Italo Svevo
biografia Italo Svevo nacque nel 1861 a Trieste. Di famiglia ebrea di agiati commercianti, viene messo in collegio in Baviera dove studia gli scrittori tedeschi. Tornato a Trieste a 17 anni per completare gli studi commerciali, entra come impiegato alla viennese Banca Union, dove resterà vent'anni. Nelle ore libere dal lavoro si dedica a scrivere. 1892 pubblica Una vita, romanzo che passa sostanzialmente inosservato. 1896 sposa una cugina, Livia Veneziani, figlia di un ricco industriale e l'anno dopo nasce la figlia Letizia. 1898 esce il secondo romanzo, Senilità, ignorato da critica e pubblico. Nel 1906 conosce un insegnante irlandese eccezionale: lo scrittore James Joyce. Fra il 1908 e il 1910 Svevo legge Freud e libri di psicoanalisi: non ha molta fiducia nell'applicazione terapeutica della psicoanalisi e scrive che Freud è più importante per i romanzieri che per gli ammalati. Nel 1919 inizia a scrivere La coscienza di Zeno che viene pubblicato, sempre a spese dell'autore, nel 1923. L'anno dopo Joyce, che si è trasferito a Parigi e che è entusiasta del libro, ne parla ai suoi amici, che vogliono conoscere la sua opera. Per un banale incidente automobilistico Svevo muore nel settembre del 1928 a Motta di Livenza. Ha 67 anni. Italo Svevo è uno pseudonimo per sottolineare l’unione della cultura italiana e mitteleuropea
La coscienza di Zeno E’ l’unico romanzo che ottine successo mentre l’autore è in vita, grazie alle critiche positive di Montale e Joyce. E’ il diario immaginario di Zeno Cosini scritto a scopo terapeutico su indicazione del dottor S. E’ diviso in grandi sezioni tematiche che scompigliano la cronologia reale il fumo la morte di mio padre la storia del mio matrimonio la moglie e l’amante storia di un’associazione commerciale La vicenda procede per libere associazioni che rivelano l’inconscio del protagonista. La narrazione è in prima persona, è la coscienza che decide cosa rivelare e cosa tacere interpretando o travisando i fatti; il lettore non sa se quello che il narratore racconta sia la verità o quello che lui vuol far credere.
la psicoanalisi Le teorie psicanalitiche di Freud, sviluppatesi fra fine '800 e inizio '900 influenzarono notevolmente Svevo, il quale non condivise pienamente le tesi dello scienziato viennese. Da un lato Svevo ne fu attratto, poiché ne apprezzava l'attenzione riservata ai gesti quotidiani più banali (lapsus, vuoti di memoria); d'altro canto Svevo fu turbato dalla psicoanalisi, perché l'analisi dell'inconscio spesso porta il soggetto a prendere coscienza di verità rimosse, e quindi molto sconvolgenti, ma anche perché diffidava della possibilità di guarire le malattie psichiche con qualsiasi mezzo. Svevo decise di seguire la teoria psicoanalitica solo come strumento letterario: l'analisi psicologica diventa l'argomento principale della Coscienza di Zeno, e questa analisi viene resa dal punto di vista letterario senza cercare necessariamente un legame logico fra le cose narrate, ma raccontando per "associazione di idee", come avviene realmente nella nostra psiche. sigmund freud
la psicoanalisi è solo uno strumento per sondare la psiche umana. Svevo ritiene che la psicoanalisi non possa essere utile a guarire perchè l’uomo moderno è per sua natura malato la malattia è lo stato naturale dell’uomo che riflette su se stesso, che non vuole integrarsi nel salubre viver borghese. Svevo però sostiene paradossalmente anche che i veri malati sono coloro che hanno delle certezze immodificabili su cui basano la propria esistenza e che non sanno analizzare se stessi, pertanto il confine fra sanità e malattia si assottiglia notevolmente.
l’ inetto La tipologia che emerge dai suoi romanzi è quella dell‘ inetto: l'uomo incapace, che non sa vivere nella società così com’è e non sa realizzare i suoi progetti. E’ un anti-eroe, un uomo comune senza apparenti grandi qualità, ma non è necessariamente uno sconfitto; ad es. Zeno alla fine risulta il vincente. Il periodo in cui Svevo scrisse era caratterizzato da una profonda crisi sociale (la "crisi delle certezze"), che portò l'uomo alla consapevolezza che non bastava la sola razionalità a spiegare la realtà. A ciò gli scrittori reagirono in modo diverso: D'Annunzio con la teoria del superuomo, Pascoli col mito del fanciullino, Svevo anziché inventarsi eroi decise di parlare e descrivere l'uomo in crisi, così com'era, dandone un'immagine in cui gli uomini del suo tempo, obbligati a riflettere su se stessi, non amarono rispecchiarsi. L'inetto ha una debolezza interiore che lo rende inadatto alla vita e si distingue dalla società come un diverso, soprattutto perché non ne condivide i valori come il culto del denaro e del successo personale.
l’inetto L'inetto è colui che si trova ai margini della vita e la osserva scorrere senza riuscire a sistemarsi nel suo flusso soffrendo spesso per la solitudine. E’ incapace di decidere della propria vita, è senza certezze, oppresso e paralizzato spesso dai proprio ragionamenti a vuoto; non riesce ad instaurare un rapporto autentico con le persone e la società; vive in un mondo nel quale si sente schiacciato e inappagato. Dalla sua posizione può osservare il mondo dal di fuori e può criticarlo, evidenziandone i difetti, minando alla base le certezze ricorrendo spesso all’ironia.
stile: fu molto criticato perché accusato di aver usato una lingua non letteraria, infatti le frasi sono spesso brevi e spezzate e molti termini sono di origine triestina il monologo interiore di Svevo è molto diverso dal flusso di coscienza di Joyce: il primo non lascia spazio alla libera trascrizione dei pensieri del suo personaggio ma tutto è controllato e filtrato dalla coscienza; inoltre Zeno scrive per il dottore mettendo insieme discorsi logici anche se non sappianto quanto infarciti di menzogna.