raggio r della deflessione, si può risalire al rapporto q/m ovvero alla quantità di carica per unità di massa.
Scoperta dell’elettrone Tale rapporto q/m si dimostrò avere un valore costante, pur variando materiale del catodo e del gas nel tubo: q/m =1,76 × 1016 C/g. L’aver trovato un valore fisso permise di escludere che i raggi cat. fossero costituiti da atomi: avendo massa differente, infatti, avrebbero dato risultati diversi, a seconda del materiale utilizzato. Si pensò, invece, a particelle comuni a tutti i materiali. Un’esperienza, fatta da un certo Millikan, su gocce piccolissime di olio (nebulizzato) elettrizzate per strofinìo, dimostrò che il valore di carica acquistata da una qualsiasi goccia (di qualsiasi dimensione e sostanza) ha sempre un valore multiplo di 1.6 x 10−19 coulomb (arrotondato). Si concluse che questo rappresenta il valore più piccolo di carica elettrica esistente in natura. Sostituendo tale valore alla q nel rapporto q/m, si ottenne il valore minimo della massa dei raggi catodici m= (1.6 x 10−19 C)/ (1,76 108 C/g) = 9,1 x10-28 g. Si dimostrò definitivamente che i raggi catodici sono costituiti da particelle molto più piccole dell’atomo, dotate di massa piccolissima e di carica elettrica negativa: gli… Elettroni