Istituzioni comunali e statuti

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Sara Landini Professore di diritto privato Università degli studi di Firenze.
Transcript della presentazione:

Istituzioni comunali e statuti XIX Istituzioni comunali e statuti

XIX. Istituzioni comunali e statuti rinascita urbana del secolo XI continuità con i municipi romani governo vescovile: concessioni imperiali e diritti comitali (secc. X-XI) libertas ecclesiae promossa dalla Riforma sollecita “emancipazione” dei laici tramite forme autonome di organizzazione politica vitalità economica delle città ed economia monetaria movimento associativo a livello intracomunale confraternite compagnie delle armi (basate su suddivisioni urbane) compagnie delle arti (corporazioni) consorterie gentilizie comunità rurali strutture associative in grado di gestire l’amministrazione locale

XIX. Istituzioni comunali e statuti Fasi delle istituzioni comunali comune consolare (sec. XII-inizi XIII): consoli + assemblea cittadini (concio, arengo) comune podestarile (fine sec. XII-metà XIII): podestà + consiglio “minore” (consigli di Credenza, consigli degli Anziani) comune popolare (seconda metà sec. XIII - concetto di populus; governo delle Arti) capitano del Popolo e podestà legislazione antimagnatizia e suntuaria; ordinamenti “sacrati e sacratissimi” Signoria (fine sec. XIII-sec. XIV) Principato (vicariati imperiali e pontifici)

XIX. Istituzioni comunali e statuti Importanza del “regime” podestarile: basato inizialmente su rettori locali e poi itineranti, con uno sviluppo che si assesta definitivamente tra la fine del sec. XII e gli anni ’20 del ’200 personale politico sempre più specializzato, con curie di giudici e notai funzioni principali: giurisdizione civile e criminale, politica estera, comando militare strumento di alleanze intercittadine redazione scritta degli Statuti diffusione di una cultura di matrice giuridica (anche per notai) e retorica, sull’esempio della tradizione classica e in particolare ciceroniana (manuali de regimine civitatis e manuali di Retorica-Ars Dictandi)

XIX. Istituzioni comunali e statuti Manuali de regimine civitatis: Oculus pastoralis, sive Libellum erudiens futurum rectorem populorum anonymo auctore: raccolta di discorsi per podestà, forse risalente agli anni ’20 del 200 e attribuibile a Boncompagno da Signa, maestro di ars dictaminis De regimine et sapientia potestatis: poemetto terminato nel 1245 dal giudice Orfino da Lodi Liber de regimine civitatum: opera composta circa nel 1260 dal giudice Giovanni da Viterbo Brunetto Latini, Tresor, l. III (composto tra 1260 e 1266) Paolino Minorita, De regimine rectoris (1314)

XIX. Istituzioni comunali e statuti Manuali di retorica: Boncompagno da Signa (nato a Signa, presso Firenze, tra 1165 e 1175 e maestro di grammatica e retorica a Bologna sino al 1218; appronta anche il Prologo alla Summa Codicis di Azzone) Cedrus = operetta composta nel 1201 in 6 libri ove dà informazioni generali sugli Statuti  viene scritta prima che i giuristi inizino a occuparsi di Statuti e ricorda che ogni città d’Italia già si era data uno Statuto, mentre non esistevano ancora quelli di Società d’Arti, d’Armi e degli Studenti  anticipa le riflessioni dei giuristi sull’interpretazione dello Statuto, sulla sua legittimazione quale deroga allo ius commune, e pure commenti e glosse di legisti a statuti cittadini      

XIX. Istituzioni comunali e statuti Manuali di retorica: Rethorica novissima = pubblicata in 1235 in 13 libri e scritta per studenti di diritto  è un manuale di istruzione retorica per avvocati  sostiene l’universalità del diritto romano e l’inconsistenza del diritto canonico senza quello civile  formula le norme degli Statuti, afferma la loro natura di legge particolare derogante al diritto comune e ne sostiene la validità fermo restando il mantenimento unitario e universale del diritto comune

XIX. Istituzioni comunali e statuti Premesse allo sviluppo di iura propria oltre allo ius civile romano, i testi giustinianei citano anche un ius civile proprio di ogni civitas e quindi locale: “quod quisque populus ipse sibi constituit, id ipsius proprium civitatis est vocaturque ius civile” (D. 1.1.9) un passo del giurista Salvio Giuliano (D. 1.3.32) ammette la desuetudine della legge, che quindi può essere tacitamente abrogata da una consuetudine contraria, in quanto dotata di identico potere già i municipia di diritto romano o latino in età imperiale sviluppano un diritto locale che contribuisce a ordinare l’organizzazione della vita collettiva, soprattutto in relazione alle regole procedurali per la risoluzione delle controversie  un lontano modello di ius proprium: un diritto locale che assimila istituti e procedure a quelli tipici di Roma, usati come modello cui conformarsi

XIX. Istituzioni comunali e statuti Diplomi imperiali di riconoscimento delle Consuetudini cittadine: Lotario III ai Torinesi (1136), ai quali è riconosciuta “quella libertà che è propria delle altre città italiche” (ma già Enrico V nel 1116 aveva loro riconosciuto “quella libertà di cui avevano goduto sino ad allora”) Enrico V ai Novaresi (1116) Enrico V ai Bolognesi (1116), ai quali sono confermate le antiche consuetudini Enrico IV ai Pisani (1081), riconoscendo le “consuetudines, quas habent de Mari…” Enrico IV ai Lucchesi (1081), concessione poi rinnovata nel 1084 Enrico III ai Mantovani (1055), ai quali si riconosce “quella consuetudine buona e giusta che possiede ogni città del nostro impero” (poi rinnovata da Enrico IV nel 1091 e da Enrico V nel 1116)

XIX. Istituzioni comunali e statuti  ai Mantovani viene rilasciato un diploma pure da Guelfo di Baviera e da Matilde di Canossa (1091), riconoscendo la consuetudine che è propria di ogni città della Langobardia, e già prima un diploma da Enrico II (1014) indirizzato agli “arimanni” della città  dal 1091 al 1114 Mantova, ribellatasi al dominio matildico, si autogoverna in una forma che anticipa il comune  rioccupata, torna a una forma di autogoverno dopo la morte di Matilde (1115) e con la sostanziale approvazione di Enrico V nel 1116  a Mantova la fine della dinastia canossana coincide con l’assunzione di poteri pubblici da parte dei gruppi di cittadini che danno luogo al Comune, documentato nel 1126  dopo la morte di Enrico V (1125) e la crisi che investe la successione al trono imperiale in Germania anche in altre città vicine si afferma il Comune: Reggio (1130), Modena e Verona (1136)

XIX. Istituzioni comunali e statuti dai tempi di Enrico II si susseguono diplomi indirizzati ai cives, ai quali si riconoscono le consuetudini locali, ma pure in alcuni casi - come Torino (1116 e 1136) e Mantova (dal 1055) - una consuetudine generale che caratterizza la natura stessa della residenza urbana, un “mos” comune connesso alla natura cittadina che segna anche una distinzione giuridica tra residenza in città e nel resto del territorio ai cittadini viene spesso riconosciuto il diritto di libera circolazione e commercio all’interno del Regno e dell’Impero, pagando talvolta diritti commerciali alla Camera regia  si mette così in rilievo la notevole mobilità dei cittadini, cui l’impero riconosce caratteristiche universali la libertà di movimento delle popolazioni urbane dedite al commercio si può identificare come consuetudine fondamentale cui è connesso il riconoscimento di una libertas ugualmente consuetudinaria

XIX. Istituzioni comunali e statuti lo sviluppo economico-commerciale, prima ancora di quello politico-istituzionale, evidenzia la capacità organizzativa delle città e il riconoscimento di uno speciale stato giuridico ad esse e ai loro abitanti, creando una netta distinzione rispetto ai territori esterni e le premesse per un rapporto privilegiato con l’Impero carattere specifico della città comunale italiana è l’espansione politica sul territorio, con accentramento di funzioni religiose (poi anche con Ordini Mendicanti), economiche, militari, amministrative, culturali dalla consuetudo municipalis (come diritto non scritto, ma garantito dal tacito consenso collettivo)  alla lex municipalis (le consuetudini messe per iscritto, come quelle milanesi del 1216)  allo Statuto

XIX. Istituzioni comunali e statuti Statutum = stabilito, ciò che è fissato tramite un atto di volontà diretto a statuere, a normare importanza dei processi di scritturazione normativa e della base culturale particolarmente forte in area italica e nella Francia centro-meridionale, ove si ricordano - p. es. - le precoci carte consolari di Arles e Avignone  ma in Italia il fenomeno statutario è più ampio e generalizzato, grazie alla forza tradizionale della cultura scritta e di quella giuridica  il processo di scritturazione porta alla moltiplicazione del complesso delle scritture amministrative prodotte dal Comune e trova poi ampio sviluppo con i regimi popolari

XIX. Istituzioni comunali e statuti nella forma più matura e organica gli Statuti sono composti da 3 masse normative: consuetudini brevia la normativa più recente emanata dagli organi consiliari (Statuti veri e propri) giungono poi a formare un complesso unitario oggetto di una apposita riscrittura e sistemazione, cui nella maggior parte dei casi si approda nei primi decenni del sec. XIII

XIX. Istituzioni comunali e statuti la redazione scritta delle consuetudini urbane e degli statuti si intreccia con l’aspirazione autonomistica dei Comuni, favorendo il rilancio della normativa statutaria che si osserva dopo la Pace di Costanza (25.VI.1183), indirizzata a 17 città alleate contro il Barbarossa ma subito fatta propria anche dalle altre negli Statuti i Comuni introducono quelle consuetudines che l’imperatore, sconfitto, è costretto a riconoscere nel 1183 e la loro redazione, anche se iniziata già prima della Pace di Costanza, conosce una accelerazione dai primi anni del ’200 in coincidenza con l’assestamento del regime podestarile itinerante

XIX. Istituzioni comunali e statuti in seguito alla rapida moltiplicazione delle norme che vengono a contenere, gli Statuti seguono di solito un modello compositivo abbastanza regolare, anche se non privo di eccezioni e varianti sono divisi in libri (4 o 5), con rubriche raggruppate per materie: Libro I: norme di livello “costituzionale”, relative all’organizzazione pubblica del Comune (incorporando anche i testi dei precedenti brevia), gli uffici, le cariche, le elezioni ecc. Libro II: norme sul processo e il diritto civile, che confermava o rifiutava le opzioni del diritto romano Libro III: norme sul processo e il diritto criminale Libri IV-V: norme varie, relative ai commerci, all’amministrazione corrente, ai lavori in città e nel contado, ai danni dati

XIX. Istituzioni comunali e statuti L’atteggiamento dei giuristi anche di aperto disprezzo verso la normativa comunale, non confrontabile per autorevolezza e completezza con quella romana gli statuti municipali sono ripudiati come insulti al diritto, opera di asini e contenenti norme arbitrarie da Odofredo, benché egli stesso dimostri di conoscere assai bene quelli bolognesi, in base ai molti riferimenti che sparge nelle sue glosse, e anche quelli di altre città come Venezia (1242), Pisa, Firenze e Perugia i giuristi bolognesi, compreso Odofredo, mostrano una totale avversione verso il diritto longobardo, da cui pure derivano principi e terminologia che si riversano negli statuti (C. 6.46.5: Ut dicit fetidissimum ius Langobardorum), e sottolineano che a Bologna non si osserva tale diritto e che questo non costituisce la base degli Statuti comunali, poiché citra Padum servatur ius romanorum, ultra Padum servatur ius lombardorum, et in Tuscia servatur ius lombardorum (Odofredo)

XIX. Istituzioni comunali e statuti L’atteggiamento dei giuristi un noto passo di Gaio (D 1.1.9: “quisque populus ipse sibi ius constituit, id ipsius proprium civitatis est”) costituisce il luogo preferito dai Commentatori per studiare la natura e il fondamento dello ius statuendi (an sit permissionis aut iurisdictionis) e il problema relativo all’interpretatio dello ius proprium civitatis o lex municipalis, dato che i testi giustinianei limitavano le fonti del diritto esclusivamente alla consuetudine, alle leggi del Principe e alla dottrina. la legittimazione dello ius proprium come fonte autonoma di diritto viene basata su tre teorie, che iniziano a maturare dalla II metà del sec. XIII: della permissio della iurisdictio del ius gentium

XIX. Istituzioni comunali e statuti 1. Permissio: potestas statuendi delle città legata al consenso di Federico I formalizzato tramite la Pace Costanza (1183) è quindi revocabile da parte dell’imperatore è formalmente destinata a un numero limitato di città riunite nella Lega Lombarda concerne la rinuncia da parte imperiale a un ventaglio di ben definiti poteri

XIX. Istituzioni comunali e statuti 2. Iurisdictio: (sviluppata soprattutto da Bartolo) potestas statuendi comunale vista come particella, come “materializzazione” locale della più generale potestà normativa imperiale ogni iurisdictio corrisponde ad uno specifico ordinamento giuridico nel senso che la iurisdictio (ormai equiparata alla potestas statuendi dei Comuni) viene riconosciuta come spettante a coloro che godono di una posizione di superiorità rispetto ad altri soggetti di diritto e hanno su questi un’autorità di comando il diritto vigente nell’Impero si articola in una vasta gamma di iurisdictiones, ognuna corrispondente a uno specifico ordinamento giuridico che va da quello minimo del dominus fondiario a quello massimo dell’imperatore

XIX. Istituzioni comunali e statuti il potere imperiale offre quindi il modello da riprodurre negli ordinamenti di livello inferiore ogni forma di potestas si dota di specifiche norme e stabilisce la forma che il proprio diritto deve assumere nonché i modi della sua evoluzione l’ordinamento Comunale esprime nello Statuto la sua volontà normativa e organizzativa a fondamento dello Statuto NON vi è più la concessione da parte di un’autorità superiore (permissio), ma la sostanza stessa del sistema giuridico vigente nell’Impero universale, con le sue articolate componenti ciascun ordinamento ha in sé, su scala e misura ridotta, gli stessi poteri che l’imperatore ha nell’impero

XIX. Istituzioni comunali e statuti 3. ius gentium: Baldo giunge a legittimare lo ius proprium quale “diritto delle genti”, che consente a ogni popolo di darsi il proprio regimen mediante proprie leggi e Statuti serve anche a dare un fondamento teorico a tutti gli ordinamenti esistenti all’interno delle città e quindi al forte spirito associativo che caratterizza la società medievale dando vita a una pluralità di ordinamenti giuridici particolari = associazioni di mestiere e di categorie professionali, compagnie delle armi, confraternite, Università degli scolari (come pure il diritto feudale e il ius mercatorum)

XIX. Istituzioni comunali e statuti tutto ciò valorizza la dimensione peculiare del Medioevo come una società “senza Stato”, ove la dimensione giuridica è in rapporto unicamente con la società e la civiltà circostanti e non ha bisogno di essere legittimata da un potere politico, ma reca in sé la propria legittimazione ed è pertanto autonoma il diritto è in relazione soltanto con il gruppo che lo produce e che vi si riconosce secondo la pluralità di ordinamenti tipica del Medioevo, ed esso nella sostanza si autolegittima in quanto espressione spontanea di una delle molteplici possibilità di aggregazione e organizzazione sociale concezione pattizia della norma consuetudinaria (come tacito consenso collettivo) alla base degli iura propria

XX L’Italia non comunale

XX. L’Italia non comunale Regno di Sicilia Ruggero II (1130); Assise di Ariano di Puglia (1140) Federico II di Svevia: formazione di uno stato accentrato con burocrazia costituita da funzionari stipendiati e con sottomissione della feudalità e dei comuni Liber Augustalis / Liber Constitutionum (Melfi, 1231), diviso in 3 libri: 1. ordinamento giudiziario 2. processo 3. diritto penale, civile, feudale Angioini (1266) sul continente, Aragonesi in Sicilia dal 1282 (vespri siciliani); 1442: unificazione delle due Sicilie sotto la dinastia borbonica capitula, pragmaticae, gratiae, preconi si stratificano sopra la normativa federiciana la costituzione Puritatem: gerarchia delle fonti vigenti nel Regnum

XX. L’Italia non comunale Liber Constitutionum di Federico II, costituzione Puritatem (I 62.1) Tale costituzione, nota con il nome di Puritatem (dalla prima parola del testo), venne promulgata una prima volta nel settembre 1231 e poi ancora in una seconda redazione, come testo autonomo e ampliato, nell’ottobre 1246. Le parti aggiunte riguardano il riferimento alla graduazione delle fonti e la sezione finale del testo si prescrive di amministrare la giustizia seguendo le norme contenute nel Liber; in difetto di esse secondo le consuetudines approbatas, e in difetto anche di queste ultime secundum iura communia, Langobardorum videlicet et Romanorum, prout qualitas litigantium exiget.

L’impero germanico e l’Italia tra XII e XIII secolo

XX. L’Italia non comunale Stato della Chiesa 1278: riconoscimento formale da parte di Rodolfo d’Asburgo dei territori destinati a formare lo Stato della Chiesa la cosiddetta “cattività avignonese” (1309-1377); Egidio di Albornoz, legato in Italia (1353) Constitutiones sanctae matris Ecclesiae - Consitutiones Marchiae Anconitanae - Costituzioni Egidiane (1357, Fano; 1544, riforma del cardinale Rodolfo Pio da Carpi) Ducato di Savoia le prime raccolte normative: Pietro II (1266-1269, contea di Vaud), Amedeo VI, il conte verde (1379) 1416 Amedeo VII (1416, titolo ducale; decreta: 1423, 1430 - Chambery) 

XX. L’Italia non comunale Sardegna dagli Arconti ai 4 giudicati (Cagliari, Arborea, Logudoro, Gallura): Genova, Pisa, Aragonesi Mariano ed Eleonora d’Arborea: Carta de Logu de Arborea (1395) Patriarcato di Aquileia il patriarca e il parlamento Niccolò di Lussemburgo (1352), Marquardo: Constitutiones Patriae Fori Iulii (1366) 1420: annessione veneziana, riforme e luogotenenti (1429); processo di “venetizzazione” (dalla fine del ’400 al 1673)

Le origini della scuola del Commento XXI Le origini della scuola del Commento

XXI. Le origini della scuola del Commento Caratteri generali nella II metà del sec. XIII si avvia il tramonto della Glossa come strumento ermeneutico agganciato alle singole parole e finalizzato all’esegesi letterale dei testi giustinianei si passa all’analisi delle rationes proprie delle leggi, necessarie anche per utilizzare il Diritto Romano in funzione sussidiaria rispetto agli altri ordinamenti e quindi trasformarlo effettivamente in Diritto Comune tramite l’analogia (procedimento de similibus ad similia) si recuperano i principi teorici (le rationes) che governano più fattispecie si usa il Diritto Romano per applicare il Ius Proprium

XXI. Le origini della scuola del Commento Presupposti Dalla metà circa del sec. XII iniziano a rendersi disponibili traduzioni latine, dal greco e dall’arabo, dell’ultima parte dell’Organon di Aristotele (Analitici Secondi / Analytica Posteriora) da parte di Giacomo Veneto, di un certo “Giovanni” (anteriore al 1159), di Gerardo da Cremona (anteriore al 1187) e di Guglielmo di Moerbecke (circa nel 1269) Difficoltà a creare una soddisfacente versione latina e progressività con cui tali conoscenze si diffondono nel circuito prima delle scuole di Arti e poi di quelle giuridiche

XXI. Le origini della scuola del Commento Presupposti Il metodo sillogistico, già descritto e disciplinato in tutti i suoi aspetti funzionali sin dalla prima affermazione della logica nova, basata sulla conoscenza della prima parte dell’Organon, viene articolato in forme più specifiche il sillogismo non si applica più ai verba del testo giuridico, ma ai principi propri della scienza giuridica, ossia ai principi evidenti, incontestabili, veri e certi desunti dalle norme contenuti nei testi giustinianei (rationes) Ratio est anima legis

XXI. Le origini della scuola del Commento si sviluppa un metodo di analisi articolato in diverse fasi divisio legis = individuazione delle parti che compongono la norma expositio = spiegazione sintetica del loro contenuto positio casuum = citazione di fattispecie concrete collectio notabilium = indicazione dei rilievi principali che si possono formulare in relazione alla norma opposiziones (o contraria) = elencazione delle obiezioni sollevabili quaestiones = individuazione dei problemi che potevano nascere dalla norma  ciò “che preme è la dimostrazione diretta della legittimità del principio e l’accertamento dei limiti della sua applicabilità” (Maffei)  scire leges non est earum verba tenere, set vim ac potestatem (Proemio del perduto Dictionarium iuris di Jacques de Revigny)  ubi est eadem ratio, ibi est idem ius (diritto come miniera di rationes)

XXI. Le origini della scuola del Commento La Scuola di Orléans 1235: Gregorio IX autorizza l’insegnamento del Diritto Romano presso la scuola di Orléans (Onorio III lo aveva proibito a Parigi nel 1219)  a Parigi sembra prevalere il timore che i chierici, attirati dallo studio del diritto civile, trascurassero quegli studi teologici di cui Parigi era la ‘capitale’  a Orléans, sede di una scuola ecclesiastica già affermata nell’insegnamento delle Arti e della Logica, dopo il 1235 giungono maestri formatisi a Bologna come Guido de Cumis (allievo di Iacopo Balduini) e Pietro Peregrossi (allievo di Odofredo)

XXI. Le origini della scuola del Commento Jacques de Revigny (Jacobus de Ravanis) Di condizione ecclesiastica, insegna a Orléans tra 1260 e 1280, diviene poi vescovo di Verdun nel 1289 e muore nel 1296 a Ferentino nel corso di un viaggio verso Roma Inaugura una nuova tecnica di interpretazione dei testi giustinianei: si sottopone il dettano normativo a una approfondita analisi per chiarirne l’intima ratio, la ragion d’essere (i principia propria) del precetto legislativo, da utilizzare poi come premessa di ogni ulteriore sillogismo dimostrativo volto a consentire l’applicazione di quei principia alla concreta vita giuridica Lecturae su Codice, Istituzioni, sulle 3 parti del Digesto e sull’Authenticum Repetitiones: lezioni tenute al di fuori dell’orario didattico normale destinate ad approfondire l’esegesi di leggi o parti di speciale rilievo (sembra tenute settimanalmente Quaestiones: sia disputate che non e anche di materia feudale

XXI. Le origini della scuola del Commento Jacques de Revigny (Jacobus de Ravanis) La ricerca dei principia propria della scienza giuridica è alla base di un’opera assai originale e innovativa rispetto ai generi letterari tipici delle scuole di diritto: il Dictionarium iuris o Alphabetum = enciclopedia di lemmi giuridici, di cui si offre una sintetica ed esauriente definizione (non si è conservato l’originale, ma una edizione rielaborata nota attraverso alcuni mss.)  ci si orienta a individuare ed enunciare una serie di definizioni adatte a descrivere i concetti giuridici fondamentali, elencati in forma di vocaboli ordinati alfabeticamente e di facile consultazione

XXI. Le origini della scuola del Commento Pierre de Belleperche (Petrus de Bellapertica, 1250 ca-1308) allievo di Jacques de Revigny consigliere del re di Francia Filippo il Bello; vescovo di Auxerre dopo il 1306; cancelliere di Francia lecturae, repetitiones quaestiones nella forma di distinctiones: strumento usato per classificare le fattispecie riconducibili a un genus legislativo

XXI. Le origini della scuola del Commento metodo dei Commentatori Dalla lettura diretta dei testi legislativi basata sull’interpretazione dei verba e sull’esame della formulazione letterale delle norme (secondo il metodo dei Glossatori)  si passa all’esposizione dei principia che la scienza giuridica trae dalle fonti, all’individuazione del sensus normativo dei precetti giustinianei, e quindi della sua peculiare sostanza razionale, e alla sua estensione a fattispecie non contemplate nei testi

La scuola del Commento in Italia XXII La scuola del Commento in Italia

XXII. La scuola del Commento in Italia Cino Sighibuldi da Pistoia (1270 ca.-1336/37) allievo di Dino del Mugello e di Lambertino Ramponi studi in Francia (?), insegna a Siena, Pistoia e Perugia (dal 1326) ascolta una repetitio bolognese di Pierre de Belleperche contemporaneo di Dante e poeta, in relazione con lo stesso Dante e con Guido Cavalcanti compone una imponente Lectura (o Commentario) super Codice, databile al 1312-14, seguita dalle Additiones sempre al Codice e quindi una incompiuta Lectura sul Digestum vetus, una raccolta di Quaestiones e pure di Consilia

XXII. La scuola del Commento in Italia Cino Sighibuldi da Pistoia (1270 ca.-1336/37) grande tecnico dell’argomentazione giuridica, ma mostra una forte avversione per lo ius proprium, che vede come un prodotto fortemente iniquo e soprattutto come un diritto accidentale e occasionale, e perciò assai mutevole, mentre il ius commune è il diritto per eccellenza, e quindi perfettamente stabile  è pertanto il diritto “principale”, mentre il ius proprium è soltanto un diritto accessorio

XXII. La scuola del Commento in Italia Bartolo da Sassoferrato (1313/14 - 1357) allievo a Perugia di Cino da Pistoia (1328), a Bologna di Iacopo Bottrigari baccelliere (1333), dottore (1334); ambasciatore e consigliere dell’imperatore Carlo IV di Boemia assessore a Todi, avvocato generale a Macerata, assessore a Pisa (1339); a Pisa inizia a insegnare passando poi a Perugia nel 1342 amplissima produzione / falsificazioni Commentari alle 3 parti del Digesto, al Codice e alle Novelle ampia serie di trattati su temi molto particolari: su due costituzioni di Enrico VI (Ad reprimendum; Qui sint rebelles), sulla tirannide, sul bando, la rappresaglia, l’ordinamento cittadino, sui guelfi e ghibellini, sul regime delle acque ecc.  forte sensibilità civile in epoca di passaggio da Comune a Signorie

XXII. La scuola del Commento in Italia Bartolo da Sassoferrato (1313/14 - 1357) scrive pure un Tractatus de insigniis et armis sul linguaggio figurato dell’araldica, come espressione peculiare dell’aristocrazia  a Bartolo l’imperatore Carlo IV concede un’arma con un leone, che nei secoli precedenti sarebbe stata riservata unicamente ai grandi feudatari quaestiones disputatae centinaia di Consilia enorme successo / auctoritas normativa a differenza di Cino da Pistoia, rivaluta profondamente il ruolo del ius commune nel senso di un ‘sole’ vivificante la molteplicità degli iura propria terreni: si usa il ius commune per applicare il ius proprium

XXII. La scuola del Commento in Italia Baldo degli Ubaldi (1327-1400) allievo di Bartolo a Perugia, va poi a insegnare anche a Pisa, Firenze, Padova e quindi per 10 anni a Pavia, ove muore nell’anno 1400 ambascerie e rapporti con Gregorio XI e Urbano VI, che promuove il ritorno della sede papale a Roma nel 1378 Lecturae sul Digesto e sul Codice, sui Libri Feudorum commento alla Pace di Costanza in tarda età si dedica anche al diritto canonico con commenti al Liber Extra, al Liber Sextus e alle Clementine grande consiliatore

XXII. La scuola del Commento in Italia altri commentatori famosi: Riccardo Malombra († 1334) Iacopo Belvisi (1270-1335), consigliere di Carlo II d’Angiò, autore di commenti sull’Authenticum e sui Libri Feudorum, di un trattato di pratica criminale e di un altro sul tema canonistico della scomunica Oldrado da Ponte († 1335), consigliere presso la corte papale di Avignone Jacopo Buttrigari /1274 ca-1347) Alberico da Rosate († 1354), autore di commentari al Digesto e al Codice e pure di un Dictionarium iuris di larghissima diffusione Raniero Arsendi da Forlì († 1358) Angelo degli Ubaldi, fratello di Baldo Bartolomeo da Saliceto († 1412), autore soprattutto di un vasto e famoso commentario al Codice Paolo di Castro (…1394-1441…) Angelo Gambiglioni da Arezzo († post 1451)

XXII. La scuola del Commento in Italia altri commentatori famosi: Alessandro Tartagni (1424-1477), che sviluppa interessi sia civilistici che canonistici Niccolò Spinelli da Giovinazzo (Puglia, 1325 ca-1390) Luca da Penne (…1343-1382…): il suo commento ai Tres Libri considera le norme ivi riunite come diritto vigente ed elabora sulla loro base una approfondita teoria della potestà monarchica Giovanni d’Andrea (1270 ca-1348): canonista di valore, autore soprattutto della Glossa ordinaria al Liber Sextus Niccolò Tedeschi (sec. XV), canonista, divenuto anche vescovo di Palermo il cardinale Francesco Zabarella (1335-1417), cardinale, autore di un vasto commento alle Decretali e di una Lectura super Clementinis Pietro d’Ancarano (1330 ca-1416)

XXII. La scuola del Commento in Italia sec. XIV: apice del ‘sistema’ del Diritto Comune piena articolazione tra i diritti locali e la teoria generale sviluppata sul diritto romano e canonico, con interpretazione dei primi alla luce di quest’ultima con i Commentatori si raggiunge un alto grado di approfondimento della dottrina giuridica, esaminando i testi in profondità per giungere alla ratio della norma, così che la definizione dei principi, delle categorie e degli istituti acquista un rigore teorico, una precisione scientifica e una ampiezza di articolazione fino ad allora sconosciute

XXII. La scuola del Commento in Italia sec. XIV: apice del ‘sistema’ del Diritto Comune “ceto” dei giuristi si consolida con caratteri fortemente omogenei a livello europeo, riconoscendosi in una dottrina e in un linguaggio comune ciò favorisce un processo di integrazione ‘orizzontale’ delle élites  ‘spazio’ del ceto dei giuristi senza confini geografici o politici ma anche un processo di integrazione ‘verticale’ di questa élite con i vertici degli ordinamenti universali e locali: papi, imperatori, re, duchi, principi a livello europeo  forniscono pareri, lettere scritte, assistenza tecnico-legale specializzata

XXII. La scuola del Commento in Italia i Consilia consilium sapientis vero e proprio (o ad veritatem) = perizia legale, normalmente vincolante e prevista dagli statuti, data da un giureconsulto su richiesta del giudice, adottata d’ufficio o su richiesta di una parte consilium richiesto da una parte in aggiunta alla difesa legale, sopra un punctum decisivo per la soluzione della lite giudiziaria consilium meglio definibile come allegazione, elaborato dall’avvocato di parte nel corso del procedimento consilium richiesto da un ufficio o da un soggetto singolo che vuole conoscere i confini della legittimità entro cui muoversi o configurato come parere legale in vista di un suo utilizzo pratico consilium non collegato all’attività di un organo giudicante, in genere astratto dallo specifico caso per il quale fu dato, prodotto quale contributo all’elaborazione dottrinale o come saggio di discussione e rielaborazione critica di orientamenti giurisprudenziali e dottrinali

XXIII Umanesimo giuridico

XXIII. Umanesimo giuridico concetto di Umanesimo tra i secoli XIV e XV maturano nuovi interessi letterari, filologici e pedagogici basati sullo studio dei classici antichi da parte degli intellettuali del tempo gli studia humanitatis denotano l’educazione a base letteraria e filosofica tesa alla formazione completa dell’uomo il termine di “umanista” entra in uso alla fine del ’400 per qualificare docenti e maestri di discipline letterarie (a partire dal latino e dal greco) il termine di “umanesimo” si inizia a usare dagli inizi del sec. XIX a partire dall’area di cultura tedesca per valorizzare gli studi classici in contrapposizione a quelli scientifici nell’istruzione secondaria

XXIII. Umanesimo giuridico concetto di Umanesimo con il termine di “umanesimo” si viene a indicare un grande processo di trasformazione della cultura occidentale, che prende avvio in Italia tra fine sec. XIV - inizi XV e si allarga a dominare tutta la vita intellettuale a livello europeo tale processo punta alla formazione dell’uomo “completo” tramite lo studio delle humanae litterae e la conoscenza dei grandi monumenti letterari, filosofici e artistici delle civiltà classiche gli intellettuali trovano nel culto e nella pratica delle lettere il solido fondamento di una nuova concezione dell’uomo e del mondo l’uomo è pensato come misura di tutte le cose, come “microcosmo” e come sintesi e chiave dell’universo, ugualmente partecipe dell’eccelsa ragione divina e della natura terrena  si sviluppa il gusto dell’analisi critica estesa a tutti i campi della conoscenza umana

XXIII. Umanesimo giuridico concetto di Umanesimo si opera un forte recupero dell’antichità classica in opposizione alla “cesura” costituita dal “barbaro” Medioevo (una media aetas incuneata tra l’antichità e il tempo presente) e in uno spirito di pratica conciliazione con i valori del cristianesimo si leggono i testi classici comprendendo di avere una grande distanza da colmare e di dovere definire e rispettare una precisa prospettiva storica  non si imita la cultura antica, ma la si recupera con consapevolezza critica e come fonte e modello di ispirazione strumento privilegiato è la filologia = “amore per il ragionamento” e la discussione (Platone)  si identifica nella disciplina che, attraverso la critica del testo, si propone di riprodurre o ricostituire e interpretare correttamente testi e documenti letterari

XXIII. Umanesimo giuridico grandi “cesure” rispetto al Medioevo 1453: conquista di Costantinopoli, ultimo residuo dell’antico impero, da parte di Maometto II  affluiscono in Occidente dotti e letterati che recano nuovi manoscritti e rinnovano la conoscenza della lingua e delle opere della cultura greca (dopo un primo recupero avvenuto già dal XII secolo) 1453: termina la Guerra dei 100 anni (1339-1453)  Francia e Inghilterra si definiscono pienamente come stati nazionali (e alla fine del secolo la Spagna) 1487: il portoghese Bartolomeo Diaz supera la punta meridionale dell’Africa (Capo di Buona Speranza)

XXIII. Umanesimo giuridico grandi “cesure” rispetto al Medioevo 1492: scoperta delle Indie orientali/America  conseguenze economiche, politiche, sociali 1492: Isabella di Castiglia e Ferdinando II d’Aragona conquistano il Regno di Granada e completano la ‘reconquista’ eliminando la residua presenza araba (ed ebraica) dalla Spagna 1498: Vasco de Gama apre la via marittima per le Indie completando la circumnavigazione dell’Africa  si sposta l’asse degli interessi europei e mutano i tradizionali rapporti di forza tra le grandi potenze

XXIII. Umanesimo giuridico grandi “cesure” rispetto al Medioevo 1517: Martin Lutero affigge le sue 95 tesi alla porta del Duomo di Wittemberg  anche tramite altri manifesti redatti negli anni successivi si contestano diversi atteggiamenti della chiesa romana: - l’esoso commercio delle indulgenze, originato dalle forti richieste di denaro per finanziare la fabbrica di S. Pietro - il primato sacerdotale (ogni cristiano è di stato sacerdotale) - il primato dei sacramenti: si riconoscono soltanto quelli di effettiva tradizione evangelica (battesimo, eucaristia) - il primato ecclesiastico nel governo della morale individuale: si esalta la responsabilità autonoma dell’individuo e la priorità della fede come strumento di salvezza  la salvezza non si ottiene grazie alle buone opere, ma per esclusivo intervento della grazia divina Lutero traduce dall’originale greco il Nuovo e l’Antico testamento, creando una nuova Bibbia che diventa il monumento spirituale e culturale della Riforma e il primo capolavoro della tradizione letteraria tedesca

XXIII. Umanesimo giuridico grandi “cesure” rispetto al Medioevo Più in generale: dal ’300 si diffonde l’uso della polvere pirica per le armi da fuoco, la costruzione di artiglierie e l’impiego di truppe mercenarie 1455 ca: Gutemberg inventa la stampa a caratteri mobili in metallo (Bibbia “delle 42 linee”) 1543: nel suo De revolutionibis orbium celestium Nicolò Copernico enuncia la teoria eliocentrica del sistema solare (poi sviluppata da Tycho Brahe e da Giovanni Keplero)

XXIII. Umanesimo giuridico Francesco Petrarca prospettiva umanistica: il Corpus Iuris è una testimonianza dell’antichità al pari di altre opere letterarie, di un testo di Tito Livio o di Cicerone, e come tale deve essere studiato, con gli strumenti della filologia e della storia “La maggior parte dei nostri legisti, poco o nulla curando il conoscersi delle ragioni del diritto e dei primi padri della giurisprudenza, né ad altro fine mirando che a trar guadagno dal suo mestiere, stassi contenta ad apparare quello che dei contratti, dei giudizi, dei testamenti nella legge sta scritto, e non pensa che il conoscersi delle arti, e i primordi e gli autori è di aiuto grandissimo all’uso pratico delle medesime” (Epist. fam., XX/IV)

XXIII. Umanesimo giuridico Lorenzo Valla (Roma, 1405 ca - 1457) poco dopo il 1430 diventa docente di Retorica nello Studio di Pavia 1433: libello polemico contro il De insignis et armis di Bartolo  si contesta l’uso di un latino “barbaro” da parte dei giuristi medievali contrapponendo la corretta e autentica lingua latina  analisi dei testi dottrinari condotta in base alla disamina linguistica dei termini, per criticare gli arbitrii di espressioni che prescindono dall’uso corretto e quindi dall’originario e specifico significato storico e filologico violenta reazione del mondo accademico pavese, che induce Valla ad abbandonare la città

XXIII. Umanesimo giuridico Lorenzo Valla (Roma, 1405 ca - 1457) 1440: per appoggiare Alfonso d’Aragona nella controversia con il papa per l’investitura del regno di Napoli, Valla scrive la De falso credita et ementita Constantini donatione declamatio  già Nicolò Cusano (1401-1464) aveva scoperto la falsità del documento, ma Valla svolge le sue tesi con forte spregiudicatezza, dando al testo la forma di una libera declamazione oratoria e ricorrendo a ogni possibile argomento storico, giuridico, religioso, politico e filologico-linguistico per farne meglio risaltare la falsità e l’inverosimiglianza e per mettere in rilievo l’avidità di dominio dei pontefici

XXIII. Umanesimo giuridico si capovolge il ruolo del diritto: per secoli, da Irnerio e Graziano, è stato pensato come un diritto unico e universale  ci si accorge che tanta parte dell’umanità non lo conosce si modifica l’autorità del ius commune: alla pretesa certezza, universalità ed eternità si sostituisce una prospettiva storica condizionata dalla variabilità e dall’incertezza: non costituisce più un diritto esclusivo e perciò destinato a essere sempre attualizzato prendono vigore gli iura propria territoriali, di regni e principati, che puntano a diventare diritti generali e comuni rispetto alla varieta delle consuetudini e degli statuti locali mentre il ius commune diviene un diritto residuale oppure un diritto da valutare sul piano culturale per quanto storicamente ha elaborato e incorporato della ragione umana

XXIII. Umanesimo giuridico presupposti filosofici  indirizzo “modernista” rispetto alla Scolastica legata al complesso della dottrina aristotelica Ruggero Bacone (1214-94) sostiene l’esame critico dei maestri (a partire da Aristotele) alla cui indiscussa autorità si richiama la tradizione per privilegiare lo studio della natura basato sull’osservazione e l’esperienza Giovanni Duns Scoto ( 1308), francescano e maestro di teologia a Oxford, afferma il primato delle volontà dell’intelletto ponendo una netta separazione tra teologia e attività filosofico-scientifica, cui assegna un ambito autonomo

XXIII. Umanesimo giuridico presupposti filosofici Gugliemo di Ockham (1290-1349 ca), allievo di Duns Scoto, rivendica una netta separazione tra verità di fede, non fondate sulla ragione, e il sapere fondato sulla conoscenza diretta  si valorizza una prospettiva empirista, ove la conoscenza è “raggiunta attraverso la percezione intuitiva dei singoli dati dell’esperienza, da cui possono derivare verità ‘probabili’ che, anche se dotate di certezza scientifica, non sono desumibili da premesse necessarie e autoevidenti né sono suscettibili di rigorosa dimostrazione sillogistica” (Errera)

XXIII. Umanesimo giuridico effetti sul Diritto Romano si contesta la centralità e la priorità del Corpus Iuris Civilis privilegiando una impostazione critica verso la scienza giuridica precedente il Corpus Iuris Civilis non è più oggetto di incondizionata venerazione, non è più considerato portatore di una intangibile verità quasi divina, ma è valutato come un prodotto “umano” si punta a conoscere i testi giustinianei nella loro forma originaria recuperandone i codici manoscritti:  si valorizza la littera Florentina (trasferita a Firenze dal 1406), supponendo anche che fosse un originale giustinianeo inviato in Italia dal suo artefice

XXIII. Umanesimo giuridico effetti sul Diritto Romano Angelo Poliziano (1454-94) collaziona il Digesto della Vulgata con la littera Florentina  immagina un apparato critico-filologico al Corpus Iuris e adombra quasi il progetto di una edizione critica del Digesto, che tuttavia avrebbe messo in crisi le opinioni dei commentatori, basate su catene di argumenta ab auctoritate, e la certezza della Glossa, fondata sull’esegesi di parole non più esistenti nel testo normativo corretto anche Ludovico Bolognini (1446-1508) si interessa alla filologia del Digesto, ma per un uso soprattutto di erudizione a livello didattico

XXIII. Umanesimo giuridico due indirizzi dottrinali: mos gallicus / mos italicus 1. mos gallicus iura docendi (diritto storico) in Francia si punta a valorizzare un diritto “nazionale” sul duplice livello dei diritti particolari (cittadino/signorile - regio) assegnando al diritto regio la funzione di diritto generale rispetto ai diritti locali a base consuetudinaria e statutaria si studia il diritto romano con una migliore conoscenza della storia, della lingua greca e anche di quella latina maturano alcuni indirizzi preminenti: a) discredito verso i testi giustinianei: - François Hotman (1524-90): scrive l’Antitribonianus, teso a evidenziare tutte le mancanze, lacune ed errori dei compilatori bizantini; ma viziato anche, come calvinista, da una forte impostazione anticattolica che lo porta a coinvolgere Impero e diritto romano nella sua ostilità alla Chiesa e alle sue tradizioni

XXIII. Umanesimo giuridico b) nuova sistematica dei testi giustinianei: tematiche e istituti sono distribuiti in modo disordinato e contraddittorio; occorre un nuovo ordine in funzione di un chiaro legame logico e sistematico: - Guillaume Budé (1467-1540): non è un giurista, ma riveste importanti incarichi pubblici, è inoltre grecista e bibliofilo; scrive le Adnotationes in Pandectas, ove privilegia un commento filologico - Charles Dumoulin (1500-66): redige un monumentale commento alle Consuetudini di Parigi promuovendone la funzione unificante rispetto alla formazione di un diritto nazionale: è l’espressione autentica dello spirito nazionale francese, “caput omnium huius Regni Francie et totius etiam Belgicae Galliae consuetudinum” (scrive anche una Oratio de concordia et unione consuetudinum Franciae) - François Connan, 1508-51; André Tiraqueau, 1488-1558; François Le Douaren, 1509-59; Hugues Doneau, 1527-91

XXIII. Umanesimo giuridico c) indirizzo filologico: ci si accosta al diritto romano senza rifiuti preconcetti, lo si approfondisce grazie al confronto con altri testi e manoscritti e lo si valorizza come un grande monumento del passato - Jacques Cujas (1522-90): insegna a Bourges dopo Alciato, brilla per la grande erudizione storica e la sottigliezza della sua analisi critica ai testi giustinianei (Observationes et emendationes; Commentaria al Codice e al Digesto) - noto il suo giudizio sui Commentatori: “verbosi in re facili, in difficili muti, in angusta diffusi”

XXIII. Umanesimo giuridico Andrea Alciato (1492-1550) si considera “fondatore” del mos gallicus (detto anche “scuola umanistica - o “culta” - del diritto) si laurea a Ferrara nel 1516 e si dedica alla professione di avvocato tra 1518 e ’21 viene chiamato a ricoprire una cattedra di diritto ad Avignone e poi passa a Bourges nel 1529-33 migliore equilibrio tra filologia erudita e scienza del diritto, tra rifiuto delle degenerazioni della tradizione dei commentatori (inflazione della giurisprudenza consulente, causa anche la diffusione per mezzo della stampa) e un integralismo umanistico teso a recuperare la presunta “purezza” del testo normativo

XXIII. Umanesimo giuridico Andrea Alciato (1492-1550) per la sua polemica verso gli eccessi della tradizione consiliare si attira le ostilità di altri giuristi (celebre la polemica con Tiberio Deciani, 1509-82) opera approfondite analisi dei passi greci del Digesto e annotazioni storico-filologiche sul Codice applica l’erudizione storico-filologica a problemi tecnico-giuridici (Commentaria ad Pandectas, Paradoxa, Emblemata, De re militari)

XXIII. Umanesimo giuridico 2. mos italicus iura docendi (diritto pratico) prime espressioni di umanesimo giuridico: Ludovico Bolognini (Bologna, 1446-1508), Felino Sandei (Lucca, 1444-1503), Lelio Torelli (Fano, 1489-1576), Mariano Sozzini (Siena, 1397-1467) in Italia la scienza giuridica rimane vincolata alla tradizione del bartolismo e nella sua evoluzione lungo il sec. XVI non si mostra sensibile, in misura significativa, ai forti richiami della cultura umanistica radicata nella filologia e nella storia la tradizione dello studio del diritto romano interpretato come diritto vivo e applicabile si trasforma in un ponte che collega il Medioevo alle epoche successive, che permette alla scienza del diritto nata in Italia nel sec. XII di continuare a proiettare la sua influenza a livello europeo sino all’età dei Codici e anche oltre

XXIV Ius proprium in Europa

XXIV. Ius proprium in Europa - Francia mosaico territoriale molto vasto e articolato, che si dilata sino alle Fiandre (Belgio), alla Normandia e alla Bretagna sulle coste dell’Atlantico, alla Provenza sulla costa mediterranea + aree interne prive di sbocco al mare come Delfinato, Savoia, Borgogna e Franca Contea si distinguono 2 grandi aree = paesi del nord, di diritto consuetudinario; paesi del sud, di diritto scritto 1) al Nord il Diritto Romano NON è utilizzato come diritto positivo e quindi come legge vigente: vale soltanto se i giudici ne vogliono tenere conto come suggerimento e aiuto ragionevole a sostenere una decisione dubbia 2) al Sud il DR vale come legge scritta, di cui tenere conto pur secondo particolari sistemi di graduazione delle fonti ha un peso in tale differenza il divieto di Onorio III (1219), su richiesta e desiderio di Filippo II, di insegnare il DR a Parigi  è un modo per emarginare l’influenza culturale e giuridica dell’Impero e del DR rafforzando la propria autonomia politica

XXIV. Ius proprium in Europa - Francia 1) al Nord, nei paesi di diritto consuetudinario, il diritto cittadino si presenta come redazione scritta delle consuetudini locali o come normativa di altra natura, soprattutto “carte di franchigia” aggiunte alle consuetudini locali come loro integrazione o correzione possono avere diverse denominazioni (carte di comune, carte di consolato, privilegi urbani) in base all’origine e al titolo giuridico e regolano i rapporti anche con le città demaniali soprattutto in un’area a forte densità e vivacità urbana come le Fiandre per le città incluse in domini signorili, feudali e non feudali, valgono gli interventi normativi promossi dai signori locali sia laici (duca di Borgogna o duca di Bretagna) sia ecclesiastici (abati di Sainte-Geneviève e di Saint-Germain-des-Prées o il vescovo di Metz) vi è anche un fenomeno di regionalizzazione delle consuetudini, ove queste varie normative (consuetudini, carte di franchigia, privilegi signorili) danno luogo a tradizioni che si estendono su intere aree geografiche, formando così le Coutumes della Normandia, della Bretagna, della Turenna o della Borgogna

XXIV. Ius proprium in Europa - Francia vi è poi il livello della Ordinanze regie, che si manifestano come regolamenti emanati dai re su specifiche materie già dal sec. XIII  si tenta progressivamente di raccogliere e rielaborare il materiale normativo locale per armonizzarlo con il diritto regio  nascono raccolte definite Coutumiers, tra cui le principali sono: in Normandia il Très ancien Coutumier, in latino e in francese già della fine del sec. XII, e il Grand Coutumier, composto in latino tra 1254-58, il cui titolo originale è Summa de legibus Normandiae. le Coutumes de Clermont en Beauvaisis (scritte in francese verso 1279-83), di cui è autore il giudice Filippo de Beaumanoir, funzionario delle corti regie, che la predispone utilizzando gli strumenti derivati dalla conoscenza del diritto romano-canonico  la raccolta si impone in tutta la Francia del Nord, trattando anche delle consuetudini del Vermandois e di Parigi, e si diffonde soprattutto nella pratica legale quotidiana

XXIV. Ius proprium in Europa - Francia l’Etablissement de Saint-Louis (1272-73), in cui vengono rifuse alcune importanti consuetudini regionali armonizzandole con alcune serie di Ordinanze regie la Somme rural, redatta in francese (1393-96) da Jean Boutillier, che fu anche agente regio e operò pure a Tournai, ove fu consigliere legale e giudice  opera realizzata come un censimento del diritto consuetudinario del Nord della Francia e al tempo stesso come introduzione al diritto dotto per il lettore generico privo di formazione universitaria, con un uso anche del diritto romano-canonico la Grand Coutumier de France, compilata verso il 1388 da Jacques d’Ableiges, balivo e giudice regio in varie regioni del paese  nonostante il titolo fuorviante, tratta delle Consuetudini parigine e delle aree circostanti, che comunque avranno un ruolo eminente nella formazione del diritto nazionale francese

XXIV. Ius proprium in Europa - Francia Metodo: si attinge largamente dalla pratica, sia in base all’esperienza dei singoli compilatori, che sono spesso anche giudici, sia in base alla casistica formatasi presso tribunali locali o di particolare rilievo, come il tribunale del Parlamento di Parigi Scopo: contribuire a creare un vero e proprio “diritto nazionale” sufficientemente omogeneo, risultante dalla fusione di antiche tradizioni e consuetudini locali con i provvedimenti emanati nel corso del tempo dai sovrani  già Carlo VII nel 1453 si preoccupa, con una specifica Ordinanza, di rendere obbligatoria la redazione scritta delle Consuetudini locali

XXIV. Ius proprium in Europa - Francia 2) al Sud si diffondono gli Statuti cittadini, analogamente ai Comuni italiani, mentre lo ius proprium di II livello è costituito da ordinanze regionali, aventi vigore entro i confini di una contea o di un ducato, e da ordinanze regie, quando promulgate per l’intero Regno il DR vale come diritto positivo con valore sussidiario e soprattutto vale come tradizione giuridica, in quanto molte norme locali derivano dalla più ampia e continuata conoscenza del DR e dal suo uso, che si può fare risalire ai secoli V-VI, legato alla tradizione romano-teodosiana rimasta molto viva nel sud della Francia è poi nel Sud che si sviluppano famosi centri di studio del DR come Montpellier e Tolosa, con un fitto intreccio di rapporti con i centri italiani da parte di maestri e di studenti

XXIV. Ius proprium in Europa - Germania dimensione del potere cittadino ristretto allo spazio fisico della città e NON al suo territorio  le normative locali devono sempre ottenere il riconoscimento di un’autorità superiore (re, imperatore per le città demaniali, o signori locali, laici ed ecclesiastici), e in taluni casi vengono anche accolti da altre città (Breslau nel 1261 e nel 1295 accoglie il diritto di Magdeburgo) anche in Germania si ha uno ius proprium di II livello, coincidente con normative emanate da conti, duchi o principi oppure, per un ambito generale, da re e imperatori analogamente alla Francia del Nord, anche in Germania vi sono giuristi privati che elaborano i materiali normativi di formazione consuetudinaria: la raccolta più famosa è il Sachsenspiegel, elaborata da Eike von Repgow nel Sachsenspiegel si ordinano norme consuetudinarie di varia provenienza (regionali, cittadine, signorili) e il suo nucleo più antico risale intorno al 1235; si diffonde poi ben oltre i confini originari della Sassonia al punto da diventare un’opera di riferimento per tutti i giudici di area tedesca, alla quale essi guardano per dare fondamento alle loro sentenze

XXIV. Ius proprium in Europa - Germania la forte tradizione di ius proprium non impedisce che molti studenti tedeschi si rechino in Italia e a Bologna per studiare il diritto romano-canonico  la Natio teutonica, già forte nel sec. XIII, nel ’300 diventa la più numerosa all’interno dell’Universitas degli Ultramontani, con propri importanti statuti compilati verso la metà del sec. XIV la stessa autorità imperiale si impegna nella fondazione di alcuni Studia deputati all’insegnamento del diritto romano-canonico: nel 1340 Carlo IV fonda lo Studio generale di Praga nel 1364 Casimiro il Grande istituisce lo Studio di Cracovia nel 1365 Rodolfo IV istituisce lo Studio di Vienna

XXIV. Ius proprium in Europa - Germania la cultura giuridica romanistica acquisita in Italia, e poi negli Studia locali, è funzionale alla professione di giudice e giurisperito e all’attività di riordinamento delle consuetudini cittadine, scritte in tedesco ma organizzate secondo schemi e categorie logiche desunte dal diritto romano (come la riforma delle consuetudini di Amburgo realizzata verso la fine del sec. XV da Herman Langenbeke, borgomastro della città, laureatosi in utroque a Perugia) in Germania non si riconosce al Diritto Comune romano-canonico il valore di diritto positivo sino al 1495 (istituzione del Reichskammergericht), quando con apposito atto regio viene recepito il DR rendendolo legge di cui, nella forma di Diritto Comune, obbligatoriamente deve servirsi il Supremo Tribunale Camerale dell’Impero accanto alle ordinanze, gli statuti e le consuetudini dei Principati, delle Signorie e dei Tribunali che fino ad allora si erano osservati la “Recezione” avviene accogliendo il DC accompagnato dalla interpretatio italiana della Glossa e della scuola del Commento

XXIV. Ius proprium in Europa - Spagna Fueros = raccolte di norme consuetudinarie che iniziano ad apparire nel sec. XI in varie città, usate soprattutto a livello giudiziario nella forma di raccolte brevi (“fueros breves”); nel sec. XII vengono integrate in raccolte più ampie (“fueros extensos”) che poi per oltre 2 secoli continuano ad essere arricchite e modificate e talvolta tradotte dal latino in lingua romanza  sono raccolte selezionate per uso giudiziario predisposte da giudici per esigenze professionali nelle città comprese entro le terre demaniali i Fueros ottengono spesso validità ufficiale mediante appositi riconoscimenti regi, nella forma di privilegi rilasciati alle città per il libero uso delle proprie consuetudini nelle città comprese entro ambiti feudali i Fueros derivano il loro titolo di validità da un patto, detto “concordia”, stretto con il signore locale si ricordano i “fueros extensos” di Madrid, Toledo, Avila e Cuenca per la Castiglia; di Jaca e Saragozza per l’Aragona; di Leon e Salamanca per le Asturie

XXIV. Ius proprium in Europa - Spagna in area catalana circolano invece raccolte di consuetudini (usanciae o consuetudines) i cui contenuti NON sono selezionati per uso forense: Consuetudines Ilerdenses di Lerida, assai diffuse tra i secc. XIII e XV Usatges di Tortosa Consuetudines gerundenses di Gerona due serie di consuetudini di Barcellona, confermate da appositi privilegi regi: gli Usatici Barchinoniae del 1251 e un’altra raccolta del 1284

XXIV. Ius proprium in Europa - Spagna sussiste anche una tradizione di diritto regio: verso metà ’200 Ferdinando III, divenuto nel 1230 re di Leon e di Castiglia (area più vasta della penisola iberica, dall’Atlantico al Mediterraneo), fa predisporre una traduzione in castigliano della Lex Visigothorum del sec. VII, in 12 libri, nota come Forum iudicum = Fuero Juzgo  vorrebbe essere un grande strumento di unificazione legislativa all’insegna della gloriosa tradizione comune che si richiama al periodo visigotico, ma in reltà gode di alterne fortune e viene recepito solo in alcune parti del paese come diritto cittadino (a Leon, a Murcia e nell’Andalusia) sotto il suo successore, Alfonso X il Saggio, che muore nel 1284, si compiono tentativi indirizzati sia a incidere sull’ordinamento interno delle singole città, sia nella creazione di un diritto regio per l’intero regno di Castiglia e Leon:

XXIV. Ius proprium in Europa - Spagna nei confronti delle città viene promulgato nel 1252-55 un Fuero Real che cerca di uniformare e di ridurre a norme unitarie e comuni quelle contenute nelle principali raccolte cittadine, cercando di offrire alle città regie un diritto locale omogeneo  il FR è concesso con privilegio regio ad alcune città demaniali come Burgos nel 1256, Madrid nel 1262 e Valladolid nel 1265, ma non trova una vasta e sicura applicazione come nei progetti del sovrano nella creazione di un diritto regio, nel sec. XIII emerge un Libro de las Leyes pensato come legge generale per tutto il regno (promosso probabilmente da Alfonso X il Saggio), che si accresce nel corso del tempo sino a giungere a una redazione definitiva in 7 libri nota come Siete Partidas, ricca di molti brani tratti dal Corpus Iuris Civilis e da raccolte canoniche  è il massimo sforzo di unificazione normativa a livello di diritto regio  è opera di dottori a contenuto fortemente dottrinale e teorico, tanto da essere respinta dalla prassi castigliana che non poteva riconoscersi in essa e che riesce a ritardarne l’entrata in vigore per quasi un secolo