LA NASCITA DELLA STORIOGRAFIA CONTEMPORANEISTICA ITALIANA Volpe e Croce fra guerra e dopoguerra
Due modelli interpretativi della storia italiana recente: Volpe (1927) e Croce (1928) G. Volpe, Italia in cammino (1927) B. Croce, Storia d’Italia dal 1871 al 1915 (1928) In questi due testi c’è, in nuce, la successiva evoluzione della contemporaneistica italiana del Novecento. Ferma restando l’analogia di giudizio sul Risorgimento, il divergente giudizio su Crispi, su Giolitti e soprattutto sull’esperienza della Grande Guerra è l’elemento discriminante delle due imterpretazioni.
G. Volpe, Italia in cammino (1927) L’opera più nota di Volpe ha una lunga gestazione che inizia nel cuore della guerra con il lavoro di raccolta di materiale documentario svolto fra il 1916 e il 1919 nell’ambito dell’Ufficio storiografico della mobilitazione diretto da Giovanni Borelli. Sciolto l’Ufficio nel 1920 per iniziativa di Benedetto Croce, Ministro della pubblica istruzione, Volpe progetta una serie di volumi sull’Italia in guerra stendendo lo schema del suo successivo lavoro. Fra il 1922 e il 1923 la Fondazione americana Carnegie per la pace internazionale patrocina una grande «storia economica e sociale della guerra mondiale» affidandone il coordinamento della parte italiana all’economista liberale Luigi Einaudi. Volpe avrebbe dovuto scriverne la parte introduttiva, Il popolo italiano durante la guerra. Un primo abbozzo dell’opera vede la luce nel 1923, sotto il titolo L’ultimo cinquantennio: l’Italia che si fa, sulla rivista gentiliana «Nuova politica liberale» L’opera definitiva vede la luce nel 1927 come primo titolo di una collana dell’Istituto Nazionale Fascista di Cultura, presieduto da Gentile, per i tipi dell’editore Treves di Milano.
La guerra come fattore di progresso Per Volpe la guerra rappresenta uno dei principali elementi creativi della storia, per la sua capacità di portare a compimento processi di trasformazione a lungo maturati. I quattro anni di guerra attraverso i quali l’Italia era appena passata, coronati da una vittoria, segnano per Volpe la nascita di un’Italia nuova, l’inizio di una fase di rigoglio e vitalità della vita nazionale di cui il fascismo avrebbe saputo cogliere al meglio lo spirito. Le nuove energie avevano però radici nel recente passato e in particolare nell’ultimo cinquantennio di cui si fornisce una sintetica ricostruzione.
Croce negli anni del conflitto Negli anni della guerra Croce scrive alcune delle sue opere più importanti, che preludono alla sua conversione dalla filosofia alla storia etico-politica: fra il 1914 e il 1915 pubblica i primi quattro volumi de La letteratura della nuova Italia; nel 1915 pubblica in lingua tedesca, a Tubinga, Teoria e storia della storiografia, pubblicata poi nel 1917 in edizione italiana; fra il 1914 e il 1915 scrive la Storia della storiografia italiana nel secolo XIX, pubblicata successivamente su «La Critica» e raccolta in due volumi nel 1921; nel 1917 pubblica La Spagna nella vita italiana durante la Rinascenza Nel luglio 1914, alle elezioni amministrative del comune di Napoli è presidente del "fascio dell'ordine", l'alleanza liberale, moderato-cattolica, contrapposta al "blocco" delle Sinistre. Croce rifiuta la febbre dell’interventismo e difende le posizioni "neutraliste" di Giolitti con articoli su «La Critica» e assieme a Cesare De Lollis su «L'Italia nostra», con una polemica culturale molto ferma contro il dilagare della demagogia nazionalista, in difesa dell'unitarietà della cultura europea e del ruolo che in essa, in modo particolare, vi svolgeva quella tedesca, dandone testimonianza nel volume Pagine sulla guerra poi ristampato col titolo di L'Italia dal 1914 al 1918, pubblicato nel Nel 1915 accetta la guerra suo malgrado, per senso del dovere e per spirito patriottico, ma non si mescola mai con i propagandisti. Nell’autunno 1917, dopo caporetto, prende fermamente posizione per la mobilitazione, auspicando una vittoria che sia anche momento di riflessione sugli errori commessi nella storia italiana recente.
Croce e la guerra In base alla sua concezione dialettica della storia Croce non può accettare un’idea della guerra come odio per un nemico da annientare. La guerra si combatte per vincere, ma non per distruggere, riconoscendola comune umanità che unisce i combattenti nello scontro. «Dichiarata la guerra, è superfluo dire che non venni meno al dovere di farsi tutt’uno col proprio popolo che combatte, e che trepidai e soffersi e sperai come ogni altro uomo di sano sentire; ma non per questo reputai che mi toccasse rinunziare al mio giudizio e all’elezione della mia volontà con l’adottare gli stolti concetti e il costume partigiano e fanatico che altri con violenza pretendevano imporre».
Dopo Caporetto Dopo Caporetto Croce scrive: «La guerra, che finora, agevolata da talune condizioni internazionali, solo in parte era nostra, ora si fa veramente nostra […]. Ma io vorrei che un pensiero austero ci riempisse tutti: il pensiero che il nostro fine prossimo ed urgente non deve essere già quello, generico, di vincere, ma l’altro, specifico, di resistere e combattere [...]. Una vittoria facile è una sconfitta morale e reale; ma persino una sconfitta, aspramente contesa, è una vittoria altrettanto morale quanto effettiva. Per questo a noi spetta, ora, non già confortarci in immagini di vittorie, e fantasticare su possibilità, ma solamente, con animo concorde, con animo feroce, come dicevano i romani, volere la cacciata del nemico dal nostro suolo, e tendere tutte le forze a quest’unico fine».
Dopo la vittoria: « Far festa perché?» Al momento della vittoria, nel novembre del 1918, Croce si rifiuta di festeggiare, domandandosi «Far festa perché?» e rispondendosi con un riferimento a Shakespeare: «Gli eroi di Shakespeare – modelli di umanità – non fanno festa quando hanno riportato il trionfo e atterrato terribili nemici; ma si sentono penetrare di malinconia e le loro labbra si muovono quasi soltanto per commemorare ed elogiare l’uomo che fu loro avversario e di cui procurarono, essi, la morte!».
B. Croce, Storia d’Italia dal 1871 al 1915 (1928) Un anno dopo l’Italia in cammino di Volpe, esce la Storia d’Italia dal 1871 al 1915 di Croce. Quella di Croce è una storia politica e intellettuale dell’Italia liberale che si chiude alla vigilia della prima guerra mondiale. L’ «eroe» del libro è senza dubbio il liberale riformista Giolitti, erede di Cavour, dotato di grande senso dello Stato, capace di dialogare con i socialisti, di far progredire il paese estendendo il suffragio universale e riportando i cattolici nella vita politica attiva. Conservatore e progressista al tempo stesso, alieno da avventure internazionali e da tentazioni autoritarie.
Un punto di riferimento per la cultura antifascista L’Italia liberale dipinta da Croce rimane per tutto il ventennio fascista (e oltre) un sicuro punto di riferimento di una parte della cultura italiana che guarda ai valori risorgimentale e liberali, alla moderazione alla capacità di mediazione come virtù. Il ritorno a quell’Italia, dopo la «parentesi» rappresentata dal fascismo, è l’ideale che Croce ripropone – invano - negli anni fra il 1943 e il Saranno invece i conflitti sociali, lucidamente individuati dal fascista Volpe come fattore di sviluppo, a caratterizzare il secondo dopoguerra e la successiva storia d’Italia.