“Running coupling constant”: aS(Q2)

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“Running coupling constant”: aS(Q2) La costante di accoppiamento aS è dipendente dal momento trasferito nel processo: aS= aS(Q2). Tale dipendenza è dovuta alle correzioni perturbative di “ordine superiore” (nella costante di accoppiamento) al propagatore del mediatore dell’interazione (il gluone, per la QCD): L’ effetto è analogo alla “rinormalizzazione” della carica elettrica in QED, ma con alcune importanti differenze che vedremo.

Rinormalizzazione della carica elettrica in QED: aQED(Q2) In QED, l’ampiezza di scattering, ad esempio, e-e-  e-e- , completa a tutti gli ordini perturbativi è data dai diagrammi: km Ogni diagramma di ordine superiore ha un contributo più piccolo. Tuttavia la serie non converge! Va “rinormalizzata” iega iegm q p p-q iegn iegb kn ~ e2a ~ e4a2 ~ e6a3 All’ordine alpha è Il propagatore nell’elemento di matrice di transizione viene modificato; limitandoci al 2o termine (in a2): dove il “loop fermionico” nel propagatore Pab è calcolabile integrando su tutti i possibili 4-impulsi p del fermione. p è arbitrario e questo è il problema.

ridefinizione (“rinormalizzazione”) della carica elettrica. L’integrale è e si ottiene da p2=m2 p-q per un e+ uscente equivale a q-p per un e- entrante con: (a0=e2/4p) L’integrale diverge logaritmicamente per |p| (“divergenza ultravioletta”) e viene controllato da un parametro di cut-off L, che verrà riassorbito nella ridefinizione (“rinormalizzazione”) della carica elettrica. In definitiva, si ha la seguente modifica nel propagatore introdotta dal 2o termine perturbativo: e l’ampiezza di transizione è esprimibile in termini dell’ ampiezza A0(q2) calcolata dal diagramma ‘lowest order’ (anche detto “tree-level”) dove per comodità si è introdotto:

Inserendo i contributi negli ordini successivi (diagrammi a più loops), si ottiene la serie geometrica: L’ampiezza completa a tutti gli ordini perturbativi è esprimibile tramite l’ampiezza al primo ordine in a , moltiplicata per la costante di accoppiamento “rinormalizzata”: ossia:

A priori la ridefinizione della carica elettrica è affetta anche dai contributi “esterni” al propagatore fotonico: vale a tutti gli ordini perturbativi! Tuttavia si dimostra, come conseguenza della invarianza di gauge della teoria, che i contributi (b) + (c) si cancellano col contributo (a) (identità di Ward in QED; estesa alle teorie di gruppo non abeliane (e.g. la QCD) da Slavnov-Taylor). Una ridefinizione della carica elettrica (“rinormalizzazione”) è sufficiente alla cancellazione. Come ha dimostrato ‘t Hooft nel 1971, l’ invarianza di gauge di una teoria di campo è essenziale per garantirne la rinormalizzabilità, ossia la possibilità di riassorbire le divergenze ultraviolette in un’unica ridefinizione della costante di accoppiamento.

Negli esperimenti, ciò che si misura è a(Q2) ad una certa scala di momento trasferito. Ad esempio, nello scattering Thomson e-e-  e-e- o nell’ esperimento che misura il Lamb-shift nella struttura iperfina dell’atomo di idrogeno, a(Q2 =m2 1eV2)=1/137 . Queste misure vanno correlate con le misure a scale diverse (ad esempio Q2 = MZ2 = (91 GeV)2 ); usando la relazione precedente, si ottiene La relazione tra i due valori è dunque esattamente predetta dalla teoria ed è indipendente dalla divergenza ultravioletta (il valore di cut-off L nell’integrale dei loop fermionici interni al propagatore del fotone) che è riassorbita nella costante di accoppiamento rinormalizzata. Invertendo la precedente si ha Si noti che abbiamo introdotto una scala arbitraria m, alla quale rinormalizziamo l’accoppiamento. I risultati fisici non dipendono da questa scelta!

Si noti anche che in il denominatore in generale deve includere anche i fermioni più massivi dell’elettrone, che possono circolare nei loop virtuali. In effetti la correzione al denominatore deve contenere un fattore Neff = nl + 3(4/9)Nu + 3(1/9)Nd dove nl, Nu, e Nd sono i leptoni, i quarks di tipo up e down che contribuiscono ai loops. Simili considerazioni andranno fatte per as in QCD, come è chiaro dallo studio del fattore R (sezione d’urto di produzione di adroni in unità di sezione d’urto di produzione di muoni, a collisori e+e-). I quarks però contribuiscono al running di alpha_s in modo paritario, perché sono eguali per la QCD (che è flavor-independent).

Charge screening La “costante” di accoppiamento è quindi una “running coupling constant”; in QED, essa cresce logaritmicamente (ma poco!) con l’ impulso trasferito. Qualitativamente, la cosa può essere spiegata dalla “polarizzazione del vuoto”: le coppie virtuali e+e- che si formano agiscono come i dipoli di un dielettrico, schermando la carica elettrica “nuda” . Quanto più ci si avvicina ad essa, aumentando il momento trasferito nello scattering, tanto maggiore è la carica elettrica ‘vista’ nell’ interazione. A Q2=MZ2104 GeV2 : e- e+ e- e-

La polarizzazione del vuoto Il fenomeno descritto è facilmente comprensibile e ha uno stretto analogo classico: se un mezzo contenente molecole dotate di un momento di dipolo elettrico permanente è immerso in un campo elettrico, il campo viene ridotto di un fattore e L’effetto è dovuto all’orientamento dei dipoli elettrici, che operano uno “screening” delle sorgenti del campo originario A scale di distanza inferiori alle dimensioni molecolari, la carica originaria che produce il campo si vede inalterata. Si ha che e(r)1 per r0, e(r)e per r grandi. Questo effetto produce di fatto anche il running di aEM.

Anti-screening Fu scoperto da Gross, Wilczec, e Politzer nel 1973 che per teorie non abeliane come la QCD il ragionamento visto si ribalta: i gluoni, anch’essi portatori della carica del campo, “diluiscono” la carica originaria, spargendola intorno ad essa. Il risultato è che l’interazione forte aumenta con la distanza, mentre a piccole distanze i quarks risultano “liberi” (asymptotic freedom). E’ questo il motivo per cui a grande q2 i quarks appaiono come particelle libere (permettendoci di calcolare perturbativamente i processi di scattering).

QCD: as(Q2) e anti-screening In QCD il meccanismo è analogo a quello visto prima, ma con l’importante differenza che i gluoni sono portatori di carica di colore: non esiste il corrispettivo in QED (vi sono due tipi di gluoni in questi loops: trasversi e Coulomb-like; i secondi dominano e danno il contributo di segno opposto) Risulta che il loop gluonico contribuisce per un fattore (11/4p)ln(Q2/L2) e per ognuno degli nf quarks che alla scala di Q2 considerata possono essere creati (mf2< Q2/4) vi è un fattore –(1/6p) ln(Q2/L2). In definitiva per la costante di accoppiamento forte si ha: dove si è posto nf=5 (ci sono 5 flavours di quark: q = u,d,s,c,b , se si considerano le scale m2,Q2>mb225 GeV2)

e varia molto più rapidamente di aQED. La “costante” aS decresce col momento trasferito (“libertà asintotica”), e varia molto più rapidamente di aQED. Dallo studio dello spettro degli stati legati del charmonio (stati legati ): aS(mc2  (3GeV)2)  0.278+-0.014, e propagando alla Z: [ in realtà si dovrebbe calcolare una doppia propagazione: a(mc2)a(mb2) con b0(nf=4)=0.66, e a(mb2) a(mZ2) con b0=0.61; la differenza è piccola ] Tale predizione è verificata molto bene sperimentalmente, dalle misure di aS(MZ2) ottenute, ad esempio, dalla forma degli eventi di decadimento adronico della Z: Z  qq ; tale forma dipende dal numero di gluoni irradiati dai quarks nello stato finale, che dipende da aS.

Decadimenti di quarkonio e as Gli stati legati q-antiq come il charmonio (Y) o il bottomonio (U) permettono di calcolare as a q2 ben definito (=m2) Prendiamo la Y: è uno stato 1-- e non può decadere in uno o due gluoni per color conservation e C-parity, rispettivamente Si studia il rapporto fra le larghezze di decadimento in due muoni o in adroni, G(mm)/G(ggg), che non dipende dalla forma specifica della funzione d’onda dei due quarks. Calcoli teorici prevedono per questo rapporto il valore Esercizio 1: verificare che da R(1S)=0.032±0.001, R(2S)=0.031±0.008, R(3S)=0.032±0.003 si trova rispettivamente as=0.1743±0.0024, 0.175±0.015, 0.1742±0.0021.

as(Q2) e LQCD La dipendenza di aS(Q2) può essere riformulata introducendo il parametro dimensionale LQCD : dove: ovvero Con tale definizione, si trova e in definitiva relazione che permette di calcolare aS senza alcun riferimento ad una scala prefissata m2 (ovviamente LQCD viene determinata dalla misura di as(m2) ad una certa scala; il ‘best fit’ ai dati dà LQCD= (20515) MeV).

Come detto in precedenza nel discutere le scaling violations, la produzione di jets nel DIS è sensibile al valore di aS Evento dijet in H1 aS(Q2) Così pure la sezione d’urto differenziale ds/dETjet : buon accordo con le misure di LEP negli eventi Z  qq

aS(Q2) e jet production in e+e- La molteplicità dei jets è stata misurata anche ai collisori e+e-: g e+ Z/g aS e- La definizione di “jets” (e quindi di eventi a 2-3-4..jets) dipende dall’ algoritmo e dai parametri che regolano la ‘clusterizzazione’ delle particelle (gli oggetti misurati sono gli adroni che emergono dal processo di frammentazione del quark o del gluone originario) Evento e+e- Z  q q + gluone al LEP ( ; esperimento DELPHI)

Frammentazione dei jets Il processo di produzione degli adroni, con la frammentazione dei jets primari (i quarks e i gluoni), comprende varie fasi: decadimenti deboli degli adroni instabili Processo elettro -debole (QEWD), perfettamente calcolabile Processo di QCD, trattabile a livello perturbativo  informazione su as “adronizzazione” (formazione degli adroni in regime non perturbativo), descritto da modelli fenomenologici (es.”parton shower”); non modifica sostanzialmente le distribuzioni dei jets primari

aS(Q2) e multi-jets Esempio: algoritmo di ricombinazione basato sulla variabile: qij energia totale visibile nell’evento Le particelle vengoni ricombinate, attuando la sostituzione (pi,pj)pk=pi+pj ricursivamente, finché tutte le “pseudo-particelle” hanno ykm > ycut parametro fissato a priori Le pseudoparticelle rimanenti sono i “jets” dell’ evento; Le frequenze R(n-jets) = N(n-jets)/Ntot eventi sono funzione di ycut

aS(Q2) e multi-jets Ai diversi collisori e+e- (PEP, PETRA, TRISTAN, LEP) che hanno operato a diverse energie, la frequenza di eventi a 3-jets per un fissato valore del parametro di ricombinazione varia con l’energia nel CM della collisione Ciò è diretta conseguenza della dipendenza dal q2 di aS(q2)

In collisioni adroniche si usano, invece del KT, algoritmi “a cono” che cercano di massimizzare l’energia entro cerchi di raggio fisso nello spazio h-f Ci sono diversi problemi, sia di carattere teorico che sperimentale, nella connessione fra jet ricostruiti con questi algoritmi e i partoni prima dell’adronizzazione: Teorici: divergenze collineari e soft (“infrared safety”), separation, counting Sperimentali: soft-gluon emissions (out-of-cone), instabilità della ricostruzione, contributi di background da multiple-parton scattering e pileup... L’argomento è complicato ma molto interessante... forse troveremo il tempo di discuterne più in dettaglio più avanti. Evento multi-jet di CDF e diversa ricostruzione con due algoritmi a cono diversi

E a LHC... Candidato top-antitop di CMS Dijet event di altissima energia A LHC sono in uso sia algoritmi a cono che KT-based. Lo vedremo più avanti. Maggiore è l’energia dei jets, e più facile è la loro ricostruzione univoca, perché la dimensione trasversa dei jets scala con l’inverso del logaritmo del q2: <q>=k/[(log(q2)] Questo è dovuto alla decrescita di as

Sommario di misure di as Vi sono svariati modi per determinare sperimentalmente la costante della QCD. Si sfruttano osservabili di DIS, decadimenti adronici del tau, forme dei jets, osservabili nel decadimento adronico della Z, sezioni d’urto di 3/2 jets... Si può anche calcolare as con calcoli sul reticolo, e i risultati sono in accordo con l’esperimento. Tutti i metodi danno valori consistenti, una volta “evoluta” as a un valore comune di Q2.

Una nota sulla fattorizzazione Le sezioni d’urto di processi con adroni nello stato iniziale dipendono, ovviamente, dalle parton distribution functions Si è visto che le PDF dipendono da x e q2 In QCD è ben verificata l’ipotesi di “fattorizzazione” della sezione d’urto: questa si può cioè ricavare da un integrale in cui compaiono le PDF come fattori, e una “sezione d’urto puntuale”. Le PDF sono generali, e non specifiche di un processo. Si possono “fattorizzare” nel calcolo: Le previsioni teoriche per la sezione d’urto dei processi ai collider adronici sono quindi dipendenti dalla scelta di una scala di fattorizzazione mF.

Una misura di as a CDF Vediamo un po’ in dettaglio una misura di alpha_s ottenuta in collisioni adroniche al Tevatron collider. Una misura di as può essere ottenuta in collisioni adroniche dallo spettro differenziale di produzione di jet in funzione dell’energia trasversa. La misura si ottiene dal confronto dello spettro dN/dET osservato con le previsioni della QCD, che viene calcolata al next-to-leading order nello sviluppo di as. Data la grande energia dei processi studiati, i calcoli perturbativi funzionano bene (as è piccola al q2 in questione). Si usa l’espressione ds/dET = as2(mR) X(mF,ET) [1+as(mR)k(mR,mF)] ove mR e mF sono legati al valore di ET indagato, e k è un fattore di correzione calcolabile con simulazioni Monte Carlo, che connettono l’elemento di matrice con le quantità osservabili  qui entra in gioco un parametro fenomenologico che descrive quando due partoni sono osservati come jets separati o meno.

La distribuzione di dN/dET si tramuta subito in una misura di as, che si vede dipendere dalla scala del processo attraverso la quantità misurata, ET. Con l’equazione di evoluzione si riporta poi la misura al q2 di LEP, preso ormai da tutti come riferimento (punti rossi). Nel calcolo entrano ovviamente in gioco le PDF dei quarks e gluoni nei proiettili (protoni e antiprotoni): si usa “fattorizzare” nel calcolo della sezione d’urto la probabilità di osservare partoni di un certo valore x, e la sezione d’urto “puntuale” del processo di hard scattering. Ciò porta con sé una definizione di una “scala di fattorizzazione” mF e relative sistematiche... La misura di as in collisioni adroniche è resa imprecisa dalle ineludibili sistematiche, però ci permette di vedere in un solo dataset il “running”...

Il risultato è una misura di as che ha errori teorici confrontabili con quelli sperimentali, e pari all’incirca al 5-6%: Gli errori teorici vengono soprattutto dalla scelta delle scale mF e mR, e dalle PDF (che a loro volta sono determinate assumendo un certo valore di as... la circolarità è evitata con studi dettagliati). Risulta chiaro che i colliders adronici hanno difficoltà a misurare la costante di QCD, per via del doppio ruolo che essa ricopre in questi processi, nello stato iniziale e finale.

La più recente misura di D0 D0, l’esperimento concorrente a CDF al Tevatron, ha misurato as con dati del Run II – vedi arxiv:1006.2855 8 anni dopo la misura di CDF, le sistematiche teoriche sono minori: esistono calcoli che includono i diagrammi più importanti al NNLO, le PDF sono più precise. La maggior quantità di dati e la miglior comprensione del rivelatore che ne deriva hanno anche diminuito le sistematiche sperimentali D0 utilizza solo eventi con jets centrali, dove il detector è meglio calibrato, e a energia non troppo alta per evitare una regione dei dati ove la sezione d’urto di jet production è stata usata nel calcolo delle PDF!

I risultati, una volta estratta as dalla sezione d’urto e evoluta alla scala comune MZ, sono molto precisi e competitivi con quelli di altri esperimenti Nel grafico sono mostrati i punti sperimentali di D0 confrontati con le determinazioni di as a HERA La misura finale ha un’incertezza totale del 4%, che è un ottimo risultato per un collider adronico Notare che le barre di errore dei punti neri sono la somma di tutte le incertezze – e sono quindi altamente correlate fra loro!

Il Settore di Higgs del Modello Standard PARTE I: La Lagrangiana del Modello Standard Introduzione alle simmetrie di gauge Simmetrie esatte, rotte, nascoste Il teorema di Goldstone Rottura della simmetria di gauge e meccanismo di Higgs Lagrangiana del Modello Standard Accoppiamenti, masse e implicazioni

PARTE II: Fenomenologia del bosone di Higgs e ricerche sperimentali Considerazioni teoriche Correzioni radiative e constraints da fit elettrodeboli Decadimenti Meccanismi di produzione in collisioni elettrone-positrone Meccanismi di produzione ai colliders adronici Ricerche dirette a LEP II e limiti sperimentali Ricerche del bosone di Higgs al Tevatron Apparati sperimentali: CDF e D0 Sezioni d’urto, stati finali accessibili Tecniche sperimentali Qualche esempio in dettaglio Prospettive della ricerca a LHC Produzione a LHC e stati finali promettenti Tecniche di ricerca Alcune misure in corso Prospettive per il 2011

Introduzione: Simmetrie di gauge e MS A bassa energia le interazioni forte, em e debole sembrano indipendenti: hanno sezioni d’urto che differiscono di 12 ordini di grandezza  diverse costanti di accoppiamento La speranza di descrivere queste interazioni con un unico campo unificato, ad alta energia, ricevette verso la fine degli anni ’60 una spinta dalla formulazione GSW (Glashow, Salam, Weinberg) dell’unificazione elettrodebole. Il passo teorico più importante in questa direzione è realizzare che le interazioni fondamentali sono invarianti per trasformazioni locali di gauge Per formulare una teoria di gauge bisogna scrivere una Lagrangiana che descriva la cinematica e le interazioni fra i campi, e sia invariante sotto trasformazioni di simmetria che permettano la conservazione delle quantità rilevanti: carica elettrica, colore, isospin e ipercarica deboli. Queste quantità sono conservate localmente, per non entrare in conflitto con la relatività speciale. La formulazione Lagrangiana ha il vantaggio che dallo studio delle proprietà invarianti di L si arriva naturalmente alle quantità conservate della teoria. La connessione per trasformazioni continue è data dal teorema di Noether.

Reminder: formalismo Lagrangiano Classicamente L=T-V permette, attraverso le equazioni di Eulero-Lagrange, di derivare le equazioni del moto. Facciamo alcuni esempi di densità Lagrangiane che useremo nella costruzione della teoria elettrodebole: : Klein-Gordon Dirac: : Maxwell Dalla densità Lagrangiana estraiamo “regole di Feynman” che ci permettono di scrivere i propagatori (dai termini quadratici nei campi e derivate) e i fattori di vertice della teoria (dagli altri termini). Con questi calcoliamo le ampiezze dei processi da espansioni perturbative attorno allo stato di minima energia.

Invarianza di gauge globale La Lagrangiana di elettrone libero è invariante per trasformazioni U(1) globali e questo implica che per arbitrari valori della fase globale L. Esercizio n.2: dimostrare l’affermazione qui sopra, usando le equazioni di Eulero - Lagrange Ciò implica la conservazione di una densità di quadricorrente e quindi della carica elettrica q, integrando nelle coordinate spaziali e usando il teorema della divergenza:

Invarianza di gauge locale e QED La Lagrangiana di elettrone libero rimane invariante per trasformazioni U(1) locali solo se si introduce una corrispondente variazione nella legge di trasformazione delle derivate del campo fermionico, una derivata covariante definita da e che trasforma come e in cui il campo vettoriale A trasforma come segue: La Lagrangiana che deriva dall’inserimento della derivata covariante D contiene ora un termine di accoppiamento della corrente vettoriale e il campo A: e un termine cinetico Il termine cinetico del campo A è invariante per la trasformazione vista, ma un termine m2AmAm non è permesso perché non trasforma in se stesso: l’invarianza locale di gauge richiede che la carica conservata sia sorgente di un campo vettoriale privo di massa.

Ricordiamo quindi che: Invarianza globale di gauge  conservazione carica elettrica L’imposizione di invarianza locale di gauge per la Lagrangiana di un campo di Dirac forza l’introduzione di una derivata covariante, e un campo di gauge Am associato al fotone. Si ottiene la Lagrangiana di QED Invarianza locale di gauge  introduzione di un campo vettoriale a massa nulla (consistente con il range infinito dell’interazione). Un termine di massa per il fotone romperebbe l’invarianza di gauge per via delle proprietà di trasformazione del campo Am. Questo vale per qualunque bosone vettore. I bosoni deboli non sfuggono alla logica. Se vogliamo invarianza locale di gauge, i bosoni rimangono a massa nulla.

In contrasto con la richiesta formale di bosoni mass-less nella teoria, l’esistenza di correnti deboli cariche mediate da bosoni vettori massivi è necessaria per evitare divergenze nelle sezioni d’urto di scattering. Esempio: ne-e scattering  s prop. a G2s, mentre l’unitarietà dello sviluppo in onde parziali della sezione d’urto (J=1) implica che s sia minore di 1/s  per s>1/G = 90000 GeV2 la sezione d’urto viola l’unitarietà. Invece, se il propagatore del W contiene un termine di massa, esso rende finita la sezione d’urto. Violazione dell’unitarietà nei diagrammi all’ordine più basso e non rinormalizzabilità dei diagrammi ad ordini superiori sono strettamente legate: l’una implica l’altra. In ogni caso, due bosoni W+ e W- non bastano a rendere la teoria consistente: la sezione d’urto del processo di produzione di coppie W W rimane divergente, sia per interazione debole nnW W che e.m. eeW W. n n n e W e e e n

Si può osservare, dalla struttura della teoria, che la divergenza del processo nnW W si può neutralizzare con diagrammi mediati da un bosone neutro massivo Z. Lo Z permette anche di neutralizzare la divergenza del processo elettromagnetico, mediante diagrammi che singolarmente sono divergenti. NB: La predizione di processi con correnti deboli neutre (come lo scattering nm-e), che se mediati da scambio di un solo bosone vettore dovevano avere sezioni d’urto comparabili a quelli con scambio di corrente carica (come ne-e), fu uno dei grandi successi della teoria elettrodebole. Gargamelle vede pochi eventi di interazione di antineutrino-elettrone, su 730,000 fotografie. Sono le prime evidenze sperimentali che il modello GSW è corretto, dopo 6 anni dalla sua pubblicazione...

La cancellazione fra diagrammi con bosoni W e Z è possibile solo se gli accoppiamenti ai leptoni dei bosoni W, Z, g sono di intensità confrontabile: g ~ e. Questa unificazione elettrodebole necessita che W e Z abbiano masse dell’ordine dei 100 GeV. Ciò apparentemente è in conflitto con l’invarianza locale di gauge della Lagrangiana. Vedremo che l’introduzione di un campo scalare h e un meccanismo appropriato risolvono il problema. In più, h permette la convergenza dello scattering W WW W, che rimaneva divergente (anche se in maniera meno severa degli altri processi discussi sopra).

Ma perché insistere con la gauge locale? Sia i fotoni che i gluoni hanno massa nulla, e questo si sposa bene con la struttura delle rispettive Lagrangiane con invarianza di gauge. Per le interazioni deboli, che richiedono bosoni vettori di massa O(100 GeV), questo è invece un problema. Ma perché non dimenticarsi dell’invarianza locale e aggiungere a L termini di massa? Se si fa questo, si finisce in una teoria senza senso, perché ogni quantità calcolabile da essa conterrà divergenze non rinormalizzabili. Esempio: nello scattering fra due elettroni si hanno diagrammi come quello a fianco. Essi contribuiscono all’ampiezza con integrali del tipo Mentre in QED la forma 1/q2 del propagatore dei due fotoni scambiati rende finito l’integrale, per bosoni massivi il risultato diverge, data la costanza del propagatore a q2 grande: Se poi si regolarizza l’integrale introducendo un cut-off, si scopre che altri diagrammi con più loops richiedono altrettanti cut-offs indipendenti. Serve quindi un numero infinito di parametri arbitrari, e la teoria non ha più senso: essa è non rinormalizzabile. e Z q Z e

Rottura spontanea di una simmetria discreta Consideriamo la Lagrangiana Con l>0, essa possiede una simmetria discreta rispetto all’operazione di riflessione f  -f. Se prendiamo m2>0, L descrive particelle a spin 0 e massa m; il termine quartico nel campo dètta l’autointerazione del campo con vertici a 4 particelle, con un auto-accoppiamento di intensità l. Invece, se prendiamo m2<0, non sappiamo come interpretare il termine f2, perché la massa della particella sarebbe immaginaria. La forma del potenziale nei due casi è mostrata a lato. Mentre per m2>0 lo stato f=0 è un minimo, nel caso m2<0 il minimo del potenziale si ha per

Poiché in fisica delle particelle non siamo in grado di calcolare le quantità fisiche esattamente, ma dobbiamo ricorrere a espansioni perturbative (per calcolare le ampiezze con le regole di Feynman) attorno a un minimo del potenziale, è opportuno operare una traslazione del campo attorno al minimo: Si ottiene allora una nuova forma per L (che descrive la stessa fisica!): Questa Lagrangiana ha un termine di massa del segno corretto per la fluttuazione h(x), mentre i termini di ordine superiore in h rappresentano le autointerazioni del campo. La massa del campo scalare è ricavabile dal termine quadratico: Abbiamo quindi scoperto che nel caso m2<0 L e L’ rappresentano in effetti un campo scalare massivo. In teoria delle perturbazioni L’ fornisce risultati sensati, mentre L no, perché espansioni perturbative attorno a f=0 non convergerebbero

Alcune considerazioni sulla “rottura” di simmetria La traslazione operata nel campo, che trasforma L in L’, rende nascosta la simmetria: intorno al punto di minima energia L’ non è più invariante per trasformazioni f-f. E’ la presenza di una degenerazione nello stato di vuoto che rende arbitraria la scelta di esso, e di conseguenza nasconde la simmetria originale di L. Tuttavia per valori grandi dell’energia (rispetto alla massa del campo), la teoria ritorna ad avere la sua simmetria per riflessione: in quel caso, la massa della fluttuazione quantistica h(x) non è più rilevante per determinare la fisica, e la simmetria ritorna ad essere apparente. Vi sono in natura diversi sistemi che manifestano lo stesso meccanismo. Sono tutti esempi della stessa situazione: casi in cui è energeticamente favorevole per lo stato fondamentale avere un valore non nullo di un campo. Ferromagneti infinitamente estesi: ground state non simmetrico, L simmetrica Flessione di un chiodo di plastica: L simmetrica, flessione no reticoli cristallini

Una nota sull’energia del vuoto Consideriamo V(f) = ½ m2f2 + ¼ lf4 : i due minimi degeneri si trovano a V<0. Con l’aggiunta di una costante (che non cambia l’equazione dei campi!) si può riscrivere V in modo che il vuoto si trovi a V’=0: V’(f) = ¼ m4/l + ½ m2f2+ ¼ lf4 = ¼ l(f2+m2/l)2. Notare che per le equazioni del moto conta la derivata del potenziale... Dai dati sull’espansione dell’universo, l’energia del vuoto è sì negativa, ma estremamente piccola rispetto al valore indicato da V, che per l=1, m=1 GeV vale 1041 GeV/cm3 (da confrontare con 10-6 GeV/cm3 che è la densità di energia media dell’universo). In fisica delle particelle possiamo benissimo decidere di considerare V’ invece di V. In generale vi sono diversi contributi all’energia del vuoto da fluttuazioni virtuali di ciascun campo, dalla loro energia potenziale, e anche una costante cosmologica. Tutti questi contributi sono enormemente più grandi in valore assoluto del valore misurato. Che si combinino per dare un numero così vicino a zero è quantomeno sospetto. Questo è detto “cosmological constant problem”.

Note addizionali sul valore del potenziale nello stato di minima energia Se non fosse per la gravità, il potenziale potrebbe essere traslato senza problemi. Tuttavia, uno dei postulati della relatività generale è che la gravità interagisca con ogni forma di energia e momento, e quindi anche con l’energia del vuoto. Ciò distingue il valore assoluto del potenziale! Solo per la gravità questo è vero. Quindi ogni manifestazione sperimentale di una costante cosmologica è attraverso la sua interazione gravitazionale. Se calcoliamo ad esempio l’effetto di una densità di energia del vuoto di 1092 g/cm3, troviamo che la radiazione di fondo si sarebbe raffreddata sotto 3K nei primi 10-41 secondi dopo il Big Bang. La piccolezza dell’energia del vuoto è un problema aperto in cosmologia.

Simmetrie esatte, nascoste, e rotte A seconda della dinamica della teoria, le simmetrie della funzione L possono manifestarsi in molti modi diversi. Una simmetria di L rimane una simmetia della fisica che ne ha origine. Esempi sono SU(3) di colore o U(1) elettromagnetica La simmetria di L è solo apparente, perché in realtà essa ha un’anomalia. U(1) assiale è un esempio nello SM. Un’anomalia avviene quando una simmetria delll’azione non è una vera simmetria della teoria quantistica corrispondente. Non ce ne occupiamo in questo corso (a parte un accenno nell’introduzione al top quark). La simmetria di L può essere rotta esplicitamente da termini non invarianti. Un esempio è la simmetria di Isospin SU(2) tra u e d, che è rotta dall’elettromagnetismo e dalla differenza di massa dei due quarks. E’ una simmetria approssimativa. La simmetria di L può infine essere nascosta, ovvero l’operazione può lasciare L invariante ma modificare lo stato fondamentale. In questo caso non è apparente la simmetria nello spettro degli stati fisici. Ci sono due modi in cui questo può accadere: Uno o più campi scalari acquistano valori diversi da zero nel vuoto: si tratta di rottura spontanea di simmetria, il cui esempio più lampante è SU(2)L rotta dal campo di Higgs nelle interazioni deboli Quando sono effetti quantistici non presenti nella Lagrangiana classica a rompere dinamicamente la simmetria, non si osservano corrispondenti campi scalari. Un esempio è la rottura della simmetria chirale di QCD, SU(2)LxSU(2)R.

Il teorema di Goldstone Consideriamo ora un campo scalare complesso e dunque la forma L è in questo caso invariante per una trasformazione di fase globale feiaf : possiede una simmetria per trasformazioni U(1) e la fisica non dipende da a. Prendiamo l>0, m2<0 ed esplicitiamo la dipendenza di L dalle componenti reale e immaginaria di f: Si vede che in questa formulazione il potenziale V(f) ha un minimo per tutti i valori del campo tali che f12+f22 = v2 = -m2/l . Questa volta abbiamo un’infinità continua di minimi per V, organizzati in una circonferenza di raggio v attorno a f=0. Come nel caso scalare reale, ci troviamo nella necessità di scegliere un valore del minimo attorno al quale operare i calcoli perturbativi per estrarre la dinamica di f da L.

f(x) = [v+h (x)+ix (x)]/2½ Scegliamo espansioni intorno al vuoto f1=v, f2=0 scrivendo f(x) = [v+h (x)+ix (x)]/2½ e sostituiamo l’espressione in L. Otteniamo una nuova forma L’: ove si sono espressi in forma concisa i coefficienti nei termini di autointerazione dei campi. Espressa con x e h L’ possiede due termini cinetici ma un termine di massa solo per h: Il campo x tangenziale alla circonferenza di minimo potenziale non incorre in resistenza dal potenziale per piccole oscillazioni intorno al minimo (v,0), e rimane a massa nulla. E’ la presenza di una degenerazione dello stato di vuoto a mantenere nulla la sua massa. La rottura della simmetria di L ha apparentemente avuto un effetto nefasto, in quanto oltre al campo massivo h che volevamo generare, compare uno scalare massless, x. x è detto bosone di Goldstone. f1

Il caso considerato è solo un caso particolare di un teorema generale, il teorema di Goldstone: la rottura spontanea di una simmetria continua genera bosoni scalari a massa nulla.  Esercizio n°3: dimostrare che la Lagrangiana per tre campi scalari interagenti descrive un campo scalare massivo e due campi scalari a massa nulla. (Hint: trovare l’espressione del minimo del potenziale, e scegliere opportunamente il valore del campo nei dintorni del vuoto.) Quanto visto sembra implicare che la strada che stiamo percorrendo per dotare la nostra teoria elettrodebole di bosoni massivi è destinata a fallire, in quanto oltre ai bosoni massivi si generano campi scalari a massa nulla che non si osservano in natura: non esistono particelle scalari a m=0! Tuttavia, vedremo che succede qualcosa di diverso quando si applica il meccanismo di Goldstone alla Lagrangiana SU(2)xU(1) del modello elettrodebole.

Il meccanismo di Higgs Il modello di Goldstone ora visto si può dotare dell’interazione elettromagnetica tenendo presente il principio di gauge e passando a una simmetria U(1) locale: Prendendo lo stato di vuoto in (v,0) e scegliendo l’espansione la Lagrangiana diventa C’è una difficoltà rispetto a prima: il campo scalare h ha ora massa (2lv2)1/2 , x è rimasto a massa nulla, e il campo di gauge Am ha massa qv: questo corrisponde a un grado di libertà in più rispetto alla Lagrangiana di partenza! In più, il termine che mescola A e la derivata di x ci suggerisce che non stiamo guardando gradi di libertà ortogonali fra loro (in teoria dei campi questo termine permette la transizione A  x durante la sua propagazione). Il grado di libertà in più è fittizio: una scelta dello stato di vuoto non introduce nuovi gradi di libertà! Il campo x è in effetti irrilevante per la fisica, e possiamo scegliere un particolare forma per la trasformazione di gauge che lo elimini.

il che significa che dobbiamo avere Scriviamo allora il campo nella forma modulo*exp(fase), invece che nella forma solita v+h+ix: Se ora applichiamo al campo una gauge locale U(1) abbiamo Da ciò segue che per mantenere invarianza di gauge, le fluttuazioni H’ e q’ trasformano come: E’ quindi chiaro che scegliendo la fase (chiamata gauge unitaria) abbiamo q’(x)=0. I bosoni di Goldstone corrispondono ai quanti del campo q(x): attraverso la scelta della gauge, li abbiamo eliminati dallo spettro della teoria! il che significa che dobbiamo avere NB: nel caso del campo scalare complesso con L invariante per U(1) globale eia, nessuna scelta della fase costante a può cancellare Il campo x(x), qui invece la simmetria per fasi L(x) dipendenti da x ce lo permette!

possiamo allora riscrivere la Lagrangiana: E’ chiaro che i bosoni di Goldstone sono “oscillazioni” nel parametro che distingue diversi stati di vuoto: la fase qL(x). Scegliendo la gauge unitaria abbiamo rimosso il grado di libertà non voluto. Usando le regole di trasformazione del campo scalare e del campo di gauge per U(1) locale, con la scelta della fase vista sopra: possiamo allora riscrivere la Lagrangiana: Come promesso, L non contiene traccia della fase q(x). La trasformazione di L in una forma che esplicita il trasferimento di gradi di libertà associati a bosoni di Goldstone a componenti longitudinali di bosoni vettori è noto come meccanismo di Higgs. Quello visto sopra è il caso U(1). L ora contiene due campi interagenti: uno scalare massivo H, e un vettore massivo A. Siamo sulla buona strada... 4 gradi di libertà il termine misto è scomparso

Trasformazioni SU(2) e Yang-Mills Per introdurre il modello standard conviene prendere in considerazione due campi di Dirac che trasformino come un doppietto per una simmetria interna SU(2) di isospin. Richiediamo che la Lagrangiana sia in variante per trasformazioni SU(2) locali infinitesime: I generatori di SU(2) non commutano (il gruppo non è abeliano): In analogia con la QED possiamo richiedere la gauge invarianza locale usando derivate covarianti: I campi W devono trasformare come segue: Il termine cinetico dei campi contiene ora un’autointerazione dei W, in quanto La Lagrangiana è invariante per SU(2) locali ma non ammette un termine di massa per i W. Le teorie di Yang-Mills richiedono l’esistenza di campi vettoriali a massa nulla. A noi serve una teoria di YM, ma dobbiamo generare una massa per i bosoni vettori deboli...

Il meccanismo di Higgs in SU(2) Prendiamo allora in considerazione la rottura spontanea della simmetria locale di gauge del gruppo SU(2)L. Questo gruppo non è scelto a caso, ma è il punto di arrivo dell’indagine di Glashow, Salam e Weinberg per inserire in una teoria di gauge i bosoni vettori massivi W. Il fotone arriverà includendo U(1)... Si parte da una Lagrangiana che descrive un doppietto di campi scalari: 4 gradi di libertà. Ci servono 3 di questi per dotare i bosoni vettori della teoria GSW di massa… Scriviamo i campi come segue: Sotto una trasformazione SU(2) globale dei campi f, L è chiaramente invariante. Per renderla localmente invariante introduciamo un parametro di gauge L(x) e rimpiazziamo la derivata con una covariante: Wj è un tripletto di campi di gauge e per rotazioni infinitesime di SU(2) trasforma come segue:

L’ultimo termine rappresenta l’energia cinetica dei campi di gauge, Con l’introduzione della derivata covariante, la Lagrangiana gauge-invariante diventa L’ultimo termine rappresenta l’energia cinetica dei campi di gauge, prodotto dei tre tensori Wmn: Siamo interessati a condizioni di vuoto degeneri, per cui se ora poniamo come al solito l>0, m2<0, il potenziale ha un minimo in Scegliamo ora f32=v2, “nascondendo” la simmetria SU(2) nello stato di vuoto. Possiamo allora espandere il campo nell’intorno del vuoto scelto, scegliendo una fase tale che Rappresenta una circonferenza in 4 dimensioni Questa scelta, come al solito, nasconde la simmetria.

Il meccanismo per far quadrare i conti è lo stesso di quello visto nel caso U(1): possiamo scegliere la direzione degli assi di isospin in ogni punto x dello spazio-tempo per allineare f(x) lungo la direzione scelta, effettuando una rotazione SU(2) diversa a seconda di x. Il campo, scritto nella forma “esponenziale * fase”, può essere ridotto scegliendo la gauge in funzione di x, come visto prima. Inserendo nella Lagragiana l’espansione di f intorno al vuoto, si arriva dopo un po’ di conti a: E’ chiaro che L descrive un campo massivo con mH=(2lv2)½ e tre campi di gauge massivi con mW= ½ gv.

La Lagrangiana del Modello Standard Il passo finale per scrivere una Lagrangiana delle interazioni elettrodeboli con tre bosoni vettori massivi e un fotone a massa nulla consiste nel considerare il gruppo SU(2)LxU(1)Y e richiedere l’invarianza di gauge locale indipendentemente ai due sottogruppi. Per campi fermionici L si scrive allora In questa formulazione tutti i campi hanno ancora massa nulla. Termini di massa per i fermioni rompono anch’essi l’invarianza di gauge di SU(2)L. Aggiungendo a L i termini relativi a un doppietto di scalari complessi in forma di doppietto di isospin debole con ipercarica Y=+1, con la derivata covariante e scegliendo il vuoto e la sua espansione come al solito, troviamo che la Lagrangiana dei campi bosonici contiene ora i termini (NB: qui )

I campi W3 e B sono mescolati dalla scelta della gauge unitaria I campi W3 e B sono mescolati dalla scelta della gauge unitaria. Possiamo disaccoppiarli con la combinazione lineare dove abbiamo anche definito tan(qW)=g’/g. Con questa sostituzione si trova (sempre trascurando i termini di interazione): La rottura di SU(2)xU(1) ha dato vita precisamente allo spettro che volevamo: un bosone scalare massivo, due W e una Z massivi, e un fotone a massa nulla. All’inizio avevamo 8 gradi di libertà dai bosoni vettori e 4 dal doppietto scalare U(1) con Y=1, lo scalare di Higgs. Ora abbiamo tre bosoni massivi (3x3=9 gradi di libertà), uno massless (2 g.l.) e un bosone scalare di Higgs. I conti tornano! Con la scelta Y=1 per il doppietto scalare di Higgs, esso ha due componenti, una carica (Q=1) a I3= ½ e una neutra (Q=0) a I3=- ½ perché Q=I3+Y/2. E’ chiaro che solo la componente neutra può assumere un v.e.v. non nullo – le fluttuazioni del vuoto non generano carica!

E il termine di interazione... La parte di interazione fra fermioni e campi vettoriali, introdotta dalla derivata covariante, si può scrivere in forma compatta come Il disaccoppiamento dei termini di campo neutri W3, B avviene attraverso la rottura di simmetria, che li mescola in una combinazione lineare massless (il fotone) e una massiva (lo Z): qW , introdotto da Glashow, è detto angolo di Weinberg, sin2qW=0.23 . Dal termine di interazione otteniamo: Si vede quindi, dato che Q=I3+Y/2, che la corrente elettromagnetica che otteniamo è consistente con quella che conosciamo dalla QED se poniamo termine della corrente debole neutra

Considerazioni aggiuntive Possiamo trovare una simmetria residua del vuoto, descritta da un sottogruppo del gruppo SU(2) LxU(1)Y ? In tal caso il bosone di gauge associato rimane a m=0, come sempre. In effetti se applichiamo Q allo stato di vuoto troviamo Qf0=(I3+Y/2) f0=0 per cui il vuoto che abbiamo scelto è effettivamente invariante per una U(1) locale generata da Q: Dei quattro generatori I e Y, solo la combinazione Q lascia il vuoto invariante. U(1)Q è un sottogruppo di SU(2)LxU(1)Y. Il fatto che il fotone rimanga a massa nulla non è una previsione del modello, ma è implicita nella scelta di uno stato di vuoto a carica nulla.. Usando la massa MW= ½ gv, e il valore misurato della costante di Fermi e della costante di struttura fine, troviamo: La massa del bosone di Higgs dipende dal parametro lambda, e non è prevista dal modello. Vedremo che v è curiosamente vicino a 2½ Mtop più avanti…

La massa dei fermioni La Lagrangiana dei campi di Dirac non ammette termini di massa per i fermioni, se si vuole mantenere l’invarianza di gauge. Per campi di Dirac i termini di massa sono scrivibili come Se ricordiamo le assegnazioni di isospin e ipercarica debole: vediamo che il doppietto scalare scelto per descrivere il campo di Higgs ha proprio i valori “giusti” per accoppiare fermioni left e right: Possiamo allora aggiungere alla Lagrangiana il termine gauge-invariante H(I= ½,Y=1) eL(I= ½,Y=-1) eR(I=0,Y=-2)

Scegliendo il vuoto e le sue fluttuazioni come al solito, la Lagrangiana viene a contenere termini del tipo ove è facile identificare con la massa dell’elettrone il termine In L notiamo anche il termine di accoppiamento di H al campo fermionico: esso è proporzionale alla massa del fermione. Questo fatto è importante per capire la fenomenologia del bosone di Higgs (lo vedremo più avanti). Va notato che il meccanismo di Higgs, che ci è servito a dotare di massa i bosoni vettori W e Z – ottenendo una teoria rinormalizzabile e coerente – ci “regala” automaticamente termini di massa anche per i fermioni. Assieme a questi abbiamo dovuto comprare anche i termini di accoppiamento, che infatti sono proporzionali a m (m=0  zero accoppiamento) Tuttavia, i valori delle masse sono arbitrari, e rimangono parametri della teoria.

Una rivisitazione delle divergenze Il meccanismo di Higgs è un metodo elegante per introdurre bosoni massivi nella teoria, ma non sarebbe obbligatorio se non fosse per la rinormalizzabilità della teoria Abbiamo già notato come i processi di scattering di neutrino su elettrone siano divergenti se non si include lo scambio di un bosone massivo W L’introduzione dei W a sua volta comporta problemi, in quanto si dimostra che lo scattering neutrino-W (un processo praticamente impossibile da generare, ma teoricamente lecito) diverge. Serve un altro diagramma con scambio di Z per rendere la somma convergente! La soluzione non è unica, ma l’arrangiamento dei bosoni deboli in una struttura gruppale SU(2) è elegante e economica Lo scattering WWWW mostra come il bosone di Higgs entra direttamente in gioco rendendo convergente il processo. Senza un bosone scalare H accoppiato ai W non ci sarebbe rinormalizzabilità della teoria GSW!

Masse e accoppiamenti Quanto visto sopra per i termini di massa dei leptoni carichi si può estendere ai quarks: le masse di questi dipendono anch’esse dal valore di v e da costanti incognite g. In termini del v.e.v. del campo di Higgs, sviluppando il termine quadratico negli spinori le masse dei fermioni si scrivono mf = 2-½ gfv. I valori degli “accoppiamenti di Yukawa” gf dell’Higgs ai fermioni coprono un vasto range di valori: Il Modello Standard non solo non predice il valore dei parametri g, ma non ne spiega l’ampio range. Inoltre, la quasi esatta coincidenza di gt con 1 è un’osservazione di grande interesse…

Esercizio per casa n°5 Partendo dalla parte di interazione nel termine cinetico del campo scalare espresso per mezzo della derivata covariante SU(2)xU(1): sostituire il campo scalare nell’intorno del vuoto , arrivando ad esprimere i termini di massa e di interazione per mezzo degli stati ruotati relativi ai bosoni fisici W+,W-,Z, e ottenere i termini di massa e accoppiamenti del W,Z, e fotone. Commentare sulle intensità relative e la presenza o assenza di termini relativi agli accoppiamenti fra queste particelle, e le implicazioni. Ricordando che le larghezze sono proporzionali al quadrato degli accoppiamenti al vertice, usare i valori ottenuti per prevedere il rapporto fra le larghezze di decadimento (Hint: il termine da sviluppare è usando anche: e le relazioni fra A,Z e B,W3)