Infezioni embriofetali

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Transcript della presentazione:

Infezioni embriofetali In particolare: ToRCH Sifilide B19

CMV La trasmissione verticale dalla madre al figlio può avvenire per via transplacentare, perinatale o in epoca postnatale con il latte materno Circa 1% dei nati vivi sono stati infettati in utero ed eliminano CMV con le urine alla nascita La severità dell’infezione fetale è maggiore durante la prima metà della gestazione Il feto può essere infettato a seguito di infezione primaria della madre o di infezione riattivata

Infezione intrauterina L’infezione primaria materna comporta conseguenze molto più gravi per il feto In questo caso il 10% dei neonati infetti ha manifestazioni evidenti alla nascita, il 10-20% incorre in ritardo mentale o in sordità neurosensoriale

Infezione peri e postnatale L’infezione cervicale materna è comune ed espone molti neonati all’infezione perinatale La maggior parte dei bambini così contagiati resta in buone condizioni cliniche Questo vale anche per i piccoli che acquistano l’infezione con il latte materno I bambini pre-termine che acquisiscono il virus in fase peri-postnatale sono a maggior rischio di infezione clinicamente severa e di sequele

Diagnosi IgG e IgM specifiche nel sangue materno (infezione primaria o riattivazione/reinfezione) Indagini dirette sulla madre (ricerca di CMV) su sangue ed urine, con metodi colturali e molecolari Ricerca dell’antigene pp65 nei leucociti materni Ricerca del virus nel liquido amniotico Ricerca di IgM specifiche o del virus nel neonato Clinica: calcificazione endocraniche, corioretinite nel neonato

Infezione neonatale da HSV La prevalenza dell’infezione erpetica neonatale è stimata fra 1/3000 e 1/20.000 nati vivi E’ in causa solitamente HSV-2 I neonati pretermine sono maggiormente a rischio La trasmissione da madre a neonato è perinatale (durante il parto o in via ascendente, talora attraverso membrane apparentemente intatte) o postnatale L’infezione intrauterina associata a malformazioni connatali è stata riportata raramente Il neonato può essere contagiato, più raramente, da un’altra persona con infezione attiva da HIV-1 o -2. Forse anche da sanitari che accudiscono individui infetti (mani contaminate?). La madre con herpes labialis deve adottare le precauzioni appropriate. Alcuni esperti consigliano il trattamento della lesione materna, altri la somministrazione profilattica di aciclovir al neonato in presenza di una qualche forma di rischio. Altri consigliano il monitoraggio virologico del neonato (tamponi di congiuntiva, bocca, narici, retto, coltura urine) iniziando la terapia in caso di positività. Da notare che questo tipo di monitoraggio non ha una sensibilità de 100%

HSV Il rischio di trasmissione è stimato 33-50% se la madre ha un’infezione genitale primaria e il parto è vaginale Se la madre ha un’infezione erpetica genitale ricorrente attiva il rischio di trasmissione al neonato è inferiore al 5% La distinzione fra un’infezione primaria ed una ricorrente può essere difficile La clinica e l’anamnesi materna è silente in oltre ¾ dei casi di infezione neonatale

Clinica L’infezione neonatale può essere molto grave ed insorge entro le prime 4 settimane di vita Malattia disseminata multi-organo, con impegno viscerale (soprattutto polmoni e fegato) e quadro simil-settico Malattia del SNC Malattia localizzata, con le caratteristiche lesioni vescicolari a bocca, occhi, cute Forme miste Le forme disseminate sono generalmente le più precoci. L’eruzione cutanea può essere tardiva. Le forme del SNC compaiono spesso tra la seconda a la terza settimana di vita.

Toxoplasmosi Toxoplasma gondii è un protozoo (Apicomplexa) Infetta la maggior parte delle specie a samgue caldo Ospiti definitivi sono i felini Nell’intestino di questi animali il parassita si replica sessualmente

Trasmissione Il gatto comincia ad eliminare oocisti 3-30 giorni dopo l’infezione primaria per una o due settimane Dopo l’escrezione l’oocisti matura (sporulazione) in 24-48 ore prima di essere infettante per via orale Gli ospiti intermedi (pecore, suini, bovini in particolare) contengono cisti tessutali nell’encefalo, miocardio, muscolo scheletrico e altri organi, ove i bradizoiti rimangono vitali L’uomo si infetta soprattutto ingerendo la carne cruda o poco cotta, o assumendo sporocisti con vegetali contaminati

L’infezione umana è comunissima, come risulta da indagini sieroepidemiologiche L’infezione primaria in gravidanza può essere seguita da infezione intrauterina La prevalenza dell’infezione connatale negli USA è stimata fra 1/1000 e 10.000 nati vivi Dogma di Sabin

Sierodiagnosi IgM specifiche Le IgM specifiche (EIA, IF indiretta) possono essere svelate dopo due settimane dall’infezione, raggiungono un picco dopo un mese e quindi declinano negativizzandosi in 6-9 mesi; in alcuni casi persistono fino a 2 anni Le IgM indicano infezione recente (< 6 mesi); tuttavia possono esservi false positività Più sensibili gli EIA dell’IF

Ancora sierodiagnosi Altre classi Ig Le IgG raggiungono un picco dopo 1-2 mesi e rimangono positive a vita IgG ad alta avidità indicano una esposizione non recentissima, insorta da almeno 12-16 settimane IgG a bassa avidità depongono per infezione recente, come pure IgA e IgE specifiche (che declinano prima delle IgM) Le IgG a bassa avidità non sarebbero molto predittive di infezione recente secondo Red Book 2006. Le IgA e IgE sono disponibili solo in alcuni laboratori.

Diagnosi definitiva Monitoraggio ecografico del feto Liquido amniotico: DNA (PCR) Infezione sperimentale del topolino Isolamento in coltura tessutale

Nel periodo postnatale Sierologia su madre e bambino se la diagnosi in questo non è certa La cinetica anticorpale comparativa madre/figlio nel primo anno di vita chiarisce la diagnosi in via definitiva PCR per Toxo su sangue, liquor, liquido amniotico Monitoraggio clinico, oftalmologico, audiologico, TAC encefalo

Prevenzione dell’infezione fetale Se la gravida ha una prima infezione Chemioprofilassi con spiramicina, sulfadiazina/pirimetamina se l’infezione è confermata dopo la 16-17^ settimana di gravidanza La spiramicina costituisce un tentativo di bloccare la trasmissione al feto

Terapia dell’infezione connatale Sulfadiazina / pirimetamina con supplemento di acido folinico per un anno

Rosolia La trasmissione di questo Rubivirus (Togaviridae, RNA a polarità positiva) dalla madre al feto produce difetti congeniti nell’85% dei casi se l’esantema materno ha luogo nelle prime 12 settimane di gravidanza, nel 54% dei casi durante la 13-16 settimana, nel 25% durante la fine del secondo timestre

Alterazioni connatali Le anomalie più comuni sono Oculistiche (cataratta, retinopatia pigmentaria, microftalmo, glaucoma) Cardiache (Botallo pervio, stenosi arteria polmonare) Uditive (ipoacusia/sordità neurosensoriale) Neurologiche (menigoencefalite, ritardo mentale, turbe del comportamento)

Manifestazioni neonatali Ritardo nella crescita Polmonite interstiziale Epatosplenomegalia Trombocitopenia Eritropoiesi dermica (blueberry muffin) Alterazioni ossee radiolucenti

Forme lievi Scarse o non evidenti manifestazioni cliniche alla nascita Il bambino può rimanere escretore virale per un anno e più Il virus è stato rinvenuto del cristallino anni dopo la nascita, in sede di intervento per cataratta

Epidemiologia attuale Prima della vaccinazione estesa anti-rosolia (MPR) la malattia era epidemica con cicli di 6-9 anni La maggior parte dei casi si manifestava in età pediatrica Negli USA la riduzione dell’incidenza è stata del 99% (meno di 25 casi/anno) Indagini sierologiche dimostrano che il 10% dei soggetti oltre i 5 anni d’età è suscettibile Incubazione: 14-23 gg, solitamente 16-18 Infettività da una settimana prima dell’esantema a due settimane dopo

Diagnosi nella gravida In caso di esposizione la donna si sottopone a prelievo per anticorpi specifici (IgG e IgM); il siero viene conservato in congelatore La presenza di anticorpi IgG al momento dell’esposizione documenta lo stato di immunoprotezione Se non vi sono anticorpi, un secondo prelievo è condotto dopo 2-3 settimane e viene testato assieme al primo campione Se il secondo test è negativo si ripete l’esame a sei settimane dall’esposizione saggiando in concomitanza il primo campione La sieroconversione (positività nel secondo o terzo prelievo, con negatività del primo) documenta l’avvenuta infezione

2006

Parvovirus B19 Virus a DNA implicato nel (megalo)erythema infectiosum (V malattia), EI Ha un tropismo per gli eritroblasti Può causare crisi aplastiche nei soggetti con anemia emolitica cronica, anemia persistente nei soggetti con immunodeficienza Inoltre: poliartritopatia negli adulti immunocompetenti (donne soprattutto)

Nel feto Può causare anemia congenita e idrope fetale

Epidemiologia Comune, cosmopolita L’uomo è l’unico ospite Vie di trasmissione: respiratoria, parenterale, verticale Casi sporadici, piccole epidemie nelle scuole elementari o medie, possibile diffusione secondaria a familiari suscettibili Sieroprevalenza: 5-10% nei bambini piccoli, 50% nei giovani adulti, 90% negli anziani Il 50% dei contatti intrafamiliari suscettibili ammala.

Diagnosi Negli immunocompetenti il metodo preferibile è la ricerca degli anticorpi IgG e IgM Negli immunodepressi soprattutto ricerca del DNA virale mediante PCR Il parvovirus B19 può essere trovato in soggetti immunocompetenti a bassa carica anche 9 mesi dopo la fase viremica acuta

Terapia La maggior parte delle infezioni è sublinica o lieve, e la terapia indicata è solo di supporto I pazienti con anemia aplastica possono richiedere trasfusioni La terapia immunoglobulinica intravenosa è efficace e deve essere considerata nelle forme severe Alcune gravi forme di idrope fetale sono state curate con trasfusioni intrauerine

Monitoraggio Donne gravide che hanno avuto contatti con bambini che erano nel periodo di incubazione dell’EI o con bambini in crisi aplastica hanno un basso rischio di trasmettere l’infezione al feto L’opzione dell’accertamento sierologico dovrebbe essere offerta in questi casi Il monitoraggio fetale con ultrasonografia può risultare utile Donne che a casa o a scuola (insegnanti, addette agli asili) sono esposte a bambini con EI hanno basso rischio di trasmettere al prodotto del concepimento il virus, pertanto non si raccomanda l’esclusione dal posto di lavoro di gravide quando nel posto di lavoro si verificano casi di EI. I bambini con EI non vanno allontanati dalla scuola perché in fase esantematica non sono più infettanti. Pazienti pediatrici con crisi aplastica o PPGSS (papulopurpuric glove-and-socks syndrome) pazienti immundepressi con infezione cronica da B19 dovrebbero essere sottoposti a procedure di controllo delle infezioni, fra cui droplet precautions. Il paziente con anemia aplastica va considerato potenziale fonte di trasmissione per 7 giorni almeno. Le donne gravide non dovrebbero assistere tali pazienti e dovrebber rispettare le procedure di controllo delle infezioni.

HIV Lo studio PACTG 076 dimostrò che la somministrazione di zidovudina (ZDV) alla gravida e al neonato riduceva il rischio di trasmissione di due terzi ZDV iniziava alla 14 - 34 settimana, era somministrata per via venosa allla madre durante il travaglio, e era somministrata al bambino per 6 settimane

Studi successivi dimostrarono che la riduzione della viremia materna ottenuta con terapia antiretrovirale con due o tre farmaci riduceva il rischio di trasmissione a meno del 2% Anche schemi più semplici, come una singola dose di nevirapina al momento del parto, sono risultati provvisti di una qualche efficacia (riduzione del rischio di circa il 50%) Anche il parto cesareo ha una certa efficacia, come pure l’allattamento artificiale. Tal pratiche peraltro hanno degli inconvenienti, soprattutto nei paesi poveri.

Regimi di profilassi nel corso della gestazione combinati sono più efficaci di quelli a farmaco singolo La riduzione della viremia materna al momento del parto non è l’unico fattore protettivo Si raccomanda una profilassi combinata antepartum, intrapartum, e nel bambino

Raccomandazione La profilassi antiretrovirale per prevenire la trasmissione verticale di HIV dovrebbe essere garantita ad ogni donna infetta, indipendentemente dal numero di copie di HIV RNA Revisions to the October, 12, 2006 Public Health Service Task Force Recommendations for Use of Antiretroviral Drugs in Pregnant HIV-1-Infected Women for Maternal Health and Interventions to Reduce Perinatal HIV-1-Transmission in the United States have been made by the Perinatal HIV Guidelines Working Group . (http://AIDSinfo.nih.gov)