Prevenzione cardiovascolare, definizione e gestione del rischio

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Prevenzione cardiovascolare, definizione e gestione del rischio Soggetti con cardiopatia ischemica

Cardiopatia ischemica L’importanza della prevenzione secondaria 13.000.000 di Americani affetti da CAD, di cui 7.500.000 IMA 1.100.000 IMA/anno solo negli USA, di cui 450.000 recidive Nella realtà nord-americana si parla di 13 milioni di soggetti affetti da coronaropatia aterosclerotica censiti nel 2002, secondo la valutazione del National Center for Health Statistics, National Heart, Lung and Blood Intitute. Nei soli Stati Uniti si stima un’incidenza di 1.100.000 IMA ogni anno. Tale cifra comprende, peraltro, una percentuale elevata di casi di recidiva di infarto. In considerazione delle caratteristiche in larga misura sovrapponibili delle condizioni di vita nei paesi industrializzati, tali dati appaiono estensibili alla popolazione occidentale in generale e la loro rilevanza numerica risulta indicativa dell’entità del problema socio-sanitario e dell’impatto della cardiopatia ischemica. National Center for Health Statistics, National Heart, Lung and Blood Institute, 2002

Profilo di rischio dei pazienti con CAD “Nei pazienti con una precedente manifestazione di coronaropatia il rischio relativo di sviluppare un nuovo IMA è dalle 5 alle 7 volte superiore a quello di soggetti senza cardiopatia ischemica nota” “Nei gruppi di controllo di trial clinici di prevenzione secondaria l’incidenza di reinfarto è del 6% l’anno paragonata all’1-2% dell’incidenza di un primo IMA dei trial di prevenzione primaria in soggetti ad alto profilo di rischio” I cardiopatici ischemici si collocano nel mezzo di un complesso di manifestazioni cliniche: hanno già avuto un evento coronarico (angina o infarto) e risultano maggiormente candidati, rispetto ai soggetti senza patologia aterosclerotica nota, a incorrere in una complicanza cardiovascolare di dipo aterotrombotico (IMA, ictus, morte cardiovascolare). Tra il primo evento e la comparsa di ulteriori manifestazioni si colloca la progressione della patologia ateromasica con graduale crescita e protrusione delle placche nel lume vascolare. L’evoluzione delle lesioni può consistere nella loro organizzazione strutturale, da un lato, e nell’instabilizzazione con trombosi acuta endoluminale dall’altro. Qualunque intervento terapeutico messo in atto in questa popolazione di pazienti rientra nelle strategie di prevenzione secondaria. CAD=cardiopatia ischemica Rossouw JE, NEJM 1990; 323:1112

Pazienti con CAD: prevenzione secondaria ASA, clopidogrel Terapia anticoagulante Terapia anti-trombotica Statine, Ac Nicotinico, Fibrati PUFA (?) Terapia ipolipemizzante Nella diapositiva sono elencate le principali terapie che vengono utilizzate nel paziente con cardiopatia ischemica. Esse interferiscono in parte con il fenomeno dell’aterotrombosi, attraverso meccanismi fisiopatologici oggi in larga misura noti. Nella terapia antischemica sono invece inclusi farmaci puramente sintomatici (quali tipicamente i nitrati) che non esercitano alcun impatto sulla prognosi nonché classi di farmaci che hanno invece dimostrato un impatto significativo sugli endpoint di mortalità e morbilità (recidiva di ischemia). Nel caso di questi farmaci la potenziale interazione con i diversi processi aterotrombotici non risulta altrettanto intuitiva ed essa è attualmente oggetto di diversi studi di ricerca di base. Vale la pena comunque ricordare che il controllo ottimale della pressione arteriosa rappresenta uno dei cardini degli interventi di prevenzione secondaria, con valori target che restano 140/90 per la popolazione generale degli ischemici, e che si riducono a 130/80 nei diabetici. I farmaci di prima scelta consigliati dalle linee guida più recenti delle Società Europee (JNC) per i pazienti coronaropatici sono i beta-bloccanti e gli ACE-inibitori. Nitrati -Bloccanti ACE inibitori Terapia anti-ischemica

SCA: la punta dell “Iceberg” dell’aterotrombosi SCA con rottura/erosione di placca (AI/NSTEMI/STEMI) Clinica Subclinica La cardiopatia ischemica conseguente a un’aterosclerosi coronarica può essere rappresentata graficamente come un iceberg. Le manifestazioni acute di CHD sono solo la punta dell’iceberg e, benché rilevanti sul piano clinico, sono solo la parte emergente quantitativamente minore della malattia che resta in larga misura il più delle volte misconosciuta. Presenza di placche coronariche multiple Attivazione piastrinica persistente Flogosi vascolare SCA=sindrome coronarica acuta; AI=angina instabile; NSTEMI=infarto miocardico senza sopra-ST; STEMI=infarto miocardico con ST sopraslivellato Adattata da Goldstein JA, J Am Coll Cardiol 2002; 39:1464-1467

La storia naturale dell’aterotrombosi Stroke aterotrombotico Angina instabile IMA AOCP Attivazione PP con adesione e aggregazione Ulcerazione di placca Formazione del trombo Una delle manifestazioni più temuta della cardiopatia ischemica è la formazione acuta di un trombo sull’ulcerazione o anche solo l’erosione di una placca ateromasica instabile: i farmaci anti-trombotici servono a limitare l’estensione del trombo e a prevenirne la comparsa. E’ noto inoltre che parte della crescida volumetrica di una placca è determinata anche da apposizioni trombotiche subcliniche sulla sua superficie, che successivamente vengono sostituite da un’organizzazione fibrotico-cicatriziale del trombo stesso. E’ come se il trombo costituisse una sorta di impalcatura sulla quale si forma e si consolida la lesione coronarica. In questo contesto la terapia anti-trombotica a lungo termine può contribuire anche al rallentamento della progressione dell’aterosclerosi e non solo al controllo-prevenzione delle sue manifestazioni di maggiore instabilità. Complicanze aterotrombotiche (IMA, stroke, morte CV) IMA=infarto miocardico acuto; AOCP=arteriopatia obliterante periferica; morte CV=morte cardiovascolare Ness J et al., J Am Geriatr Soc 1999; 47:1255-1256 Schafer AI, Am J Med 1996; 101:199-209

Il fenomeno dell’aterotrombosi La progressione della malattia aterosclerotica avviene assai verosimilmente attraverso un processo flogistico complesso che vede coinvolte più popolazioni cellulari. Le stesse piastrine, che rappresentano le principali protagoniste della complicanza trombotica, sono in grado di liberare, quando attivate, una serie di mediatori della flogosi (CD40 ligand, PF4, ecc..). Altre popolazioni cellulari coinvolte nella progressione e instabilizzazione della placca ateromasica sono le cellule immunocompetenti (linfociti T, macrofagi) e le stesse cellule muscolari liscie, che migrano dalla media all’intima, trasformandosi in foam-cell. La popolazione cellulare presente in una placca vulnerabile prossima all’ulcerazione/erosione è distribuita in modo caratteristico: la massima concentrazione di cellule flogistiche si verifica nella “spalla” della lesione, laddove è più facile la rottura in caso di indebolimento del sottile strato fibroso (cap fibroso) che separa l’interno della placca dal lume vascolare. Le cellule infiammatorie tendono a infiltrare il cappuccio fibroso fino romperlo in seguito alla liberazione di enzimi litici (metalloproteinasi). Core lipidico

Ruolo delle piastrine nella trombosi Attivazione piastrinica 1 Adesione e aggregazione piastrinica 2 Piastrine attivate GP IIb/IIIa TxA2 In presenza di una placca ateromasica vulnerabile che va incontro a un processo di instabilizzazione, le piastrine passano dallo stato quiescente a quello attivato. Ciò si traduce in un aumento dell’espressione recettoriale e nella liberazione di mediatori che contribuiscono alla formazione del trombo, anche attraverso il coinvolgimento dei fattori della coagulazione circolanti e promuovendo la cascata coagulatoria. Il farmaco antiaggregante piastrinico maggiormente impiegato in questo contesto, l’aspirina, non è in grado da sola di controllare l’intero fenomeno. In fase acuta è stato pertanto invocato l’impiego di altri composti che agiscano in modo sinergico sui recettori piastrinici (anti-GPIIb/IIIa, inibitori del recettore tienopiridinico) e riducano la disponibilità di mediatori di attivazione. Fibrinogeno ASA, Clopidogrel/Ticlopidina ASA=acido acetilsalicilico Cannon and Braunwald, Heart Disease 2001

Rischio di mortalità e colesterolemia Mortalità (per 1000 soggetti/anno) Uomini con CAD Uomini senza CAD 20 15 4 10 5 6 7 Colesterolo plasmatico (mmol/L) Uomini arruolati nel Lipid Research Follow-up Study (con o senza CAD) Il rischio assoluto di mortalità per cause coronariche è assai elevato nei soggetti con cardiopatia ischemica nota, mentre lo è molto meno, a parità di colesterolemia, nei soggetti senza cardiopatia ischemica. In un lavoro del 1990 (Rossouw JE et al), in era pre-statine, si sottolineava che nello studio di Framingham i soggetti adulti (35-64 aa) di sesso maschile con pregresso IMA manifestavano un’incidenza cumulativa di reinfarto del 22% a 6 anni (24% nelle donne), nettamente superiore all’incidenza del 7% (3% nelle donne) osservata nel caso dei primi episodi infartuali. Nei gruppi di controllo di prevenzione secondaria degli studi di quegli anni l’incidenza di reinfarto risultava pari a una media del 6% all’anno vs. valori di 1-2% all’anno misurati nei gruppi di controllo degli studi di prevenzione primaria. Benché la cardiopatia ischemica eserciti una pesante influenza negativa sul rischio cardiovascolare, quest’ultimo aumenta in maniera ulteriormente più accentuata nei soggetti in cui la colesterolemia LDL tende ad attestarsi su valori > 5,17 mmol/L. Tale evidenza ha portato a stabilire l’indicazione di un controllo aggressivo della colesterolemia proprio in questo contesto clinico. CAD=cardiopatia ischemica N Engl J Med 1990; 323:1112-9

CAD: prevenzione secondaria e terapia con statine Gli studi di prevenzione secondaria con l’impiego di statine si dividono in: Studi con outcome angiografici Studi con outcome clinici Complessivamente gli studi hanno documentato una riduzione della morbidità e mortalità cardiovascolare e in alcuni casi della mortalità totale Gli studi clinici che hanno verificato l’efficacia della terapia con statine in prevenzione secondaria si suddividono in studi con endpoint angiografici e in studi con endpoint clinici. I primi rappresentano una sorta di verifica del razionale all’impiego del farmaco in quanto verificano, con una metodica di imaging, la progressione o la regressione dell’ateromasia vascolare dopo un periodo di trattamento. Il limite di questi studi può essere proprio la metodica selezionata. E’ per esempio difficile documentare la regressione di una placca ateromasica con l’angiografia coronarica, mentre sarebbe più affidabile, in questo caso, l’impiego dell’ultrasonografia intravasale (IVUS), con la quale si può stimare anche la variazione di composizione della placca e quindi l’eventuale viraggio da un contenuto prevalentemente lipidico (colorito giallastro) a un aspetto fibrotico-cicatriziale. Nella grande maggioranza degli studi con endpoint clinici e impiego di statine è stata documentata una riduzione della mortalità cardiovascolare e della morbidità per eventi cardiovascolari e, in alcuni casi, è stata rilevata la riduzione della mortalità totale. Lo studio CURE (the Clopidogrel in Unstable Angina to Prevent Recurrent Events) ha arruolato 12562 pazienti con sindrome coronarica acuta non associata a sopraslivellamento persistente del tratto ST assegnati al trattamento convenzionale con ASA vs ASA + clopidogrel con dose da carico di quest’ultimo pari a 300 mg seguita dal mantenimento con 75 mg/die. I pazienti elegibili venivano assegnati ad uno dei due trattamenti entro 24 ore dall’evento acuto con l’indicazione alla prosecuzione del clopidogrel da un minimo di 3 mesi ad un massimo di 12 mesi. L’end-point primario dello studio e’ stato la combinazione di morte per cause cardiovascolari, IMA non fatale o stroke, e si e’ verificato con minor frequenza nel gruppo con doppia antiaggregazione ( 9.3 vs 11.4%, RR 0.80, p< 0.001); l’end-point secondario (il primario + ischemia refrattaria) ha presentato la stessa distribuzione con analoga significativita’ (16.5 vs 18.8%, RR 0.86, p<0.001). I sanguinamenti maggiori si sono presentati in percentuale piu’ rilevante nel gruppo ASA+clopidogrel (3.7% vs 2.7%, RR 1.38, p=0.001) senza maggiore evidenza di emorragie minacciose per la vita o a localizzazione intracranica. (The CURE Trial Investigators, NEJM 2001;345: 494).

CAD: prevenzione secondaria e terapia con statine Risultati Major secondary prevention trials with statins: morbidity and mortality results 4S 4444 5.4 Simvastatin 188 -35%* -35%* -37%* -42%* -30%* -27%* 10/40 mg CARE 4159 5 Pravastatin 139 -27%* -25%* -27%* -24%* -9% -31%* 40mg Lipid 9014 5 Pravastatin 150 -25%* -29%* -24%* -24%* -23%* -19%* Study * Statistically significant changes at p<0.05 or lower Persons Duration (yrs) Drug (dose/d) Baseline LDL-C (mg/dL) LDL-C change Major coronary events Stroke Total mortality Coronary mortality Revascu- larization I risultati degli studi più noti di prevenzione secondaria con statine sono riportati nella tabella. In particolare appaiono di rilievo i dati dello Scandinavian Simvastatin Survival Study (4S- Lancet 1994; 344: 1383), del Cholesterol And Recurrent Event study (CARE- NEJM 1996; 335:1001) e del Long-term intervention with Pravastatin in Ischemic Disease (LIPID- NEJM 1998; 339: 1349). Nel riquadro vengono evidenziati i valori di riduzione del rischio di eventi coronarici maggiori. Tutti i dati con l’asterisco indicano una variazione significativa rispetto al gruppo di controllo (p < 0,05). Nello studio 4S e nello studio LIPID è stata evidenziata una riduzione statisticamente significativa della mortalità totale. NCEP ATP III, Circulation 2002

Prevenzione secondaria: LDL target 100 mg/dL Relazione tra C-LDL ed eventi CV negli studi con statine Pazienti con eventi CV (%) 30 25 60 80 20 15 10 5 100 120 140 160 180 200 Valori medi di C-LDL 4S CARE WOSCOPS LIPID Post-CABG AFCAPS/TexCAPS LRC-CPPT L’analisi post-hoc dei trial condotti con statine mostra in maniera evidente il beneficio superiore, in termini di riduzione degli eventi cardiovascolari avversi maggiori, per riduzioni della colesterolemia LDL nel range compreso fra 100 e 125 mg/dL. Non tutti gli studi sono giunti a evidenziare che il livello ottimale di LDL debba essere < 100, ma sulla base dei risultati dello studio 4S emerge come la riduzione del C-LDL produca un proporzionale decremento del rischio assoluto di eventi cardiovascolari e che tale andamento è continuo e decrescente fino a ottenere il rischio più basso per valori di colesterolemia LDL intorno ai 100 mg/dl. Anche nello studio CARE il beneficio più consistente in termini di prevenzione secondaria è stato ottenuto nei pazienti che hanno raggiunto un C-LDL pari a circa mg/dl nel corso della sperimentazione. NCEP ATP III, Circulation 2002

SCA e terapia con statine: quando ? Studio RIKS-HIA Studio prospettico di coorte, con dati dal Registro Svedese delle UTIC 19599 pz con IMA di cui 5528 trattati con statine durante la degenza ospedaliera EP primario: mortalità ad un anno dall’evento ischemico acuto Risultati: riduzione significativa della mortalità (4% vs 9.3%, RR 0.75, p=0.001), indipendentemente da età, sesso, condizioni cliniche basali, terapia concomitante Il trial RIKS–HIA, fondato sui dati raccolti in un registro svedese, è stato uno studio prospettico di coorte osservazionale che ha confrontato l’outcome mortalità in 5.528 pazienti con IMA trattati con statine alla dimissione o prima della fine del ricovero confrontandoli con i dati ricavati da 14.071 pazienti non trattati precocemente con statine. La mortalità a 1 anno nel gruppo trattato con statine è stata del 4% rispetto a una percentuale del 9,3% rilevata nella popolazione non trattata. La significatività della differenza tra i gruppi siè mantenuta anche dopo correzione per altri fattori di rischio CV. JAMA 2001; 285(13):1711-8

Rischio relativo di mortalità ad 1 anno Swedish registry Il trattamento combinato di statine e rivascolarizzazione riduce il rischio di mortalità Rischio relativo di mortalità ad 1 anno 70 Statine 40 20 Rivascolarizzazione Terapia combinata 10 30 50 60 34% 36% 64% I risultati sono apparsi ancora più favorevoli quando i pazienti sono stati sottoposti a procedure di rivascolarizzazione, fornendo un’informazione che non era deducibile dallo studio MIRACL, i cui pazienti per essere elegibili non dovevano essere candidati a un PCI nel mese successivo al ricovero. Lo Studio MIRACL (Myocardial Ischemia with Aggressive Cholesterol Lowering, JAMA 2001), randomizzato e in doppio cieco, aveva infatti arruolato 3.086 pazienti con angina instabile/NSTEMI nel periodo 1997-99, assegnandoli a un trattamento con atorvastatina 80 mg vs placebo entro 24-96 ore dall’evento acuto, escludendo tuttavia dallo studio i soggetti candidati a un intervento di rivascolarizzazione (oltre che in caso di colesterolemia totale superiore a 270 mg/dl). Nello studio MIRACL gli endpoint di efficacia hanno peraltro dimostrato di iniziare a separarsi nel gruppo trattato con statina rispetto al gruppo placebo già dopo 4 settimane dall’evento acuto e in modo più netto a partire dalle 16 settimane. JAMA 2001; 285(13):1711-8

Dislipidemia e cardiopatia ischemica Elevati livelli di trigliceridemia (TG > 200 mg/dL) sono un FR indipendente per CAD e suggeriscono che le lipoproteine ricche di trigliceridi (VLDL) abbiano un proprio potenziale aterogenico Nella pratica clinica la determinazione del colesterolo non-HDL (col. totale – col. HDL) permette di valutare l’intero pool di lipoproteine aterogeniche Nei soggetti con iperTG il valore ottimale di colesterolo non-HDL da raggiungere è  130 mg/dL Oltre al rilievo noto dei valori di colesterolo e delle sue sottofrazioni come fattori predittivi di rischio cardiovascolare, va richiamato come nel paziente con cardiopatia ischemica l’incremento della trigliceridemia sia oggi ritenuto un fattore di rischio indipendente per coronaropatia aterosclerotica. Ciò suggerisce che le lipoproteine ricche di trigliceridi (VLDL) abbiano un poteziale pro-aterogeno. Nella pratica clinica la determinazione del colesterolo non-HDL permette di includere la valutazione, per ogni singolo soggetto, dell’intero pool delle lipoproteine aterogeniche. Il colesterolo non-HDL viene infatti calcolato sottraendo il colesterolo HDL al colesterolo totale. Come indicato dalle linee guida aggiornate dell’American College-American Heart Association per i pazienti con cardiopatia ischemica cronica (ACC/AHA 2002 Guideline update for the management of patients with chronic stable angina-JACC 2003; 41:159) nei soggetti con trigliceridemia < 200 mg/dL il valore ottimale di colesterolo non HDL da raggiungere è fissato a valori  130 mg/dl, ACC/AHA guidelines 2002- Stable Angina

Target primario C-LDL: Target secondario C-non-HDL: La tendenza attuale confortata da quanto pubblicato nel report ATPIII è dunque quella di considerare in primo luogo l’importanza di raggiungere il target del colesterolo LDL e in un secondo tempo di considerare come target secondario anche il C-non-HDL, considerato nell’insieme come la frazione dei lipidi sierici trasportati in lipoproteine dotate di una potenzialità aterogena.

Prevenzione secondaria e altri farmaci ipolipemizzanti PUFA n-3 Gli acidi grassi -3 possono essere: a) di origine vegetale  acido  linolenico b) di origine animale (pesce)  ac. eicosapentenoico o EPA e ac. docosoexaenoico o DHA N.B. con il termine generico di PUFAn-3 ci si riferisce convenzionalmente ai secondi Meccanismi d’azione possibili: ridotta sensibilità miocardica alle aritmie effetto antitrombotico ridotta trigliceridemia ridotta crescita della placca aterosclerotica incremento del rilasciamento endoteliale NO-mediato Altri farmaci ipolipemizzanti sono gli acidi grassi polinsaturi che nella diapositiva vengono suddivisi in preparati di origine vegetale e preparati di origine animale. Di essi vengono elencate anche i possibili meccanismi con cui influiscono favorevolmente sulla progressione-instabilizzazione dell’aterotrombosi e che ne hanno suggerito l’impiego nel trial clinico GISSI-prevenzione.

Prevenzione secondaria e altri farmaci ipolipemizzanti PUFA n-3 Anche con i PUFA n-3 sono stati condotti studi clinici randomizzati con end-point clinici e angiografici EP angiografici EP clinici È stata documentata la tendenza ad una minore progressione della placca, alla maggiore regressione dell’aterosclerosi con riduzione degli eventi Dubbio beneficio sulla ristenosi dopo PCI GISSI Prevenzione (Lancet 1999) 11323 pz con pregresso IMA assegnati a PUFA n-3, vitamina E, entrambi o nessuno dei due, seguiti per circa 3 anni e mezzo I PUFA n-3 non hanno prodotto una riduzione significativa della mortalità totale (-20%), IMA e ictus non fatale;  di morte improvvisa Anche per questa categoria di farmaci sono stati effettuati studi con endpoint angiografici e studi con endpoint clinici. Tra di essi il trial di maggiore rilevanza resta lo studio GISSI-Prevenzione (Lancet 1999; 354: 447) che ha arruolato 11.324 pazienti con cardiopatia ischemica assegnati in modo randomizzato al trattamento con PUFA n-3 (850 mg) o con vitamina E, entrambi tali trattamenti o nessuno di essi. Dopo 3,5 anni di trattamento i pazienti che avevano assunto acidi grassi hanno sperimentato una riduzione del 15% dell’endpoint combinato di morte, IMA non fatale e ictus non fatale (p<0,02), con una riduzione della mortalità totale pari al 20% e della morte improvvisa pari al 45% (entrambi end-point surrogati). I limiti del trial sono quelli di non avere un disegno controllato vs placebo e di aver registrato un numero significativo di casi di abbandono del farmaco in studio (25%).

Indicazioni all’uso di PUFA n-3 Studi clinici randomizzati hanno dimostrato che i PUFA n-3 possono ridurre gli eventi cardiovascolari e la progressione dell’aterosclerosi nei coronaropatici anche se sono necessari altri trial per confermarne l’indicazione in prevenzione primaria e secondaria Le AHA Dietary Guidelines raccomandano l’inclusione di pesce e ac. linoleico vegetale nella dieta di pazienti con CAD e l’impiego di supplementi farmacologici dopo consulto medico, soprattutto se concomita ipertrigliceridemia Nonostante i risultati del GISSI-Prevenzione non possano tradursi in una precisa indicazione all’uso dei PUFA n-3, essi comunque sottolineano l’importanza di un adeguato introito di queste sostanze nell’apporto alimentare quotidiano. Il messaggio è chiaramente trasmesso dalle linee guida dietetiche dell’American Heart Association che lascia aperta la strada all’intervento farmacologico, sotto la supervisione del medico, laddove non sia possibile un’ adeguata assunzione dietetica di PUFA n-3.

Cardiopatia ischemica e terapia ipolipemizzante Quali pazienti trattare?  Pazienti con C-LDL > 100 mg/dl  Tutti ? Con quali farmaci?  Statine  PUFA ? Con quali target?  Colesterolo LDL < 100  Colesterolo non HDL < 130 Quando in concomitanza  Il più presto possibile, con una SCA? entro 96 h dall’evento Per quanto tempo?  Long term Poche sono le risposte univoche e definitive alle domande elencate nella diapositiva sui maggiori problemi che si pongono nella terapia ipolipemizzante in prevenzione secondaria; le certezze sono infatti ulteriormente messe in discussione dalle evidenze degli studi più recenti. Va sottolineato che i cardiopatici ischemici con una colesterolemia LDL  100 mg/dl, rappresentano, peraltro, di fatto la quasi totalità della popolazione di individui con coronaropatia aterosclerotica e che quando si stabilisce che i valori di LDL ritenuti ottimali devono essere progressivamente sempre più bassi, risulta assai difficile individuare soggetti che siano già a target in assenza di trattamento. Il recente studio PROVE-IT (e con lui già in precedenza il MIRACL) ha ulteriormente messo in discussione il target di LDL= 100 mg/dL che resta comunque l’unico cut-off per ora raccomandato dalle linee-guida internazionali. Quanto alla precocità con cui intraprendere una terapia dopo l’evento acuto, è probabile che, per quanto concerne le sindromi coronariche acute, ci si possa collocare tra le 96 ore indicate dal MIRACL e i giorni di degenza suggeriti nel PROVE-IT. Va segnalato peraltro che un trattamento iniziato precocemente dimostra una maggiore probabilità di essere poi proseguito dal paziente al proprio domicilio, rispetto a un trattamento iniziato a distanza dal ricovero e magari dopo un primo tentativo solo dietetico di modulazione del profilo lipidico.   ACC/AHA guidelines 2002- Stable Angina

Monitoraggio del raggiungimento del target ? RUOLO DEL MMG Gestione del paziente ? Monitoraggio del raggiungimento del target ? Verifica della compliance alla terapia cronica ? Va sottolineato, in questo panorama, che il ruolo dell’MMG resta di fondamentale importanza e che, soprattutto nel lungo periodo, rappresenta la strategia ottimale per monitorare il raggiungimento del target e per la verifica dell’adesione del paziente alla terapia.