DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

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DOMENICA 26 ANNO A La preghiera del “Pie Jesu” del Requiem di Fauré ci porta ad essere trasparenti davanti a Gesù Regina.
26a domenica Tempo ordinario Anno A 26 domenica Tempo ordinario Anno A.
DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
26 ord A VANGELO di MATTEO.
Transcript della presentazione:

DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO XXVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO a Matteo 21,28-32

In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli.

Si rivolse al primo e disse: “Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna”.

Ed egli rispose: “Non ne ho voglia”. Ma poi si pentì e vi andò.

Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: “Sì, signore”. Ma non vi andò.

Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Risposero: «Il primo».

E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio.

Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto;

i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto.

Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli».

DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO XXVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO a Matteo 21,28-32

PENTITOSI ANDÒ

L'unità delle letture di questa domenica può essere espressa con le categorie della conversione e della responsabilità.

Il pentimento è attestazione di libertà. Anche il malvagio può cambiare. Questa possibilità di conversione dice che il peccato non è una potenza metafisica che schiaccia l'uomo e che ha su di lui l'ultima parola.

Atto di libertà, il pentimento è anche atto di liberazione. Nel pentimento l'uomo ritrova la retta via e «torna» a se stesso e a Dio allo stesso tempo. Atto di libertà, il pentimento è anche atto di liberazione.

Il malvagio che cambia condotta «fa vivere se stesso» (Ez 18,27), da vita alla sua esistenza, mostrando di non essere schiavo dei precedenti comportamenti.

Nell'odierna parabola evangelica (Mt 21,28-31), il figlio che ha risposto «no» all'invito del padre e poi, «pentitosi», «avendo provato rimorso», ha fatto la volontà del padre, rivela che il credere passa a volte anche attraverso un ricredersi.

In quel «ricredersi» c'è il dialogo interiore, c'è la presa di coscienza della realtà, c'è l'audacia di guardare in faccia se stessi, preliminare essenziale per l'agire responsabile.

In questo senso, lungi dall'essere un segno di debolezza, il pentimento è segno di coraggio e di forza.

Per quanto sia raro e impopolare, anche nella chiesa, il gesto di chi riconosce di aver sbagliato, di chi ammette di aver assunto posizioni che si sono rivelate poco conformi al vangelo e muta la propria posizione cercando di essere più fedele al vangelo, è segno di grandezza umana e spirituale.

PENTITOSI ANDÒ