L’elusione Autunno 2013
Elusione come riqualificazione “giuridica” di ciò che si dichiara Elusione come importante aspetto della tassazione d’impresa, difficile da capire senza una sufficiente visione di insieme. Senza un’idea organica e coordinata della tassazione delle imprese, delle ragioni per cui si dichiara secondo certe regole piuttosto che altre.
Elusione e comportamenti dei contribuenti: premessa La legislazione disciplina, o consente implicitamente, una pluralità di comportamenti economico-sostanziali. Anche all'interno di un solo strumento giuridico (ad esempio cessione di titoli, fusione etc.) il contribuente ha ulteriori possibilità di scelta, sui tempi e le modalità di effettuazione dell'operazione, cui la legge collega conseguenze giuridico-tributarie.
Segue. Scelta degli strumenti giuridici Il contribuente si pone un obiettivo economico e quindi si chiede quali sono gli strumenti giuridici più adatti a perseguirlo, anche in funzione della convenienza fiscale. Ad esempio, cessione di azienda anziché delle quote della società che la detiene, modalità di retribuzione dei propri dipendenti (piani di azionariato, etc…)
Segue. Scelta degli strumenti giuridici Possono coesistere, con equivalente rilevanza sistematica, regimi che comportano un'incidenza tributaria diversa, al cui interno il contribuente può spesso scegliere a priori la regola più conveniente, compatibilmente con le proprie esigenze contrattuali ed operative. “Pianificazione fiscale", cioè la scelta della strada più conveniente tra quelle che un ordinamento tributario offre.
Elusione: caratteri generali Il legittimo risparmio d'imposta, può degenerare in elusione quando tradisce principi sistematici desunti da altre disposizioni e dalle modalità generali con cui è regolato un determinato settore del diritto tributario (esempio, commercio delle perdite) rispetto della forma ma non della sostanza
Elusione ed evasione L’evasione nasconde fatti veri (compensi incassati e non dichiarati) afferma circostanze false (costi non sostenuti ma dedotti), o applica erroneamente la normativa (in buona o mala fede) l'elusione, invece, non consiste in una falsità l'artificiosità dell'elusione è tutta giuridica
Norma antielusiva e pianificazione fiscale Nella pianificazione fiscale il contribuente sceglie gli strumenti giuridico tributari più convenienti per inquadrare la propria attività (possibilità di scelta tra varie sfaccettature del sistema fiscale). Nel sistema sono ammessi, espressamente o per implicito, vari comportamenti in concreto fungibili, tutti caratterizzati da una pari dignità sistematica.
Pianificazione fiscale e scelte del contribuente Ad es. alternativa tra cessione di aziende o partecipazioni nelle società che possiedono le aziende stesse, scelta sul tipo di società da utilizzare, o sul sistema di finanziamento più vantaggioso fiscalmente per l'impresa (capitale proprio o di debito), sul periodo d'imposta in cui incassare proventi o pagare spese, sulle diverse modalità con cui acquisire fattori produttivi (acquisto o leasing).
Lecito risparmio d’imposta e margini stabiliti dal legislatore Margini entro cui perseguire una convenienza fiscale sono normativamente sanciti dalle disposizioni tributarie sul reddito d'impresa, ad esempio, in tema di misura degli ammortamenti, degli accantonamenti e di tutte le altre valutazioni di bilancio. In tali casi la legislazione indica chiaramente i limiti massimi e minimi al cui interno è possibile ricercare la più conveniente pianificazione fiscale dei risultati reddituali delle imprese.
Elusione come degenerazione del lecito risparmio d’imposta A fronte di comportamenti leciti, ma di cui è avvertibile la contrarietà a qualche principio di fondo del sistema tributario diventa fondamentale una valutazione di tipo sistematico estrarre da discipline di settore, ("commercio" delle perdite, neutralità delle operazioni di fusione e scissione) indicazioni sistematiche sufficienti a qualificare il comportamento del contribuente nel lecito risparmio d'imposta o nell'elusione.
Segue: degenerazione del lecito risparmio d’imposta Nell'elusione non ci si limita a scegliere una delle alternative che l'ordinamento consente, bensì ci si costruisce, tra le maglie della legislazione, un regime vantaggioso a rigore lecito, ma distorsivo, e perciò disapprovato sotto un profilo sistematico. L'elusione consiste nella costruzione di una scappatoia, uno stratagemma giuridico per conseguire un risultato che il sistema tributario ordinariamente non ammette, disapprova o, in altri termini, implicitamente vieta.
Le disposizioni antielusive
Le disposizioni antielusive a struttura ordinaria Prima reazione legislativa alla diffusione di prassi elusive sono state disposizioni correttive con funzione antielusiva, ma con struttura ordinaria. In senso tecnico non si tratta di disposizioni con struttura antielusiva, bensì di disposizioni rigide, con una mera funzione antielusiva, e che possono scattare anche quando l'elusione non sussiste (o non scattare quando il contribuente riesce ad aggirare anche tali disposizioni). Ad esempio, le disposizioni che limitano il riporto delle perdite sono antielusive nel fine ma non nella struttura.
Norme antielusive in senso tecnico Introdotte nell'ordinamento in modo graduale, a partire dal 1990, con l'art. 10 della legge n. 408/1990, e poi con l'art. 37 bis nel D.P.R. n. 600/1973. Sono state peraltro lasciate in vigore tutte le disposizioni con mera funzione antielusiva si ha un doppio livello di contrasto dell’elusione: attraverso rigide disposizioni specifiche oppure clausole antielusive generali, più flessibili che impongono complesse valutazioni di ordine sistematico.
Segue. Norme antielusive generali Non modificano la legislazione sostanziale, ma la disapplicano quando il contribuente se ne fa forte per elaborare uno stratagemma che gli consente di ottenere un vantaggio indebito. Per stabilire se il vantaggio sia indebito, e se il contribuente abbia quindi aggirato obblighi o divieti, occorrono valutazioni di ordine sistematico.
L’art. 37-bis D.P.R. n. 600/1973 “ colpisce gli atti, i fatti e i negozi anche collegati tra loro, privi di valide ragioni economiche diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti dall'ordinamento tributario e ad ottenere così riduzioni d'imposta o rimborsi altrimenti indebiti"; è inserita nel D.P.R. n. 600/73 ed è quindi riferibile solo alle IMPOSTE DIRETTE non è applicabile a qualsivoglia fattispecie bensì è limitata a fenomeni economici tassativi, anche se ormai la lista è molto ampia
Art. 37 bis. Criteri generali di applicazione Comportamento elusivo definito come: l’insieme di atti (ovvero atto) fatti e negozi “ANCHE” collegati tra loro – privi di valide ragioni economiche; – diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti dall’ordinamento tributario; – per ottenere riduzioni di imposte o rimborsi altrimenti indebiti.
1) Tassatività del comportamento Ampia elencazione ripresa dal precedente art. 10 della legge n. 408/1990 degli atti in presenza dei quali la norma antielusiva si rende applicabile (eccezioni le cessioni di beni singoli, diversi dalle aziende)
2) Effettivo vantaggio fiscale Condizione preliminare, per l'applicazione della disposizione antielusiva, è la presenza di un vantaggio fiscale effettivo, e non meramente apparente; considerando i complessivi pagamenti di imposta rispetto ai complessivi risparmi e prendendo in considerazione tutti i soggetti interessati molto spesso, infatti, quelli che a prima vista sembrano vantaggi fiscali sono spesso controbilanciati da corrispondenti pagamenti d'imposta, presso altri soggetti o in anni successivi.
Segue. Vantaggi fiscali apparenti Ad esempio, la mancata realizzazione di plusvalenze latenti a seguito di una operazione societaria non è un vantaggio in assoluto, perché l'imposizione di tali plusvalenze è solo rinviata al successivo momento in cui i beni saranno ceduti
Valutazione globale del vantaggio fiscale È prevista una valutazione globale del vantaggio fiscale indebito, al netto delle somme corrisposte dallo stesso contribuente in base alle operazioni ritenute elusive Se il “fisco” è stato leso, ha il potere di recuperare solo quanto gli è stato sottratto mediante una sorta di “compensazione” tra imposte eluse ed imposte assolte
Necessità di una sequela di atti (disegno elusivo) “…. l’elusione in genere non si esaurisce in una operazione, ma si basa su una pluralità di atti tra loro coordinati. Il vantaggio fiscale non deriva quasi mai, ad esempio, da una mera fusione, da un mero conferimento o da altra operazione societaria, ma deriva anche da eventi preparatori o consequenziali, come l’acquisto o la cessione di partecipazioni sociali; è per questo che la norma pone l’accento sul disegno elusivo complessivamente architettato dal contribuente…..”: relazione al D.Lgs. n. 358/1997.
3) Aggiramento di obblighi o divieti previsti dall’ordinamento tributario Si ha elusione in presenza di un negozio formalmente legittimo che non rappresenta la violazione di OBBLIGHI o DIVIETI “aggiramento di obblighi o divieti previsto dall’ordinamento tributario” come aggiramento dei principi dell’ordinamento tributario di cui le norme costituiscono espressione
Prima di proseguire Un esempio di tradimento dello spirito di un patto si ritrova anche nelle tante leggende montanare sul “ponte del diavolo” il quale costruiva il ponte a patto di avere in suo potere il primo essere vivente che ci fosse passato sopra: gli astuti paesani facevano regolarmente inaugurare i ponti a gatti neri, asini e simili bestiole, cosicché il diavolo doveva tornarsene all’inferno con le pive nel sacco. L’esempio ricorda che, letteralmente, eludere significa “prendersi gioco”, con riferimento a regole di cui viene rispettata la forma, ma – attraverso una scappatoia – tradita la sostanza.
Le liste civetta, un esempio di elusione della legge elettorale Anche in altri ambiti si elude Nel diritto pubblico, un esempio clamoroso di espediente, legato al sistema elettorale, riguardò le c.d. liste civetta, destinate ad attenuare gli effetti del c.d. “scorporo” sulla quota proporzionale.
Segue Avveniva alla Camera, dove la legge elettorale prevedeva che si votasse su una doppia scheda: una per i collegi uninominali, e un'altra per le liste dei singoli partiti che concorrevano all'assegnazione su base proporzionale del 25 per cento dei seggi Per evitare che le coalizioni vincenti nei collegi uninominali godessero del loro vantaggio anche nella parte proporzionale era stato introdotto lo scorporo. Aveva lo scopo di consentire ai partiti che nei collegi uninominali erano stati sconfitti di rifarsi sul proporzionale.
segue I seggi del proporzionale erano ripartiti fra i partiti sulla base dei voti ottenuti dalle liste (ad esempio allora: Ds, Forza Italia, eccetera). Ma non solo. A questi voti si detraeva (si scorporava, appunto) una quota, che era quella che aveva garantito la vittoria nei collegi uninominali: ciascun candidato, anche se si presentava sotto il simbolo di una coalizione (Casa delle Libertà e Ulivo), doveva infatti dichiarare il proprio apparentamento ad una lista del proporzionale (ad esempio allora: Ds, Forza Italia, eccetera). Quando un candidato risultava vincente, i voti che gli avevano permesso di staccare il secondo arrivato, si sottraevano a quelli ottenuti dal suo partito nel proporzionale.
Alla ripartizione proporzionale non partecipano però tutti i partiti. Ma solo quelli avevan superato la quota di sbarramento del quattro per cento. Ci sono partiti, dunque, che pur correndo al proporzionale non accedevano alla distribuzione dei seggi: i loro voti finivan per essere persi. E sono proprio questi partiti ad essere utilizzati come liste civetta.
Le coalizioni maggiori collegavano allora alle liste civetta la maggior parte dei candidati nei collegi uninominali: certi che i voti dello scorporo non li avrebbero penalizzati, perché sarebbero andati a confluire su partiti che non superavano comunque la soglia del quattro per cento. L'espediente, come è evidente, contraddiceva apertamente lo spirito della legge, che era quello di premiare le forze minori. Ma non la lettera: nulla vietava infatti di collegare i candidati a qualsivoglia lista.
Elusione e valutazioni di ordine sistematico Torniamo al tributario Il concetto di “aggiramento” richiama la necessità di uno stratagemma del contribuente rispetto alle varie soluzioni strutturalmente previste e tollerate dal legislatore D'altra parte il carattere “indebito” del risparmio d'imposta dimostra la necessità che il comportamento del contribuente sia disapprovato nell'ottica di principi del sistema, con la violazione di un divieto latente o “implicito”
Elusione e valutazioni di ordine sistematico (segue) Per stabilire se il vantaggio fiscale conseguito sia indebito, non basta confrontarlo puramente e semplicemente con altre soluzioni più onerose Per aversi elusione occorre invece che la soluzione adottata dal contribuente appaia come una scappatoia rispetto a quelle, più onerose, assunte come pietra di paragone e provviste di dominante valenza sistematica
La necessità di stabilire il peso specifico di una disposizione Per capire se si è eluso, o siamo di fronte a una lecita pianificazione, serve un confronto di regimi fiscali, spesso difficile, in cui comprendere lo spirito della normativa di riferimento Necessità di confrontare regimi fiscali di soggetti diversi, in tempi diversi, perché spesso l’apparente vantaggio è parte di un sistema dove vantaggi e svantaggi, anche in capo a soggetti diversi si equilibrano
Simmetrie fiscali ed elusione Spesso l’avente causa paga perché dedurrà domani, oppure deduce perché qualcun altro aveva pagato ieri (vedi conferente conferitaria, coordinamento tra società e soci).
Legittimità del passaggio a regimi fiscali più convenienti Quando il contribuente si trova in un regime fiscale non ottimale, il passaggio ad un regime più conveniente (ad esempio da impresa individuale a società) non è affatto subordinato all'esistenza di "valide ragioni economiche". Correggere precedenti strutture in base a strumenti giuridici in precedenza assenti appare del tutto legittimo, altrimenti verrebbe avvantaggiato chi, dall'inizio, adotta una struttura fiscale efficiente, a danno di chi, per le più varie ragioni, adotta strumenti diversi
Arbitraggio su aliquote o su regimi di tassazione/esenzione Rivalutazioni volontarie a pagamento dell’attivo e ottenimento di ammortamenti e deduzioni future deducibili ad aliquota ordinaria (voluto dalla legge) Conferimento/scissione di aziende per ottenere partecipazioni pex (qui per fortuna c’è anche la norma espressa vista la scorsa lezione a confermare, almeno per i conferimenti, la non elusività)
Esempi di regole paritetiche Cessione di azienda o cessione di partecipazioni Imposta ordinaria o sostitutiva Conferimento d ’ azienda o scissione Il ricorso all ’ una o all ’ altra di queste regole non costituisce uno stratagemma
Operazioni straordinarie Scissioni di aziende e di beni singoli, con successiva vendita delle quote (trasformazione di plusvalenze su beni in plusvalenze su titoli)
4) Le valide ragioni economiche L'attuale art. 37 bis, riprendendo il precedente art. 10 legge n. 408 del 1990, conferma che il risparmio d'imposta patologico-elusivo non può essere colpito incondizionatamente, ma occorre anche che sia privo di "valide ragioni economiche". È difficile accusare di strumentalizzazione chi pone in essere un comportamento legittimo, ancorché implicitamente disapprovato, per conseguire un obiettivo economico (acquistare un'altra impresa, un marchio, effettuare una riorganizzazione produttiva, etc.).
Il ruolo delle “valide ragioni economiche” Le “valide ragioni economiche”, nell’intenzione del legislatore, costituivano una sorta di “esimente”, un elemento da utilizzare in chiave difensiva per paralizzare la norma, una volta che l’Amministrazione Finanziaria avesse dimostrato l’aggiramento
E il suo travisamento nella prassi Nella prassi applicativa le “valide ragioni economiche” hanno invece preso il posto del delicato giudizio volto ad appurare il rispetto o meno dello spirito della legge tributaria che si assume “aggirata” In questo modo, ogni vantaggio tributario diventa indebito, se ottenuto in assenza di valide ragioni economiche Anche scelte di sistema, fatte al fine di beneficiare di un certo regime fiscale, possono così diventare elusive agli occhi dell’amministrazione
Casistica. Individuazione delle valide ragioni economiche Una società ricomprende due distinte realtà economiche : – esercita attività di ristorazione; – possiede un terreno edificabile. I soci vogliono cedere tutto trovano diversi acquirenti uno per l’attività di ristorazione, l’altro per il terreno. La cessione sarebbe estremamente gravosa per la società soprattutto nel caso in cui i due complessi abbiano valori di bilancio molto datati. Si sceglie di operare una scissione societaria, mantenendo il terreno presso la società scissa ed attribuendo alla beneficiaria il ramo ristorazione
Casistica. Individuazione delle valide ragioni economiche (segue) Successivamente i soci vendono ai due distinti acquirenti le loro azioni scontando il capital gain, con tassazione che risulta essere meno onerosa di quella che si sarebbe avuta sulla cessione dei due cespiti. l’operazione così congegnata porta ad un risparmio di imposta, ma ha una sua giustificazione economica. Infatti, si sono costituite due realtà societarie, usando uno strumento ordinariamente previsto la SCISSIONE, anche con lo scopo di avere maggiore facilità di movimento sul mercato. La presenza di questa ragione economica, senza dubbio tutelabile, rappresenta un valido motivo per contrastare una possibile aggressione sul piano della elusione.
Casistica collegata a finanziamenti e operazioni straordinarie
I finanziamenti nelle operazioni straordinarie e l’elusione Il carattere tendenzialmente non elusivo delle strategie di ottimizzazione finanziaria dei gruppi d’imprese La scelta di acquisire una società ricorrendo a capitale di debito è una opzione liberamente concessa alla discrezionalità imprenditoriale, ed assolutamente non contrastante con “principi impliciti” del nostro ordinamento In sede di commento al decreto legislativo 358 del 1997 sulla riorganizzazione delle attività produttive, la relazione tecnica ha precisato che “il finanziamento basato sul capitale proprio o di debito” deve essere incluso “tra gli strumenti giuridici fungibili, ma che il sistema pone su sostanziale piano di parità”
Le norme sulla deduzione degli interessi dal reddito d’impresa Prima della riforma fiscale Tremonti non esistevano nel nostro ordinamento “segnali di disapprovazione” nei confronti dell’indebitamento societario, anche se spinto a livelli elevati rispetto al patrimonio netto e contratto nei confronti dei soci. Da un lato l’ordinamento civile si accontentava di fissare limiti di capitalizzazione stabiliti in termini assoluti a seconda del tipo di società; dall’altro l’ordinamento fiscale aveva il suo criterio forfetario per stabilire l’inerenza degli interessi passivi sostenuti in rapporto alla tipologia di ricavi conseguito (art. 63 Vecchio Tuir).
Segue Dopo le riforme, da un lato il legislatore civilistico ha ulteriormente “allargato le maglie” sulla composizione del passivo societario, consentendo addirittura che il versamento di somme a titolo di capitale possa essere sostituito da una polizza assicurativa. Il legislatore fiscale, invece, ha dato attuazione ad una serie di misure restrittive nei confronti della deducibilità degli oneri finanziari, al punto che:
In particolare, la thin cap Si tratta di quelle situazioni in cui i contribuenti tentano di portare in deduzione delle componenti negative di reddito facendole figurare come oneri finanziari, mentre “nella sostanza” tali componenti dovrebbero essere equiparate, secondo la legge fiscale, a dividendi, per loro natura non deducibili. Si prendeva in considerazione una caratteristica fondamentale del capitale di rischio, vale a dire il rischio stesso, come segue.
Segue La disciplina contro la sottocapitalizzazione (thin cap). Essa partiva dalla considerazione che le risorse economiche investite dai soci nella loro società (sia sotto forma di immissione diretta che di garanzia indiretta a terzi finanziatori) risentono di una componente di rischio non sempre il grado di rischio coincide con la qualificazione formale (sotto forma di crediti e non di capitale) dei loro apporti. E così, la norma fissava una presunzione secondo cui questi apporti, pur se formalmente qualificati come finanziamenti, se e nella misura in cui eccedevano una determinata proporzione rispetto al patrimonio netto erano talmente “rischiosi” da essere equiparati al capitale
Il 30 % del ROL Ora l’istituto della thin cap è stato abolito e sostituito dal limite forfettario di deduzione degli interessi passivi nei limiti del 30% del reddito operativo lordo (ROL), come previsto dall’art. 96 TUIR, già trattato in questo corso. Il legislatore ha quindi abbandonato qualsiasi forma di “distinzione qualitativa” tra interessi deducibili ed indeducibili, scegliendo la strada di una previsione chiaramente “forfettaria”.
Segue Detta previsione mantiene deducibile solo una quota di interessi ritenuta “sostenibile” in rapporto all’attività operativa svolta dall’impresa. E’ possibile oggi sostenere che tutti gli interessi che risultano deducibili costituiscono costi “leciti” ai fini dell’elusione, proprio in quanto rientranti nei “limiti” fissati dalle norme di diritto positivo?
Finzianziatore italiano L’interesse è tassato come ricavo in capo alla finanziatrice.....
Se il finanziatore è estero.... Occorre qualche considerazione più approfondita L’emersione di costi in Italia (nel nostro caso gli interessi passivi) potrebbe risolversi in un vantaggio fiscale a livello di gruppo, se e nella misura in cui a tali costi corrispondessero ricavi altrove (estero) imponibili ad aliquote inferiori. Ma in tal ipotesi il preteso vantaggio sarebbe appunto riferibile alla consociata estera che l’ha conseguito e sarebbe quindi evidentemente impossibile per il Fisco italiano recuperarlo a tassazione.
Segue E’ infatti noto che i gruppi multinazionali mirano a distribuire l’imponibile concentrando i fattori produttivi (tra i quali la liquidità) nei Paesi a maggiore flessibilità ed a fiscalità più lieve.....né più né meno delle altre scelte legate all’ottimizzazione del ciclo produttivo (istituzione di nuovi impianti dove la manodopera costa meno, o vicino alle risorse o agli altri fattori produttivi necessari, etc.)
Segue Questo genere di comportamenti non può comunque considerarsi genericamente elusivo degli interessi fiscali nazionali; in un sistema ormai globalizzato, che non solo assicura, ma spesso addirittura favorisce, ad esempio a livello di Unione Europea, la circolazione delle risorse e dei capitali. Naturalmente, la Comunità internazionale si è dotata di strumenti per porre comunque delle limitazioni a questa discrezionalità, e limitare la “concorrenza fiscale dannosa” tra Stati diversi (le norme sul transfer price, sulle CFC, e restrizioni alla deducibilità di costi sostenuti nei confronti di soggetti residenti in paradisi fiscali, le stesse disposizioni che limitano la deduzione di interessi passivi).
Conclusione Il principio dominante è quello della deducibilità del costo, e le restrizioni sopra accennate alla pianificazione internazionale intragruppo costituiscono le eccezioni alla regola Se il comportamento del contribuente in merito alla distribuzione dei fattori produttivi tra i vari Stati rispetta formalmente i “paletti” posti dal nostro ordinamento, e non aggira la portata sostanziale delle disposizioni che li prevedono, esso deve considerarsi lecito, e non elusivo Conseguenza diretta di quanto appena detto è che non può assumere rilievo, ai fini della qualificazione del comportamento come elusivo o meno, la circostanza che gli interessi passivi siano corrisposti ad un soggetto residente o ad un soggetto non residente.
Quando potrebbe esserci elusione Potrebbero essere considerate elusivie le ipotesi in cui la trasformazione dei profitti in interessi si verifichi davvero. Quando è dimostrata la trasformazione dei profitti in interessi diretti in Paesi a bassa fiscalità, il beneficio fiscale indebito potrebbe essere negato in base all’abuso del diritto, anche oltre la forfetizzazione normativa del 30%
Quando potrebbe esserci elusione (segue) E il caso di una società residente che si finanzi «a debito», deducendo gli interessi corrisposti a un socio di riferimento residente in paradisi fiscali. E’ lo stesso fenomeno che aveva portato all’introduzione della disciplina «anti capitalizzazione sottile» (thin cap su cui si vedano precedenti slides)
(segue) Come si è infatti accennato, finché l’operazione è «Italia su Italia» il gioco interessi attivi- interessi passivi è a somma zero e non c’è questione di elusione: il Fisco incamererà le tasse sugli interessi attivi della Banca, invece che sui profitti della target neutralizzati dalla deduzione degli interessi passivi.
(segue) Se invece l’interesse attivo si sposta dall’Italia in un Paese a bassa fiscalità, sempre infragruppo, può esserci elusione, ma questo si vede spesso dalla verifica dell’economicità dell’operazione per il soggetto finanziatore. L’elusione consiste nella trasformazione di profitti in interessi diretti verso paradisi fiscali tramite l’interposizione della banca (il punto è che si cela dietro il finanziatore immediato? Si pensi alla possibilità di «schermare» il vero finanziatore ) la probabilità di una interposizione dell’apparente finanziatore emerge quando l’erogazione del credito non è verosimile economicamente senza una qualche forma di garanzia dei soci. Sono quindi prevedibili ulteriori variazioni su questo complesso tema di tassazione aziendale.
Leverage buy out Alcuni recenti riferimenti nella giurisprudenza e nella prassi Comm trib. prov. Milano 321 del 2012 Comm reg. Lombardia 26 del 2012 Interpello non pubblicato del 26 marzo 2013
Che cos’è il leverage buy out? Per l’acquisizione si utilizza una società veicolo e la si indebita per finanziare l’acquisizione I debiti contratti dalla società/veicolo si confondono, a seguito di una successiva fusione, con il patrimonio della società acquisita. Gli oneri finanziari gravanti sui debiti si compensano direttamente con l’utile operativo della società acquisita.
Segue Questo sistema, civilisticamente ammesso dal 2003, può essere effettuato anche da soggetti esteri, ma è frequente soprattutto nel nostro capitalismo familiare Il caso delle sentenze citate riguarda proprio un socio estero che crea una newco e la finanzia per farle acquisire il controllo di una data società
Segue La Newco italiana, secondo il Fisco, agisce per incarico della madre estera, la società estera dovrebbe, dopo averla finanziata, farsi riaddebitare gli interessi che la Newco deduce, perché la partecipazione in fondo l’ha comprata per suo conto! Secondo il ragionamento della sentenza, la società è dunque un soggetto interposto, privo di autonomia se non per il minimo strettamente necessario ad un mandatario.
Segue la Newco italiana viene vista come un mandatario che agisce “per incarico” della controllante estera; ne deriva che la società italiana avrebbe dovuto addebitare questa sorta di imprecisato “servizio” alla controllante per un valore pari almeno ai costi (identificati con gli interessi passivi dovuti sul capitale finanziato)
Segue la Newco è invece un operatore economico come gli altri, dotato di una relativa autonomia. Il fatto che la Newco agisca «per conto di» non autorizza insomma a ritenere che la società italiana non esista o sia una sorta di agente, che compra qualcosa in base ad un incarico di mandato e poi riaddebita il prezzo al mandante. La differenza tra la fattispecie concreta e quella che vede coinvolto un ipotetico mandatario è lampante: se viene venduta la partecipazione, la plusvalenza viene realizzata in Italia, non certo all’estero
Segue La Società, e non la sua controllante, è il soggetto titolare delle attività acquisite col prestito e obbligato a pagare gli interessi e a rimborsare il capitale. Non si capisce quindi perché mai – né a quale titolo –avrebbe potuto chiedere alcunché al proprio socio in relazione al finanziamento......con quali argomenti tra l’altro si potrebbe spiegare a un ufficio tributario estero a quale titolo il destinatario dell’addebito avrebbe potuto dedurlo fiscalmente nel proprio paese di residenza!
L’interpello È del 26 marzo 2013, è favorevole ai contribuenti accertati La struttura dell’operazione era stata imposta dalla banche finanziatrici Questa è stata considerata una valida ragione economica evidentemente Non credo però si sia fatta una riflessione più ampia sull’elusività, sdoganando veramente l’operazione