Sociologia della malattia Antonio Maturo Cap.2 par. 3-4.

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Sociologia della malattia Antonio Maturo Cap.2 par. 3-4

Concetti di Bateson finalismo cosciente relazioni simmetriche e relazioni complementari schismogenesi Linguaggio verbale – informazione Metacomunicazione metalinguaggio

La cibernetica dell’ “io”: una teoria dell’alcolismo Bateson: «Le sue [dell’uomo] convinzioni (di solito inconsce) sul mondo che lo circonda determineranno il suo modo di vederlo e di agirvi, e questo suo modo di sentire e agire determinerà le sue convinzioni sulla natura del mondo» Noi esseri umani possediamo: «un sistema di interpretazioni che imponiamo ai contesti che incontriamo»

si domanda Bateson, si può uscire dall’alcolismo con la forza di volontà e l’autocontrollo? Separando mente e corpo (res cogitans e res extensa) Cartesio ha legittimato l’illusione che l’uomo occidentale possa dominare l’ambiente. Purtroppo l’uomo occidentale non riesce a vedersi come parte di quell’ambiente che crede di colonizzare senza conseguenze: «Egli non riesce a vedersi come parte del sistema in cui accadono i guai, e allora dà la colpa al sistema oppure a se stesso» [1976: 451].

Forse anche l’alcolizzato è portato a dicotomizzare ciò che in realtà è relazionale: o è lui che non riesce a smettere perché è debole oppure sono gli eventi e il contesto in cui vive a spingerlo verso la bottiglia; egli non pensa che forse il problema è lui-con-l’alcol.

In un certo senso, potremmo dire che l’intossicazione da alcol, l’ubriacatura, ha quindi la funzione di correggere una situazione difficile. Potremmo anche dire che “si beve perché si è troppo sobri”. Per l’alcolizzato, dice Bateson, bere significa correggere una sobrietà “sbagliata

Per guarire, dice Bateson – ma lo dicono anche gli AA – bisogna “toccare il fondo”. Solo così prenderà avvio, in modo del tutto involontario, la ristrutturazione delle premesse cognitive dell’alcolizzato. Solo così ci si potrà accorgere che esiste un “potere più grande dell’io”.

L’assunto di Bateson è che la schizofrenia derivi da un situazione nella quale il soggetto esperisce un “doppio vincolo”. Il doppio vincolo consiste in una situazione nella quale al soggetto viene chiesto di seguire, contemporaneamente, due modalità di azione antitetiche o di rispondere a due affermazioni contrastanti.

Ad esempio, la mamma che regala due camicie al figlio e quando la mattina dopo il figlio si mette una di queste la madre esclama: “Perché, l’altra non ti piaceva?”. Il altri termini, il doppio vincolo comporta che il soggetto non riesca a discriminare tra i vari livelli logici della comunicazione: metacomunicazione e comunicazione; aspetti relazionali e aspetti informativi; paralinguaggio e linguaggio; analogico e discreto.

Bateson elenca gli “ingredienti” necessari per una situazione di doppio vincolo: deve esserci una situazione comunicativa tra due o più persone relativamente stabile affinché il tema del doppio vincolo diventi un’esperienza ricorrente della vittima;

la vittima deve rispondere contemporaneamente ad un’ingiunzione primaria negativa e ad un’ingiunzione secondaria in conflitto con la prima ad una livello più astratto

Malattia come stigma Un individuo portatore di uno stigma è condannato, secondo Goffman, a perturbare – in misura più o meno intensa – le interazioni. A proposito degli eventuali elementi che possono incrinare l’interazione, che bisognerebbe avere la delicatezza di “non notare”, ci sono i difetti fisici, ma non solo:

«Lo stesso destino è condiviso dalle persone che hanno uno stigma di tipo razziale o etnico, e quelle che hanno uno stigma morale, come gli ex-malati mentali, gli ex galeotti e gli omosessuali. Questi individui debbono fare i conti con la triste caratteristica di produrre danni quasi in tutti gli incontri in cui si trovano»

Tra coloro che “accettano” la categoria degli stigmatizzati, ci sono senza dubbio coloro che sono portatori dello stesso stigma. Oltre a questi, dice Goffman, ci sono i cd. “saggi” Tra i saggi Goffman annovera gli altri “marginali” (altri portatori di stigma), i parenti o i vicini di uno stigmatizzato, che conoscono la situazione dello stigma, oppure…

…«colui che deriva la sua “saggezza” dal lavorare in un ambiente che si occupa specialmente dei bisogni di chi ha uno stigma particolare o dei provvedimenti che la società prende in loro favore. Per esempio, gli infermieri e i terapisti possono essere “saggi”»

Asylums Caratteristica principale delle istituzioni totali è quella di rompere le barriere che abitualmente separano il dormire, il lavorare e il divertirsi.

Nel corso del processo di ammissione si perde la propria identità sociale e se ne acquista una nuova, definita dall’istituzione, «dove il punto centrale sia fissato dalla nudità fisica» [ibidem: 48].

Si perde inoltre anche la propria identità personale/anagrafica: «in qualunque modo si venga poi chiamati, la perdita del proprio nome può significare una notevole riduzione del sé»

Goffman descrive le routines attraverso le quali l’internato è obbligato a impegnarsi in attività «le cui implicazioni simboliche sono incompatibili con il concetto che egli hai di sé stesso»

Stigma ha dato l’impulso a numerosi studi sul labelling, ovvero sul modo attraverso cui significati costruiti socialmente riguardo a certe categorie di persone (criminali, immigrati, sofferenti psichici), slittano in ambiti istituzionali e di senso comune agendo poi come profezie autoavverantisi (ad es. l’essere immigrato come “spiegazione” di comportamenti devianti).