L’atomo
I fenomeni elettrici Era già noto ai Greci che strofinando dell’ambra con un panno di lana, quest’ultima era in grado di attrarre peli e fili di paglia. Anche altre sostanze, come il vetro, la bakelite e, attualmente, alcuni tipi di plastica, presentavano un comportameno simile all’ambra, il cui nome in greco è électron. Per questo motivo tali manifestazioni vennero chiamate fenomeni elettrici.
Questi comportamenti vennero considerati una semplice curiosità per molti secoli. Solo a partire dal XVII secolo vennero studiati e spiegati ammettendo la produzione, durante lo strofinio, di cariche elettriche. Poiché ambra e vetro elettrizzati attraevano sostanze diverse si attribuì carica positiva all’ambra carica negativa al vetro.
Gli studi condotti da Charles-Augustin de Coulomb (1736-1806) sull’interazione tra corpi dotati di carica elettrica consentirono di concludere che:
Nel 1799, Alessandro Volta ideò un sistema che chiamò “pila”, perché costituito da una pila di dischi di rame, zinco e feltro imbevuto di acqua salata, sovrapposti. Con tale apparecchio, il fisico italiano riuscì a generare flussi intensi e continui di energia: ossia a trasformare in elettricità l’energia sviluppata nel corso di reazioni chimiche. Successivamente, si riuscì a ottenere anche il contrario: far avvenire reazioni chimiche, attraverso l’impiego di elettricità; ne è un esempio l’elettrolisi dell’acqua, mediante la quale quest’ultima viene decomposta in idrogeno e ossigeno.
L’elettrizzazione per strofinìo, la pila e l’elettrolisi dimostravano che l’elettricità, nei suoi diversi aspetti, è un fenomeno così diffuso da far pensare che la sua origine vada ricercata nella struttura intima della materia. In altre parole, si poteva ritenere che gli atomi stessi possedessero una natura elettrica. Questa nuova considerazione, però, contrastava con il modello di atomo ipotizzato da Dalton, che era invece privo di cariche.
Per comprendere la natura dell’elettricità, si studiò il suo passaggio nei solidi, nei liquidi e nei gas. Grazie a questi studi J.J. Thomson scoprì che, in particolare condizioni, tutta gli elementi emettevano particelle negative molto più piccole del più piccolo atomo conosciuto e cioè dell’atomo di idrogeno. H -
A tali particelle fu dato il nome di elettroni. Il tubo emettitore di elettroni si è evoluto nel corso del secolo scorso, dando origine al tubo al tubo catodico, che per lungo tempo è stato il costituente fondamentale dei televisori e dei monitor per computer.
Si scoprì poi che venivano anche emessi corpuscoli con carica positiva la cui massa dipendeva dal gas presente nel tubo. Thomson si convinse che i risultati di tutte le esperienze dovevano avere un’interpretazione unica. Nel tubo di vetro la differenza di potenziale allontanava gli elettroni dagli atomi del gas, trasformando questi ultimi in ioni positivi. Entrambi i gruppi di particelle, elettroni e ioni positivi, si allontanavano dagli elettrodi con il loro stesso segno, generando i gruppi di particelle osservati.
Nel 1904, Thomson concluse che: Intuitivamente, questo modello può essere paragonato a un panettone, nel quale i chicchi di uva passa possono rappresentare gli elettroni e la pasta la sfera di carica positiva. elettrone sfera di carica positiva UD7 I primi modelli
Successivamente E. Rutherford trovò che l’atomo non era compatto come fino ad allora si era ritenuto ma che: In pratica gli elettroni si muovono come i paianeti attorno al Sole e per questo si parla di «modello atomico planetario» UD7 I primi modelli
Per dare l’idea delle dimensioni reciproche atomo/nucleo... UD7 I primi modelli
L’atomo non è pertanto una sfera compatta, come riteneva Thomson, bensì un insieme di particelle relativamente molto distanti tra loro, tenute insieme da forze di attrazione elettrica. Risultò anche che i nuclei degli atomi di ogni elemento sono tutti costituiti da aggregati del più piccolo nucleo conosciuto, quello dell’atomo di idrogeno, a cui venne dato nome di protone. UD7 I primi modelli
La composizione degli atomi La massa e la carica dei nuclei atomici non possono essere spiegati con la presenza dei soli protoni. Già Rutherford aveva dimostrato che i nuclei di elio sono quattro volte più pesanti di quelli di idrogeno, mentre hanno una carica solo doppia rispetto a questi ultimi. Per molto tempo si credette che nell’atomo fossero presenti anche “elettroni nucleari”. Massa e carica dell’elio, per esempio, venivano spiegate ipotizzando che il nucleo contenesse quattro protoni (il che avrebbe giustificato la massa) e due elettroni (che, neutralizzando parzialmente i protoni, avrebbero spiegato la carica). Ovviamente, altri due elettroni dovevano orbitare attorno al nucleo come aveva ipotizzato Rutherford. UD7 I primi modelli
Tale convinzione venne superata nel 1932 con la scoperta, compiuta dal fisico inglese James Chadwick, di una nuova particella: il neutrone. La presenza dei neutroni nel nucleo risolve il problema della discrepanza tra i valori della massa e della carica dei diversi nuclei. UD7 I primi modelli
I neutroni inoltre, privi di carica elettrica e interposti tra i protoni aventi carica positiva, li tengono separati, rendendone minima la reciproca repulsione. Più recentemente, si è scoperto che neutroni e protoni sono vincolati da una particolare forza, chiamata forza nucleare forte. UD7 I primi modelli
Le tre particelle fondamentali, protone, elettrone, neutrone, determinano nel loro insieme le caratteristiche e il comportamento degli elementi. azoto boro Un atomo per il quale Z = 2 ha due protoni ed è un atomo di elio (He). Poiché in un atomo neutro il numero dei protoni è uguale a quello degli elettroni, il suo numero atomico indica anche i suoi elettroni, dai quali dipendono le proprietà chimiche di un elemento. UD7 I primi modelli
I neutroni tengono uniti i protoni nel nucleo e determinano la massa dell’atomo. Ciò significa che, conoscendo soltanto il numero di neutroni di un atomo, non è possibile identificare l’elemento a cui appartiene. In base a quanto già conosciamo, possiamo affermare che: A = N + Z Per descrivere completamente un atomo è dunque necessario conoscere quanti protoni e quanti neutroni contiene il suo nucleo. UD7 I primi modelli
Con questa simbologia sottintendiamo anche che sono presenti Per rappresentare un elemento (E) con il suo numero atomico (Z) e il suo numero di massa (A), si utilizza il simbolo: Molto frequentemente, il numero atomico degli elementi più usati viene memorizzato e questa simbologia viene espressa in modo più sintetico: Pertanto un atomo di ossigeno, caratterizzato da 8 neutroni e 8 protoni e quindi con Z = 8 e A = 16, viene rappresentato: Con questa simbologia sottintendiamo anche che sono presenti 8 elettroni. UD7 I primi modelli
da particelle ancora più piccole chiamate quark. La massa dell’atomo viene determinata di fatto soltanto da neutroni e protoni, in quanto il contributo degli elettroni è assolutamente trascurabile. Studi effettuati successivamente hanno dimostrato che solo l’elettrone è una particella fondamentale, mentre protone e neutrone sono costituiti da particelle ancora più piccole chiamate quark. UD7 I primi modelli
Gli studi sulla radioattività e sui raggi anodici avevano infatti messo in evidenza l’esistenza di atomi di uno stesso elemento che si diversificano per la massa. Poiché tutti presentano le proprietà chimiche di quell’elemento, essi occupano idealmente la stessa posizione in natura e furono perciò chiamati isotopi dal chimico e fisico inglese Frederick Soddy, nel 1910, utilizzando un termine, derivante dal greco, che significa “che occupa lo stesso posto”. Il motivo per cui gli isotopi di uno stesso elemento hanno massa diversa divenne chiaro quando furono scoperti i neutroni. Gli isotopi dell’idrogeno, per esempio, contengono rispettivamente 0, 1 e 2 neutroni e si indicano nella notazione semplificata con 1H, 2H e 3H. Composizione atomi mappa UD7 I primi modelli
Tutti e tre hanno lo stesso comportamento chimico poiché, avendo lo stesso numero di protoni, hanno anche lo stesso numero di elettroni, da cui dipendono, come abbiamo già detto, le proprietà chimiche di un elemento. Le proprietà fisiche invece sono diverse a causa del diverso numero di massa. Per esempio, l’acqua ottenuta con deuterio ha una temperatura di fusione di 3,82 °C e una densità di 1,11. Questo spiega perché il ghiaccio formato da 2H2O, (detta “acqua pesante”), immerso in acqua, va a fondo. acqua acqua pesante UD7 I primi modelli
L’esistenza degli isotopi consente di spiegare un dato apparentemente contraddittorio. Poiché la massa atomica coincide praticamente con la somma delle masse di neutroni e protoni, tutte particelle con massa molto vicina a u, il suo valore dovrebbe essere pressoché intero. Come si giustifica allora l’esistenza di masse atomiche frazionarie come quella del rame, che è uguale a 63,54, o quella dello zinco, che è 65,37? In realtà, il valore riportato per ogni elemento nella tabella delle masse atomiche non si riferisce alla massa atomica di un particolare isotopo, ma rappresenta la media ponderale delle masse atomiche di ciascun isotopo presente nella miscela naturale. Pertanto tale valore riflette i differenti contributi di tutti gli isotopi costituenti la miscela di quell’elemento. UD7 I primi modelli
Composizione atomi mappa UD7 I primi modelli
La stabilità dei nuclei: la radioattività Gli studiosi di chimica nucleare danno il nome di nuclide a una singola specie atomica caratterizzata da un numero definito di protoni e neutroni. Questa, per certi versi, è anche una definizione di isotopo. Se si costruisce un grafico dei nuclidi conosciuti, con il numero atomico (Z) in ascissa e il numero dei neutroni (N) in ordinata, vediamo che quelli stabili si raggruppano in una fascia. mappa Radioattività UD7 I primi modelli
Per bassi valori di Z, fino a circa 20, i nuclidi stabili sono caratterizzati da un ugual numero di neutroni e protoni, infatti si sovrappongono alla linea verde (N = Z). Al crescere del numero atomico, lo scostamento dei nuclidi dalla linea centrale indica che occorrono sempre più neutroni per mantenere stabile il nucleo. Oltre il bismuto (Z = 83), infine, non esistono più nuclidi stabili, indipendentemente da quanti neutroni siano presenti. UD7 I primi modelli
Tutti i nuclidi caratterizzati da valori che li pongono al di fuori della fascia di stabilità sono radioattivi, e per questo sono chiamati radionuclidi. Essi si tramutano spontaneamente in altri più stabili, dando così luogo a un decadimento radioattivo. La velocità con cui avviene un processo di decadimento si esprime frequentemente attraverso il tempo di dimezzamento (T1/2), che cambia in relazione ai diversi nuclidi. Il tempo di dimezzamento del radionuclide 238U, per esempio, è 4,5 · 109 anni. Ciò significa che 100 g di 238U, dopo 4,5 · 109 anni, si riducono a 50 g. Trascorsi altri 4,5 · 109 anni ne rimangono 25 g e così via. UD7 I primi modelli
Nella Tabella è riportato il tempo di dimezzamento di alcuni radioisotopi, e anche il tipo di decadimento che essi subiscono. UD7 I primi modelli
La legge del dimezzamento è valida per qualsiasi trasformazione dei nuclei. A seconda della composizione di un nucleo, esso darà luogo a decadimenti radioattivi di tipo diverso, dei quali analizzeremo qui i più importanti. UD7 I primi modelli
Un altro esempio N Z UD7 I primi modelli
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Un altro esempio N Z UD7 I primi modelli
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Un altro esempio N Z UD7 I primi modelli
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Un altro esempio N Z UD7 I primi modelli