L’America del cinematografo

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L’America del cinematografo L’avvento del cinema nella società americana dai nickelodeon allo studio system.

Il teatro da 5 cents Pittsburgh 1955, 50° anniversario dell’apertura del primo Nickelodeon americano allo Smithfield Street movie house. Nel giugno del 1905, a Pittsburgh, Pennsylvania, John Paul Harris, noto impresario del vaudeville, trasforma alcuni hangar in una sala destinata alla proiezione continua di brevi spettacoli della durata media di 20\30 minuti, facendo pagare al pubblico un solo nichelino. Nascono così i Nickelodeon, i “teatri da 5 cents”. Interno del nickelodeon aperto da Harris

Il teatro da 5 cents La proiezione in un vagone\cinema (Hale’s tour) Lo spettacolo cinematografico delle origini ha un carattere disorganico ed eterogeneo ed è principalmente uno “spettacolo da fiera”. Le proiezioni avvengono nei luoghi del divertimento popolare per eccellenza, come luna park, circhi, musei delle cere, Hale’s tour (i celebri treni\cinema) e penny arcades (locali pubblici attrezzati con fonografi e cinetoscopi azionabili al costo di un penny).

Il teatro da 5 cents I nickelodeon, realizzati soprattutto da ex lavoratori del circo, imbonitori,venditori ambulanti e impresari teatrali, rimpiazzano rapidamente i contesti precedenti. Il loro numero cresce in maniera considerevole in pochi anni. Nel 1908, sono attive circa 10.000 sale e tutte le settimane vanno al cinema 26 milioni di persone su una popolazione di 92.

Il teatro da 5 cents «Un nome vistoso a luci elettriche, un interno da pseudoteatro dell’opera e la musica del piano come accompagnamento al film erano gli elementi costitutivi delle nuove sale di cinema. Il primo nickelodeon con 96 posti a sedere e un biglietto di ingresso di 5 cent illustrava così i suoi elementi di richiamo: spettacoli della durata media fra i 20 e i 30 minuti si susseguivano ininterrottamente (…) gli introiti complessivi superavano i mille dollari settimanali, indicando una media d’affluenza superiore al 90 per cento rispetto alla capienza». (W.F. Hellmith jr., L’industria cinematografica americana, Marsilio, Venezia 1982)

Quel pubblico “bifolco”… Nel primo decennio del Novecento, i fenomeni di immigrazione e urbanizzazione assumono proporzioni enormi. Milioni di persone provenienti dalle campagne e dal Vecchio Continente si riversano nelle grandi città degli Stati Uniti, in quartieri etnicamente omogenei. L’America diventa una babele linguistica composta in gran parte da ex contadini di alfabetizzazione precaria. Per questa umile gente immersa in una sconcertante società industriale, complessa, il cinema rappresenta un luogo di scambi e d’incontri, di socialità popolare, ma anche un contatto diretto con la cultura del Nuovo Mondo.

Il teatro da 5 cents I Nickelodeon offrono spettacoli visivi, che non frappongono barriere linguistiche alla comprensione. Le prime produzioni statunitensi, infatti, mostrano azioni, continui inseguimenti, poche e semplici didascalie, gag grossolane. Non solo, ma permettono, ad un costo irrisorio, una rapida e “divertente” americanizzazione. Armeni, Russi, Irlandesi, Italiani, Cinesi, Messicani, Indiani affollano i fumosi e maleodoranti locali di periferia. Grazie a quel pubblico, il più multietnico e analfabeta del mondo, il “cinema americano nasce mondiale”.

Il teatro da 5 cents “Il cinema, nei primi anni del secolo, irruppe come un’autentica allucinazione nella vita del sottoproletariato, e, sostituendo concerti e teatro, diventò a un tempo il suo principale piacere e uno dei più forti fattori del suo sviluppo culturale.” (Robert Roberts, The Classic Slum: Salford Life in the First Quarter of the Century, Penguin Books, Harmondsworth 1973 ) “Il cinema negli Usa ha un significato particolare. Nel momento (inizi del Novecento) e nel modo (muto) in cui appare, rappresenta una formidabile koiné, decisiva per amalgamare le moltitudini che la Grande Emigrazione di fine secolo aveva spostato nelle metropoli nordamericane.” (Umberto Dante, L’utopia del vero nelle arti visive, Meltemi, Roma 2002)

Nell’America rurale e puritana la “gente dabbene”, il pubblico di estrazione borghese disdegna i luoghi del divertimento cinematografico, considerandoli ambienti pericolosi e incivili, e continua a preferire gli spettacoli più “decorosi” del vaudeville.

Il teatro da 5 cents L’affinità tra il nuovo mezzo e le classi popolari è talmente forte da causare una vera e propria ghettizzazione del cinema, che resta invischiato nell’immagine di esclusiva occasione “di corruzione, di ozio e di istupidimento collettivo”.

Noi, quelle ombre sullo schermo Nonostante l’evidenza della nuova tipologia di pubblico, gli autori di film continuano essenzialmente a rivolgersi agli spettatori del vaudeville, che invece si guardano bene dall’avventurarsi nelle nuove sale specializzate. Un gran numero di pellicole pretende, infatti, di intervenire “educativamente” sulla massa di “bifolchi” appena approdata in città. Non solo: presenta il suo spettatore principale, l’immigrato, come lo “straniero”, l’Altro assoluto, disegnando sullo schermo un’immagine negativa e ideologicamente viziata.

In Hot Mutton Pies (Biograph, 1902), per esempio, un cinese, all’angolo della strada, vende pasticci di carne apparentemente di montone. I clienti, dopo aver scoperto che in realtà sono fatti di carne di gatto, lo rincorrono. La didascalia recita “questa gente mangia proprio di tutto”. In Skyscrapers (Fred A. Dobson, 1906) un immigrato italiano rissoso, perverso e traditore, “Dago” Pete, si vendica del suo caporeparto colpevole di averlo licenziato, dopo aver provocato una lite. L’operaio disonesto ordisce un intrigo ma naturalmente alla fine del film viene punito, ristabilendo l’ordine e la verità.

In un altro film dell’epoca, The Heathen Chinese and the Sunday School Teachers (Biograph, 1904) alcuni cinesi, obesi gestori di una lavanderia e assidui frequentatori di una fumeria d’oppio, subiscono un tentativo di “umanizzazione” da parte di alcune insegnanti di catechismo. Secondo Noel Burch, il film si iscrive nello spazio ideologico del vaudeville, proprio perché mette in ridicolo lo stesso tentativo pedagogico, giudicato impossibile dalla upper class statunitense: «Questa gente non potrà mai essere come noi».

Ispezioni della polizia americana ad Ellis Island. “Se è vero che il cinema veniva generalmente considerato il passatempo dell’operaio, è meno noto il fatto che all’operaio il cinema si rivolgeva assai più per necessità che per scelta (…) Lo scandalo è che chi faceva il cinema avrebbe fatto volentieri a meno di questo supporto – e i meno entusiasti, in questo senso, erano proprio gli esercenti immigrati, per i quali le sale costituivano un modo di uscire dal ghetto. L’eterna rimostranza degli esercenti contro il loro pubblico – una rimostranza che ricorreva con monotona regolarità sulla stampa di categoria, nella corrispondenza personale e anche davanti alle commissioni parlamentari – era che quel pubblico, nel suo insieme, mancava di classe” Russell Merritt, Nickelodeon Theater 1905-1914: Building an Audience for the Movies, University of Wisconsin Press, Madison 1976)

Zukor e gli altri Adolph Zukor, immigrato ungherese, fondatore e primo presidente della Paramount, cominciò la sua carriera nel cinema a Brooklyn, come esercente di un nickelodeon. “Mi ritrovavo sulle spalle quattordici sale e dovevo risolvermi o a dichiarare bancarotta, o a cambiare radicalmente musica. Decisi di cambiare musica e di continuare”.

Per migliorare la qualità del loro pubblico, Zukor e gli altri proprietari intervennero in maniera significativa. Costruirono cinema più confortevoli e lussuosi nello stile dei country club borghesi, spesso a fianco di un grande magazzino o vicino ad una scuola. In questo modo le donne che facevano spese, o che andavano a prendere i figli, potevano entrare e vedere lo spettacolo.

Scrive a tal proposito Russell Merritt: «Per un’attività che aspirava soprattutto ad essere rispettabile, la donna delle classi medie rappresentava la rispettabilità incarnata. La sua sola presenza nelle sale serviva a confutare le veementi accuse di corrotta volgarità che venivano rivolte allo spettacolo popolare». Nel 1908, in numerose sale il prezzo del biglietto passa dai tradizionali cinque cents a dieci e anche venti cents.

Maschere in alta uniforme, 1931 (Kentucky Theatre, Lexington) Per riempire i cinema e attirare le famiglie più agiate le sale si dotano di ushers in uniforme. La squadra di “maschere” viene istituita per intimidire il pubblico più popolare e rissoso e impedire ogni forma di disturbo ai danni della “gente per bene”.

Per venire incontro alle esigenze di questo nuovo e schizzinoso pubblico, in Massachussetts viene persino istituita una legge, che proibisce alle sale di proiettare immagini per più di due minuti consecutivi al fine di non affaticare troppo gli occhi della clientela borghese.

Ma, i cambiamenti più incisivi riguardano i contenuti delle pellicole proiettate. I soggetti vengono adattati per il pubblico puritano del vaudeville, per i professionisti con mogli e figli al seguito. Si importano film dall’Europa (che negli Stati Uniti è sinonimo di qualità), di contenuto storico o religioso, come Vie et Passion de Notre Seigneur Jésus-Christ proiettato da Zukor a Newark nel 1907, ideali per partire alla conquista di un nuovo mercato.

Tra il 1906 e il 1909, inoltre, il cinema comincia ad avvertire la pressione dei moralisti e a praticare una forma di autocensura che durerà per più di cinquant’anni, fino all’abolizione del famigerato Codice Hays. Secondo molti, lo sforzo di individuare ciò che è più opportuno reprimere, in nome del “buon gusto” e dei valori borghesi, produce un vero e proprio occultamento del reale.

Molti cronisti dell’epoca, tra cui il celebre W Molti cronisti dell’epoca, tra cui il celebre W. Stephen Bush, scrivono che si tratta di una forma di protezione verso le classi lavoratrici contro il male impunito, l’oscenità e la violenza. In realtà, si tratta soprattutto di non turbare eccessivamente i “nuovi clienti”. Le pellicole che mostrano crudamente una società urbana dominata dalla criminalità sono un pugno allo stomaco per gli spettatori benpensanti.

Di conseguenza, la produzione preferisce puntare su una drammaturgia rassicurante, sull’idealizzazione di un ordine familiare e comunitario “perfetto”, solo momentaneamente turbato da qualche evento drammatico. La conquista di questa importante e prestigiosa fetta di pubblico fu un passo fondamentale. Perché il cinema divenisse una grande e florida industria occorreva, infatti, la costruzione di un pubblico di massa.

David Wark Griffith L’era dei nickelodeon volge al termine: il nuovo pubblico chiede film più lunghi, storie avvincenti, volti e corpi riconoscibili e fascinosi.

David Wark Griffith La svolta arriva per merito di David W. Griffith, di cui Peter Bogdanovich ha detto: «Se non fosse stato per lui il cinema non sarebbe mai uscito dall’infanzia». Tra il 1907 e il 1913 Griffith diresse all'incirca 450 cortometraggi per la casa di produzione Biograph, che abbandonò in seguito al rifiuto della casa di produzione di superare il limite delle due bobine e a quello di inserire il nome del regista e degli attori nei titoli di testa.

Nel 1914, il regista americano realizza per la casa di produzione Mutual la sua opera più nota, The Birth of a Nation. Il film viene girato utilizzando 12 bobine (circa 150 minuti), stravolgendo in tal modo i tradizionali programmi produttivi dell’epoca. Non solo, ma utilizza tecniche per allora assolutamente innovative, come il cross-cutting (montaggio incrociato), il close-up (una tecnica di zoomata dal campo largo al particolare) o la ripresa in movimento. A lui si deve l’effetto last rescue, il salvataggio all’ultimo minuto, l’ “arrivano i nostri” abbondantemente usato in numerosi film d’oltreoceano.

La Nascita di una nazione, basato sui racconti di Thomas Dixon, The Clansman e The Leopard's Spots, narra la storia di una famiglia sudista durante la guerra civile americana. Il film presenta come figure eroiche i membri del Ku Klux Klan pronti ad intervenire contro la “minaccia” della comunità nera. L’opera di Griffith appare come un’apologia della segregazione, di cui tenta di fornire, da uomo del Sud, radici e giustificazioni storiche. Anche se accompagnato da vivaci polemiche da parte degli anti-razzisti, è un successo straordinario. “Per la prima volta” scrive Umberto Dante “il cinema produce un evento culturale e politico capace di raccogliere l’attenzione di tutto il paese … lo si potrà criticare, condannare, ma non se ne potrà prescindere”.

Una manifestazione davanti ad un cinema di New York che proietta The Birth of a Nation, accusato di alimentare l’odio razziale contro la comunità afro-americana. È il 1947