AGOSTINO (fede e ragione; libertà, male e grazia)

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Transcript della presentazione:

AGOSTINO (fede e ragione; libertà, male e grazia) Prof. Michele de Pasquale

l’atmosfera culturale e spirituale caratterizzante il periodo a cavallo dell’inizio dell’era cristiana e dei primi secoli della stessa si traduceva non solo nelle teorizzazioni delle "filosofie" di quel periodo ma anche al livello della sensibilità e della spiritualità popolari, determinandole a forme sempre più accentuate di misticismo, di irrazionalismo, di religiosità più o meno superstiziosa, di culturalità misteriche: era un'atmosfera che trovava il suo alimento nel senso di insicurezza economica, sociale e politica che si andava diffondendo in tutte le regioni dell'impero romano a partire dal II secolo dell’era cristiana in questa stessa atmosfera si viene sviluppando la nuova religione del cristianesimo

la predicazione di Gesù e dei primi cristiani al suo primo apparire il cristianesimo riecheggia i temi propri dell’atmosfera filosofico-religiosa: la critica al potere costituito, fonte di ingiustizie e di sofferenze; il rifiuto della cultura classica, assestatasi negli schemi platonico-stoici, giustificativi in fondo della realtà cosí com'essa è; il rifiuto del "pubblico" e l'esigenza di curare e valorizzare la sfera della vita privata e individuale; la predicazione e l'aspettativa di un mondo migliore, al quale certamente dovranno accedere gli "iniziati", cioè i credenti nella nuova dottrina la predicazione di Gesù e dei primi cristiani accentua la tematica del rifiuto: il disprezzo delle cose terrene e materiali, l'indifferenza di fronte all'impegno sociale e politico, la svalutazione della famiglia "naturale", rispetto a quella "spirituale" e sovrumana dei "fratelli nella fede"; accentua il carattere dell'universalità: a differenza dell'ebraismo, che si rivolgeva solo al "popolo eletto ", e delle religioni misteriche, che si rivolgevano esclusivamente agli "iniziati"

al dio espressione di ordine razionale e di forze naturali proprio delle antiche religioni, al dio giudice e vendicatore proprio della religione ebraica, la nuova dottrina sostituisce una persona che ama le proprie creature e che è l'oggetto del loro amore: la "Legge" mosaica, la "parola" di Dio agli uomini, viene ora sostituita dalla "Grazia" di Cristo, un "dono" gratuito di Dio agli uomini, che deriva unicamente dalla sua bontà e dal suo amore per gli uomini, indipendentemente dai loro meriti e dalle loro opere, e che è la ricompensa salvifica della loro "fede" Dio si è incarnato nel Figlio, venuto nel mondo per predicare la parola del Padre e per riscattare gli uomini col suo sacrificio

gli scrittori cristiani che si posero il problema del rapporto con la cultura ellenistico-romana furono chiamati Apologeti o anche Padri della Chiesa l'Apologetica e la Patristica cristiane assunsero fin dall'inizio aspetti opposti: da un lato si venne definendo una corrente "conciliante", tendente a vedere nel cristianesimo l'espressione ultima e perfetta di un corpo di dottrine che anche tra i pagani (specialmente Socrate, Platone, gli Stoici) avevano conosciuto delle prime affermazioni, e quindi il cristianesimo come la "vera filosofia"; dall'altro lato si affermò una corrente "intransigente", che vedeva in tutta la cultura "pagana" una tradizione da rifiutare in blocco per poter intendere la verità e la novità della nuova parola, una corrente che affermava quindi il cristianesimo l'unica "vera filosofia" ma proprio perché criticava e respingeva la "filosofia" che l'aveva preceduta.

le dottrine cristiane andavano acquistando gradualmente una loro organicità e si andavano affermando sempre piú nel mondo ellenistico-romano; con il progressivo decadimento dell'impero romano e delle ideologie che ne esprimevano le esigenze culturali e politiche a partire dal IV secolo, il cristianesimo assunse un ruolo ed una rilevanza egemoni nel mondo mediterraneo chi operò la prima grande sintesi delle dottrine cristiane, raccogliendone i vari motivi e le varie esigenze cosí come si erano espressi da Giustino a Tertulliano, a Clemente, a Origene, alla patristica greca e latina, fu Agostino di Tagaste

Noli foras ire, in te ipsum redi; in interiore homine habitat veritas il richiamo all'interiorità è la nota prevalente del pensiero agostiniano: Noli foras ire, in te ipsum redi; in interiore homine habitat veritas solo indagando la propria coscienza l'uomo troverà il principio assoluto di ogni conoscenza, il principio di verità che gli permetterà di giungere alle certezze indubitabili di cui ha bisogno; ma questa conoscenza e queste certezze riguardano esclusivamente il campo morale e quello religioso ed escludono in quanto completamente indifferente il mondo dei processi naturali

indagando se stessi è lecito dubitare: “ Conduciamo la nostra ricerca come se tutto fosse dubbio. Se la volontà libera è stata data al fine di ben operare, dal momento che con essa possiamo anche peccare, mi sembra divenir dubbio anche se avrebbe potuto esser data.” (Agostino, Sul libero arbitrio) è un dubbio ben lontano dal dubbio scettico, perché è un dubbio che si fonda su alcune certezze di fede che vengono comunque presupposte, come l'esistenza di Dio creatore dell'anima e della volontà dell'uomo e infatti, chi dice nel suo cuore "Dio non esiste" non tanto mette in dubbio l'esistenza di Dio, quanto va alla ricerca delle ragioni della sua fede, vuole cioè comprendere ciò che crede; a un simile uomo allora “ io dimostrerei, e lo ritengo molto facile a dimostrarsi, come uno che pretende che sui segreti del suo animo, noti a lui solo, gli debba far fede un estraneo che non li può conoscere, sarebbe poi giusto che credesse a sua volta all'esistenza di Dio in fede degli scritti di quei grandi uomini che hanno lasciato testimonianza d'esser vissuti con il Figlio di Dio.”

"credo ut intelligam" e "intelligo ut credam“ il "dubbio" di Agostino non investe l'esistenza di Dio o le altre verità della fede, bensí vuole essere la ricerca di un rapporto tra credere e conoscere “ Ma noi ciò che crediamo vogliamo anche conoscerlo e comprenderlo. Bene... Se, infatti, credere e intendere non fossero due cose distinte e non dovessimo prima credere ciò che di grande e divino desideriamo intendere, invano il profeta avrebbe detto: "Se non credete non intenderete" (Isaia 7, 9 ). Ed anche nostro Signore, con le parole e con i fatti, esortò quelli che chiamò a salvezza per prima cosa a credere... Quindi a coloro che già credono disse: "cercate e troverete". Perciò, obbedendo al comando di Dio, cerchiamo senza posa; e ciò che, spinti da lui, cerchiamo, con la sua guida troveremo.” (Agostino, Sul libero arbitrio) il compito della ricerca non è di riuscire a dimostrare l'esistenza di Dio e le altre verità di fede, bensí di dimostrare che queste verità di fede costituiscono la vera conoscenza per l'uomo: una conoscenza, dunque, i cui ambiti e i cui limiti sono già determinati e fissati dall'inizio "credo ut intelligam" e "intelligo ut credam“ (armonico rapporto tra fede e ragione, perché la ragione accetta di muoversi nell'ambito e nei presupposti della fede)

cercando in se stessi si trova la verità, e la verità è Dio come ciò che è superiore alla natura di ogni essere, dell'essere dell'uomo e della ragione umana: perché l'anima umana, quando “ di per sé sola vede che esiste alcunché di eterno ed immutabile e, con ciò stesso, si rende conto della propria inferiorità, allora deve anche ammettere che quello è il suo Dio... Questo qualcosa è proprio la verità: abbracciala, se puoi, e godi di essa.” (Agostino, Sul libero arbitrio) Dio come verità luminosa che sola può render conoscibili tutte le cose, è dunque l'adattamento cristiano della soluzione platonica e neoplatonica del problema della conoscenza: “ Come nella luce del sole si scelgono le singole cose che si vogliono vedere e si gode di vederle..., cosí lo sguardo forte ed acuto della mente, dopo aver osservato, con sicuro raziocinio, molte cose vere ed immutabili si rivolge direttamente alla verità per la quale tutte le cose sono conoscibili e, fisso in essa, quasi dimentica ogni altra cosa ed in essa, ad un tempo, di tutte gode.” (Agostino, Sul libero arbitrio)

se è vero che il male è legato alla materia ed all'influenza corruttrice che questa esercita sullo spirito, è vero anche però che la stessa materia è opera della creazione divina e non può essere quindi in se stessa male “ E mi fu chiaro che le cose corruttibili sono buone. Tanto nel caso che fossero assolutamente buone, quanto nel caso che non lo fossero per nulla, non potrebbero essere corruttibili.” (Agostino, Confessioni Vll, 12, 18) poiché la corruzione è la privazione di un bene, se le cose fossero assolutamente buone sarebbero incorruttibili, se non fossero per nulla buone, non vi sarebbe nulla in loro che potesse corrompersi: “ Concludendo, tutto ciò che esiste è buono; e quel male, di cui mi chiedevo l'origine, non è una sostanza... Perciò compresi e mi fu evidente che ciò che Tu hai creato è tutto buono e non vi è sostanza che non tragga origine da Te. “(Agostino, Confessioni Vll, 12, 18)

se Dio è la somma bontà, ed è buono tutto ciò che da lui è stato creato, da dove deriva il male? il male metafisico non esiste: certamente esiste una gerarchia dei beni, che va dal Sommo Bene, Dio, a ciò che é soltanto corporeo, ma il livello spirituale si trova anche nel mondo sensibile pur solo in forma indebolita e imperfetta; quindi le entità del mondo sensibile, in quanto sono dotate di essere, non sono male il male fisico, che può ridursi al dolore, non è propriamente un male, sia perché riguarda il corpo e non l'anima e quindi è in senso stretto "indifferente" all'uomo, sia perché, rientrando nel mondo delle cose create da Dio, rientra anche nei suoi disegni provvidenziali e, presentandosi come una giusta punizione per l'uomo, può essere considerato addirittura un bene resta il male morale, che è il vero male, cioè quello voluto dalla malvagità della volontà umana

quando l' anima compie il male, non passa da un bene a un' entità che sia di per sè un male, in quanto, come si é visto, il male non ha propriamente realtà l'azione malvagia consiste nel dirigersi dalla volontà del bene eterno a un bene temporale, nell' amare un bene che é inferiore al Sommo Bene come se fosse il Sommo Bene I in ciò consiste il peccato; esso é male, e non l' oggetto che, peccando, é amato: è la volontà umana che, peccando, rende male ciò che di per sè non è male; in essa é dunque l' origine del male, non in Dio orientandosi verso ciò che é inferiore a Dio , la volontà malvagia si oppone a Dio.

la considerazione del male come un male morale, cioè come un prodotto della volontà dell'uomo, coinvolge immediatamente altri gravi problemi, che sono poi quelli fondamentali che deve affrontare ogni filosofia religiosa: il problema del peccato, quello della libertà dell'uomo e quello della predestinazione e della salvezza dell'uomo l'uomo è libero (se non si ammettesse ciò, non si potrebbe ammettere l'agire morale dell'uomo), ma la libertà dell'uomo, che è un dono divino, significa che l'uomo può scegliere il bene, ma può scegliere anche il male: cosí ha fatto Adamo, e con lui ed in lui tutta l'umanità ha peccato; senonché il male fatto dall'uomo non va imputato a Dio, bensí soltanto all'uomo, anche se Dio ha previsto il suo peccato

nessun uomo può riscattarsi e salvarsi con le sole sue forze: ma Dio, onnisciente (prevede il peccato dell'uomo) è anche onnipotente: non determina quindi l'uomo al male? è vero che Dio prevede l'azione umana, ma la prevede proprio come il risultato della sua libera volontà: volgendosi verso il male la volontà dell'uomo, in e con Adamo, si è come menomata, l'umanità intera è divenuta una "massa damnationis", una massa dannata, e la sua libertà si riduce ad un "non potest non peccari", alla libertà cioè soltanto di scegliere il male nessun uomo può riscattarsi e salvarsi con le sole sue forze: non sono le opere buone a salvare l'uomo, ma è solo Dio che nella sua infinita bontà concede la salvezza ad alcuni uomini

“ E ciò l'Apostolo [Paolo] attesta in molti passi, anteponendo la grazia della fede alle opere, ma non per annullare le opere, ma per mostrare che le opere non precedono la Grazia, ma la seguono sí che nessuno presuma di aver ricevuto la Grazia, per aver ben operato, mentre non si può far opere buone, se non si è per la fede ottenuta la Grazia... La Grazia è dunque di Colui che chiama, le opere buone invece vengono come conseguenza per chi riceve la Grazia: esse non producono la Grazia, ma sono prodotte dalla Grazia... Certo questa elezione è un fatto cosí misterioso che, durante la seminagione [allusione alla parabola evangelica del seme sulla terra] nulla ce ne appare. E tuttavia che diremo? Che in Dio vi è ingiustizia, se Egli, a chi gli piace richiede, e a chi gli piace condona? E perché allora ad uno in un modo, all'altro in un altro?... Crediamo solo, anche se siamo incapaci di capire, dal momento che Colui che creò e ordinò ogni creatura "dispone ogni cosa secondo misura, numero e peso", (Sapienza 11, 21). "Ma i suoi giudizi sono imperscrutabili ed ininvestigabili le sue vie " (Paolo ai Romani, 11, 33). Diciamo "Alleluia" e cantiamo insieme il cantico e non diciamo "perché questo o perché quello?". Tutto infatti è stato creato per il tempo che gli conviene.” (Agostino, Su diverse questioni a Simpliciano)

la grazia di Dio, che sola può dare all'uomo la salvezza, è un dono gratuito che Dio elargisce ad alcuni uomini soltanto per la sua bontà: perché ad alcuni sí e ad altri no? non è lecito indagare per la mente umana e rientra solo negli imperscrutabili disegni della provvidenza divina la predestinazione dell'uomo è esplicitamente affermata: la salvezza dipende esclusivamente da Dio e non dai meriti degli uomini; ma se esiste una predestinazione al bene, dovrà esistere anche una predestinazione al male: Agostino non lo dice esplicitamente, ma la conclusone rientra pienamente nel suo discorso questa conclusione pessimistica e fatalistica mostrava chiaramente i pericoli insiti nel tentativo di rendere "filosoficamente" coerenti le "verità" della fede cristiana