Manzoni – I promessi sposi Armando Rotondi Letteratura Italiana Università di Napoli “L’Orientale” a.a. 2014-2015
Benché di qualità letteraria superiore ai drammi storici del periodo il Carmagnola e l'Adelchi furono poco rappresentati. Ossessione di estendere il bacino del pubblico senza compromettere i valori etici della propria opera. Base della decisione, nel 1821, di sospendere la seconda tragedia e di avviare la stesura del Fermo e Lucia. Limite della scrittura drammatica: sacrificare alla rappresentazione il popolo che di ogni epoca era la classe più consistente. Popolo protagonista di un romanzo: non affermare che gli umili fossero agenti del cambiamento storico, ma salvarli dall'oblio della storia e mostrare l'azione su di essi delle sue leggi. Scelta forte, perché seppure i romanzi di Goethe, di Madame de Stael e soprattutto di Walter Scott erano molto popolari, l'Italia aveva la caratteristica «di non averne, o di averne pochissimi» oltre l'Ortis di Foscolo Le poetiche neoclassiche lo ritenevano un genere spurio. Nel 1827, recensendo I promessi sposi, Tommaseo osservava del resto che «l'autore degli Inni sacri e dell'Adelchi si è abbassato a donarci un romanzo».
Gli umili Allargarsi della materia sociale della narrazione – poetica degli umili. Rispetto alla storia, l’arte non deve rivolgersi solo ai protagonisti ma anche alle masse. Deficienza nella secolare tradizione storiografica. La storia si occupava solo di grandi eventi e dei grandi personaggi, trascurando gli eventi quotidiani, innumerevoli e continui, che ne costituiscono il più reale tessuto.
Gli umili Chi indagherà e descriverà questi aspetti ignoti ma cospicui della verità storica? L’arte completa la storia in senso qualitativo (sorta di illuminante metastoria) e in senso quantitativo (tira dentro i domini della storia le folle, le plebi, gli anonimi, le classi). Conseguenza nuova estetica manzoniana – dottrina della popolarità del linguaggio – tanto più efficace quanto riuscirà a svelarsi alla più viva collettività – lingua comune e viva.
Il romanzo storico Se non nutriva dubbi sul valore comunicativo del genere, pur tuttavia Manzoni si interrogava sui rischi che conteneva di mistificare la storia confondendone i dati con l'invenzione. Tra la Lettera sul romanticismo a D'Azeglio (1823) e il saggio Del romanzo storico, scritto intorno al 1830 ma pubblicato in seguito, la sua opinione sul punto compì una vera parabola che culminò in una specie di abiura «Nel romanzo storico, il soggetto principale è […] tutto poetico, perché meramente verosimile […] Un gran poeta e un gran storico possono trovarsi, senza far confusione, nell'uomo medesimo, ma non nel medesimo componimento». I critici del periodo, come Carlo Tenca (1816-1883) ne furono alquanto sorpresi: «onde mai il poeta che indovinò così bene la potenza morale del romanzo fu condotto a confondere il fine di questo con quello della storia?».
Il romanzo storico Nella Lettera sul Romanticismo, Manzoni riprende i nodi fondamentali della disputa letteraria tra classicisti e romantici. Manzoni agli argomenti dei romantici antepone una motivazione religiosa: l’impiego dei miti, presentato dai classicisti come compatibile con il riconoscimento della loro falsità a fronte della rivelazione cristiana, comporta necessariamente l’adesione a un ordine di valori deprecato dal Cristianesimo. Nelle figurazioni mitologiche implicita una moralità tesa al perseguimento delle cose terrene, passioni e piaceri, che induce l’uomo ad allontanarsi da Dio. Uso della mitologia come idolatria. Per Manzoni la battaglia da condurre era sulla pagina scritta – scelta responsabile del genere, del suo tono, del suo linguaggio, mai perdere di vista i veri nuovi lettori cui la pagina stessa è destinata. Polemica senza quartiere contro la falsa e corruttrice educazione, filisteismo, principio di autorità etc.
Il romanzo storico Dopo aver pubblicato I promessi sposi (ed. 1827), il Manzoni ripudia i componimenti misti tra storia e invenzione. Condanna in Del romanzo storico (1831, ed. 1845). Esaminate tutte le contraddizioni mosse a questo genere - romanzo storico e generi consimili è intrinsecamente contraddittorio. Storia e invenzione non possono fondersi in una medesima opera. Immettere personaggi d’invenzione in una trama storica o attribuire a personaggi storici idee e passioni non documentabili significa contaminare la ricerca della verità Ricerca della verità in termini assoluti (il verso solo è bello). Insoddisfazione di Manzoni per gli esiti negativi dei romanzi storici dei suoi epigoni, che si limitano a descrivere un contesto storico in termini vaghi e pittoreschi.
Genesi Dal Fermo e Lucia (iniziato nel 1821) alla seconda versione dei Promessi sposi (1840-1842) Manzoni non smise di documentarsi sulla materia storica del romanzo, perlopiù su fonti d'epoca come i testi di Ripamonti, le cronache sulla peste di Ghirardelli e Tadino e le biografie sul cardinal Borromeo e la vera Gertrude. Il Seicento lombardo così ricreato non era uno sfondo storico pittoresco che garantiva una patina di realismo storico, ma un ambiente affatto concreto nei suoi rapporti sociali e di cui i personaggi, non solo gli elementi decorativi, erano in tutto l'espressione. Fermo e Lucia (1821) – terminato nel 1823 col titolo de Gli Sposi Promessi – pubblicato nel 1827 come I Promessi Sposi – Seconda edizione, definitiva, dal 1840-1842. Inaugurava in Italia il genere del romanzo storico. Definizione data all’amico Fauriel nel 1821: “rappresentazione di un dato momento storico della società compiuta attraverso fatti e caratteri così vicini alla realtà da poterli credere una vera storia”. Ordito di relazioni che Manzoni chiese alla storia. Realismo de “I Promessi Sposi” consiste in una progettualità sorretta da un criterio di efficacia operativa.
Genesi Il soggetto e i temi del Fermo e Lucia sono in buona parte gli stessi che i contemporanei conobbero nelle due versioni dei Promessi sposi, Rispetto alle quali il primo libro ha però una struttura narrativa statica, con blocchi che in certi casi -la storia di Gertrude- formano quasi un romanzo interno. Limite ovviato nella "ventisettana". Tra quest'ultima e il Fermo e Lucia, la differenza maggiore è però il passaggio dal «composto indigesto» di forme lombarde, toscane e francesi a una prosa che ha la sua matrice lessicale e sintattica nella parlata fiorentina dell'epoca. Per la versione definitiva, nota come la "quarantana", Manzoni proseguì questa direzione eliminando la radice lombarda dalla sua prosa, in un lavoro che lo vide impegnato lungo più di un decennio. Lo sforzo di revisione linguistica rispondeva a una volontà di raggiungere un pubblico nazionale fornendogli uno strumento di comunicazione impiegabile anche al di fuori della scrittura letteraria. Storia della colonna infame (pubblicato nel 1840) nata come digressione all'interno di Fermo e Lucia, e dimostra la coerenza del metodo di Manzoni nel farsi giudice della storia a partire da una scrupolosa disamina dei fattori che sono alla base delle decisioni umane, nella convinzione che le credenze e le condizioni collettive non limitino a priori la libertà e la responsabilità che da essa deriva.
Scelta di un momento tragico (gli anni 1628-1630) segnato da peste, carestia e dominazione straniera Controtendenza rispetto alle narrazioni che nella storia cercavano episodi esemplari delle virtù nazionali. Culmine della decadenza nazionale fosse il più adatto a mostrare gli elementi virtuosi nell'azione individuale. Trasversalmente ai ceti di appartenenza, compreso il clero, i personaggi del libro si qualificano in senso morale per la risposta che oppongono alle forze umane e a quelle naturali. Gli umili come Renzo non sono esenti da critica quando si mettono al servizio di azioni inutili come la rivolta di popolo. La responsabilità maggiore è di chi piega a ragioni inique il potere di cui dispone. La virtù può d'altronde garantire un riscatto anche a chi, come fra Cristoforo e l'Innominato, si è precedentemente macchiato di crimini. Questo principio morale si colloca nel romanzo tra quello spirituale, che fa della fede nella Provvidenza divina la maggior forza a disposizione degli umili contro le avversità, e quello politico che individua nella chiesa l'istituzione naturalmente deputata a correggere le iniquità sociali con la sua azione.
’600 emblematico “Un’opera d’arte non ha protagonisti se non in senso metaforico e, con semplicismo paradossale ma polemicamente efficace, si potrebbe dire che unico e solo protagonista è sempre il sentimento dello scrittore. Se davvero di un protagonista sensibile si vuol parlare, se non altro per l’uso metaforico della conversazione, e sempre col sottinteso che il protagonista vero è il sentimento, lo stato d’animo dello scrittore, bisognerebbe pensare e sostenere che protagonista è tutto un secolo, e tutta una civiltà, protagonista vero e immanente in ogni pagina è il Seicento: il Seicento rimane il simbolo di questo fortissimo gusto storico del Manzoni, il quale proietta tutto il suo mondo morale, è vero, in una realtà quotidiana ed attuale, ma in una realtà che ha fortissimo un suo colorito storico: è realtà di tutti i tempi, perché innanzi tutto è la realtà di un secolo, di una civiltà, di un particolare regime. E questo protagonista incombe presente in ogni pagina, fin dall’Introduzione in cui si parla del dilavato e graffiato manoscritto dell’Anonimo, che è una delle tante stampe seicentesche disseminate dallo scrittore nel suo racconto”. (Luigi Russo).
Demistificazione dell’eroe classico tradizionale demistificazione che nasce da una dimensione morale di grandezza giansenistica unica grandezza dell’uomo è nel suo vedersi miserabile solo la grazia divina può riscattare una natura totalmente corrotta dal peccato originale. “La Provvidenza è proprio la grande protagonista del romanzo, diffusa come piacevole alito, aura consolatrice, come bufera che scuote i timidi pensieri dei violenti”. (Luigi Russo).
La complessità del giudizio sui personaggi è più che mai evidente nelle figure malvagie di Gertrude e dell'Innominato. In quest'ultimo si ritrovano i caratteri di grandezza degli eroi tragici, che sono alla base della conversione operata dalla Grazia per tramite di Lucia. Personalità che ha permesso al conte di imporsi come un potente tiranno gli suggerisce anche la possibilità di affermare la propria libertà nel disattendere il volere di don Rodrigo. Speculare il caso di Gertrude Costrizioni subite, rappresentative di un'epoca e di un ambiente, non elimina la responsabilità personale di fronte ai delitti commessi. Superficialmente la figura della monaca evoca il cliché gotico del prete corrotto Strumento di un'analisi assai sottile sul rapporto tra determinazione e arbitrio che è dietro le scelte umane.
D'altro canto le scelte espressive e narrative di Manzoni tendevano più al realismo, fino dal lessico descrittivo dell'incipit. Lo scheletro della trama ha poco a che fare con la maniera romantica dell'amore passionale Digressione espunta dal Fermo e Lucia: rappresentare una gamma di emozioni civilmente virtuose che comprendeva «la commiserazione, l'affetto al prossimo, la dolcezza, l'indulgenza, il sacrificio di se stesso». Come nelle tragedie, anche nel romanzo Manzoni sentì la necessità di trovare un espediente formale che tenesse distinte la voce contemporanea del narratore e il realismo della rappresentazione storica. Elemento già usato da Scott e ancor più nei poemi epici - la finzione di un manoscritto o «scartafaccio» d'epoca Immettere una cifra ironica e riflessiva da ascrivere al "traduttore" Manzoni, in cui trovavano spazio anche le allusioni ai rapporti di affinità tra l'epoca del racconto e la realtà del presente.
Successo L'importanza dei Promessi sposi nella cultura italiana è data da più aspetti Suo ruolo fondativo del romanzo storico in Italia, e quasi del romanzo in sé. Novità per l'Europa rappresentata da un uso rigoroso dei dati storici all'interno del genere. Ricchezza della sua indagine psicologica e la portata filosofica della sua riflessione. Invenzione di una moderna lingua italiana che superava i limiti dialettali nonché la tradizione letteraria del toscano di Dante e Petrarca. Principale ragione, ben più che nel rinnovamento dell'arte, nel pensiero del pubblico e del suo innalzamento civile che era la missione assegnata da Manzoni a sé stesso come scrittore. La diffusione del romanzo fu enorme tra i contemporanei, e le decine di edizioni abusive furono una delle ragioni che spinsero l'autore a editare la revisione del 1840-1842 con le illustrazioni di Alessandro Gonin.
Successo Alcuni autori peraltro vicini a Manzoni, come il Grossi di Marco Visconti (1833)e il D'Azeglio di Ettore Fieramosca(1834), ne applicarono il metodo di ricerca storica con minore fedeltà ai dati e più concessioni alle tinte folcloriche e cavalleresche. Un "manzonismo" come tendenza si diffuse nella ripresa superficiale delle sue figure, come La monaca di Monza di Giovanni Rosini e interi filoni su signorotti dispotici e preti di campagna, o in chiare derivazioni come Gli sposi fedeli di Angelo Maria Ricci.
Struttura della trama Quattro nuclei narrativi nei quali agiscono i protagonisti (insieme o separatamente), intervallati da tre digressioni in cui invece i protagonisti sono assenti. Perfetta simmetria: il primo e l’ultimo nucleo vedono insieme i due protagonisti, mentre i due nuclei centrali seguono le loro vicende separatamente.
Struttura della trama I Nucleo (capp. I-IX): Avvio della vicenda minacce al curato, matrimonio mancato, falliscono i tentativi di porre rimedio alla questione, fuga dei protagonisti I Digressione (capp. IX-X): Storia di Gertrude II Nucleo (capp. XI-XVII): Disavventure di Renzo a Milano fino alla sua fuga II Digressione (capp. XVIII-XIX): Piani per il rapimento e descrizione dell’Innominato III Nucleo (capp. XX-XXVII): Rapimento di Lucia e conversione dell’Innominato III Digressione (capp. XXVIII-XXXII): Carestia, guerra e peste IV Nucleo (capp. XXXIII-XXXVIII): Ricongiungimento ed epilogo
Struttura dello spazio Importanza strutturale L’azione è legata a una precisa dimensione spaziale con forti connotati simbolici. Contrapposizione tra spazi aperti (la strada, la città sono i luoghi dell’azione, del pericolo, dell’avventura, ma anche dell’evoluzione e della conoscenza di sé) e spazi chiusi (la casa, il castello, il convento, le osterie oggettivano via via la caratterizzazione sociale e morale dei personaggi). Contrapposizione tra città e paese.
Struttura dello spazio La valenza simbolica degli spazi è evidenziata dalla simmetria con la quale Manzoni fa muovere i suoi personaggi all’interno di essi. A livello di macrosequenze si può osservare che il primo nucleo si apre nel paese e si chiude a Milano, l’ultimo nucleo si apre a Milano e si chiude in paese. Il secondo nucleo ha come sfondo lo spazio aperto della strada ed è anticipato e seguito da due spazi chiusi, il convento e il castello.
Struttura temporale Due piani temporali: quello relativo al contesto storico e quello relativo all’intreccio. Arco temporale, tra il 7 novembre 1628 e il novembre 1630. Nella ricostruzione delle vicende pubbliche (carestia, guerra e peste): stile e un ritmo omogenei, dettati dalla scrupolosa documentazione storica.
Struttura dei personaggi Italo Calvino, I promessi sposi: il romanzo dei rapporti di forza Intorno ai due protagonisti si muovono due terne di personaggi secondo un preciso schema di forze in gioco: il potere sociale, sempre negativo, il falso potere spirituale il potere spirituale vero. Questo schema si presenta identico per due volte nel romanzo: I parte don Rodrigo, don Abbondio e fra Cristoforo II parte l’Innominato, la monaca di Monza e il cardinal Borromeo.
Struttura dei personaggi È possibile individuare una certa somiglianza tra i due ‘antagonisti’ che rappresentano il potere sociale (don Rodrigo e l’Innominato) e i due ‘aiutanti’, esponenti del potere spirituale (padre Cristoforo e il cardinale). Per quanto riguarda, invece, i due rappresentanti della ‘cattiva chiesa’, il parallelismo è interrotto e la diversità dei personaggi caratterizza il tono della narrazione, che si fa commedia di carattere in presenza di don Abbondio e dramma di coscienza intorno alla storia di Gertrude.
Punto di vista Il punto di vista è quello di un narratore eterodiegetico, palese e onnisciente, che tuttavia, utilizzando soluzioni stilistiche molto varie, adatta il registro linguistico alla situazione o al personaggio. Molto vario è il registro delle scene collettive caratterizzate da una pluridiscorsività (es., le reazioni del paese durante la “notte degli imbrogli” o le voci della folla durante l’assalto ai forni).
Manoscritto ritrovato Si tratta di un topos frequente nella storia letteraria. “Cosicché assistiamo da sempre, nella storia letteraria, a una grande varietà di strategie che gli autori attuano per legittimare la propria opera, per dimostrare la sua autenticità o almeno per dissimulare la sua inautenticità; o, ancora, per declinare la responsabilità, moralmente ingiustificabile, della sua creazione. È in questo terreno che si radica l'invenzione del manoscritto ritrovato." La più antica testimonianza di questo "topos" è ne Le incredibili avventure al di là di Tule, romanzo alessandrino del I secolo scritto da Antonio Diogene. Antonio Diogene si presentava unicamente come "editore" di un testo inciso su tavole di cipresso, trovato secoli addietro. Manoscritti ritrovatti vs. psudibliblion/pseudobliblia: Il termine latino pseudobiblia è coniato da Lyon Sprague De Camp nell’articolo «The Unwritten Classics» pubblicato sulla The Saturday Review of Literature del 29 marzo 1947. Con esso lo scrittore statunitense indica gli «unfinished books, lost books, apocrypha, and pseudepigrapha (falsely attribuide books)», in altre parole i libri che, a vario titolo, non esistono e non sono mai esistiti
Manoscritto ritrovato Leon Battista Alberti nella commedia Philodoxeos fabula. Luigi Pulci nel poema Morgante (manoscritto del vescovo Turpino e, nei canti XXV e XXVII, riferimento a un immaginario "famoso Arnaldo"). Matteo Maria Boiardo nel poema epico- cavalleresco l'Orlando innamorato (manoscritto del Turpino). Ludovico Ariosto nel poema epico- cavalleresco l'Orlando Furioso (manoscritto del Turpino). Miguel Cervantes nel romanzo Don Chisciotte (manoscritto in aljamiado di Cite Hamete Benengeli). Daniel Defoe nel romanzo Memorie di un cavaliere (manoscritto anonimo rinvenuto fra le carte di un segretario di stato del re Guglielmo III d'Inghilterra). Giovanni Paolo Marana ne L'esploratore turco. James Macpherson nei Canti di Ossian. Alessandro Verri nei romanzi Le avventure di Saffo, poetessa di Mitilene e La vita di Erostato (in quest'ultimo romanzo, manoscritto di un antico greco, Dinarco). Vincenzo Cuoco nel romanzo Platone in Italia (manoscritto in greco). Horace Walpole nel romanzo Il castello di Otranto. Walter Scott in Ivanhoe (manoscritto anglo-normanno). Jan Potocki nel Manoscritto trovato a Saragozza. Alessandro Manzoni nei Promessi sposi (un "dilavato e graffiato autografo" seicentesco). Giacomo Leopardi nel Preambolo al Frammento apocrifo di Stratone da Lampsaco nelle Operette morali (codice trovato nella biblioteca del monastero di Monte Athos). Nathaniel Hawthorne nel romanzo La lettera scarlatta. Mario Pomilio nel romanzo Il quinto evangelio. Umberto Eco nel romanzo Il nome della rosa e, con una variante, ne Il cimitero di Praga. Kamal Abdullah nel Manoscritto incompleto