Biosensori vs. “Biorimediatori” II-Biorimediatori Pseudomonas sp., Rhodococcus, Sphingomonas, Mycobacterium, Rhizobium, batteri non identificabili e/o consorzi microbici. Devono essere in grado di degradare in maniera consistente le sostanze inquinanti di interesse Devono essere attivi “in situ”, cioè nell’ambiente naturale Devono persistere nell’ambiente senza turbarne la biodiversità Devono possedere attività biodegradativa endogena (non essere geneticamente modificati, a meno che possa essere contenuta la loro dispersione nell’ambiente)
Bioremediation Trattamento preventivo: abbattimento di prodotti tossici in bioreattori Biorisanamento da inquinamento “cronico”; deposizione/dispersione nell’ambiente di prodotti inquinanti su lunghi periodi (es. scarichi industriali) Biorisanamento da inquinamento “acuto”; scarico di quantità insolitamente alte di prodotti tossici nell’ambiente; catastrofi ecologiche
Bioremediation Trattamento preventivo: abbattimento di prodotti tossici in bioreattori Biorisanamento da inquinamento “cronico”; deposizione/dispersione nell’ambiente di prodotti inquinanti su lunghi periodi (es. scarichi industriali) Biorisanamento da inquinamento “acuto”; scarico di quantità insolitamente alte di prodotti tossici nell’ambiente; catastrofi ecologiche
Bioreattori a scopo preventivo: la situazione più “controllabile” Esempio: liberazione di grandi quantità di mercurio per la produzione di cloro elementare per la sintesi di PVC e altri polimeri Il rilascio di Hg nell’ambiente porta ad un accumulo di sali organici di Hg2+ (metilmercurio) nella catena alimentare
Primi sintomi: Infiammazione delle gengive e delle mucose Tossicità del metilmercurio Primi sintomi: Infiammazione delle gengive e delle mucose Esposizione cronica: Irritabilità, depressione, perdita di memoria, incapacità di concentrarsi Danni irreversibili: collasso del sistema nervoso; tremori, perdita di coordinazione nel movimento, incapacità di orientarsi. Ritardo mentale nei bambini, malformazioni nei feti. Concentrazioni crescenti di CH3Hg+
Diversi microrganismi dispongono di sistemi di detossificazione (riduzione) del Hg2+ Riduzione MerR-dipendente in E. coli e P. putida
Vasche per riduzione chimica del Hg2+ * Bioreattore ** Neutralizzazione Acque di scarico *) Riduzione chimica: rese 80-90% di eliminazione di Hg2+ **) Bioreattore: resa di eliminazione del Hg2+ residuo del 95-99% biofilm Filtro biofilm
Bioremediation Trattamento preventivo: abbattimento di prodotti tossici in bioreattori i bioreattori consentono l’utilizzo di speci batteriche definite (o addirittura ingegnerizzate: es. overespressione di un operone degradativo) e la possibilità di scegliere condizioni “da laboratorio”: temperatura, terreni di coltura, ecc.
Bioremediation Trattamento preventivo: abbattimento di prodotti tossici in bioreattori Biorisanamento da inquinamento “cronico”; deposizione/dispersione nell’ambiente di prodotti inquinanti su lunghi periodi (es. scarichi industriali) Biorisanamento da inquinamento “acuto”; scarico di quantità insolitamente alte di prodotti tossici nell’ambiente; catastrofi ecologiche
Bioremediation La natura è il miglior medico di sé stessa ? Biostimolazione contro bioaugmentazione
Bioremediation La natura è il miglior medico di sé stessa (?) Biostimolazione: Microrganismi in grado di degradare o inattivare sostanze inquinanti sono già presenti in natura (particolarmente se l’ambiente ha già ricevuto basse concentrazioni di inquinanti su lunghi periodi) Un accumulo di sostanze inquinanti risulta in uno sbilanciamento del rapporto tra elementi nutrizionali che va ristabilito (es.: eccesso di C da inquinamento di idrocarburi va controbilanciato da aggiunta di N e P nell’ambiente)= fertilizzazione.
Bioaugmentation Trattamento di sostanze inquinanti “in situ” con ceppi non indigeni (es. overproduttori di vie degradative): Sebbene questo approccio sia stato promettente in laboratorio, non ha sempre dato buoni risultati “sul campo”. Impossibilità di controllare: Temperatura (variazioni stagionali e di zona climatica: nel terreno da <0° a >45°) Terreno di coltura: quasi esclusivamente oligotrofico Predazione: batteriofagi/batteri in rapporto 10:1 nelle acque marine; presenza di protozoi, nematodi, competizione da batteri “indigeni” Capacità di aderire al substrato: la formazione di biofilm consente una stabilità delle colonie batteriche ed una prolungata azione di biorisanamento
Un caso di inquinamento ambientale affrontato sperimentalmente: rilascio accidentale nell’ambiente di atrazina (un pesticida)
Il primo passaggio della via metabolica consente un’immediata detossificazione del prodotto
Problematica di utilizzo di organismi geneticamente modificati in processi di bioaugmentazione Capacità dei microrganismi di sopravvivere nell’ambiente e di portare a termine la loro funzione Stabilità del materiale genetico Potenziale per il trasferimento di geni di resistenza agli antibiotici e/o di degradazione dell’atrazina Contenimento della dispersione di organismi geneticamente modificati nell’ambiente o loro distruzione
Bioaugmentation come arricchimento di ceppi degradativi dalla comunità batterica indigena: “l’alternativa naturale” 1. Arricchimento in laboratorio su terreni addizionati della sostanza inquinante di interesse Prelievo da sito contaminato Crescita in terreno supplementato con atrazina Re-inoculo del sito da risanare 2. Identificazione delle speci in grado di crescere in presenza di sostanze inquinanti e di promuoverne la degradazione (in laboratorio o in situ)
Metodi di identificazione dei microrganismi Coltivazione in terreno selettivo (con successivi test biochimici) Determinazione di strutture specifiche - Anticorpi che riconoscano antigeni specifici Amplificazione e determinazione del materiale genetico (DNA, RNA) - PCR (o RT-PRC) di frammenti specifici di DNA ( o RNA) visualizzazione su gel Ibridazione con sonde specifiche marcate - Ibridazione nella cellula (FISH, 16S rRNA) Microrganismi ambientali spesso non-coltivabili in laboratorio (o presenti solo in consorzi metabolici) (VBNC= viable but not culturable)
Un metodo di tassonomica batterica: omologia di sequenza dei geni codificanti l’RNA della subunità maggiore del ribosoma (16S) La struttura del ribosoma è estremamente conservata in tutti gli organismi viventi e questa conservazione si riflette nell’alta omologia di sequenza ma: Regioni costanti Regioni variabili
Le tecniche di identificazione molecolare consentono di identificare un batterio anche senza doverlo isolare e crescere in laboratorio: Identificazione del metagenoma (=insieme dei genomi dei componenti della comunità batterica) FISH: FLUORESCENT IN SITU HYBRIDIZATION
FISH: Variabilità delle sequenze del 16S ribosomale http://www.silk.uia.ac.be/varmaps Le regioni del 16S presentano alternanza di sequenze altamente conservate e sequenze variabili, conservate però all‘interno di batteri vicini da un punto di vista tassonomico
A) Primers B) Ibridazione C) Valutazione Passaggi di un procedimento di FISH: Fissazione delle cellule batteriche Trattamento con sonde marcate Incubazione e legame con sequenze bersaglio Lavaggio per rimuovere sonde legate non specificamente Misaurazione della fluorescenza e valutazione dei risultati
I primers per una reazione di FISH vengono scelti così da riconoscere: Tutti gli Organismi Gruppi tassonomici specifici Singoli organismi Sonda „A“ Sonda „B“
La velocità e la precisione del metodo FISH gli hanno garantito un immediato successo; Applicazioni in diagnostica, monitoraggio di processi industriali ed ambientali Batteri Batteri lattici Lactobacillus brevis Identificazione di batteri lattici nell’ambito di produzione della birra: Sonde specifiche per il genere (Lattobacilli, rosso) e per il contaminante Lactobacillus brevis (acidificante)
Amplificazione di segmenti di DNA nella regione conservata del DNA 16S PCR (polymerase chain reaction) Target Gene 1 2 3 1 2 3 DNA schmelzen DNA-sintesi Ibridazione con sonde specifiche per l’amplificazione di regioni variabili del 16S Il DNA 16S è estremamente conservato tra i batteri: In speci diverse si trovano frammenti di lunghezza identica
Il metodo DGGE (Denaturing Gradient Gel Electrophoresis) Gel d‘agarosio con prodotti di PCR in condizioni non denaturanti (il DNA resta nativo in doppia elica ed i prodotti da diversi campioni hanno identico peso molecolare) DGGE Gel: permette la risoluzione di molecole di Dna con differenze di 1-2 nt Sequenze ricche in A/T (prime a denaturarsi) Gradiente di urea Frammenti con identica grandezza vengono separate in base alla loro sequenza Sequenze ricche in G/C Ogni banda corrisponde ad una sequenza di Dna ribosomiale specifica e quindi, presumibilmente, ad uno specifico microrganismo
TRFLP= Terminal restriction fragment length polymorphism; Variazioni nella popolazione microbica indigena possono essere identificate a livello molecolare TRFLP= Terminal restriction fragment length polymorphism; permette la separazione di frammentidi DNA 16S su gel denaturante in base alla posizione di specifici siti per enzimi di restrizione Campioni presi da diverse aree di terreno Aree non contaminate Aree contaminate da cloroalcani