Commedia dell'arte o dell' “improvviso” (Maurizio Sfriso)

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Transcript della presentazione:

Commedia dell'arte o dell' “improvviso” (Maurizio Sfriso)

Definizione La prima volta che s'incontra la definizione di commedia dell'arte è nel 1750 nella commedia “Il teatro comico” di Carlo Goldoni: attori professionisti che recitano "le commedie dell'arte", usando delle maschere e improvvisano le loro parti. "Arte" nell'accezione (medioevale: Corporazioni di arti e di mestieri) di professione, mestiere: "commedia della professione" o "dei professionisti".

Origine Il 25 febbraio 1545, a Padova, otto uomini si presentano in uno studio notarile. Vogliono stipulare un contratto. Hanno deciso di formare una “fraternal compagnia” il cui fine è “recitar commedie di loco in loco” per “guadagnar denaro”. Si impegnano a restare uniti sino alla Quaresima dell’anno successivo, ad acquistare un cavallo che serva a trasportare costumi e attrezzi di scena, a dividersi in parti uguali il ricavato degli spettacoli che daranno, a prestarsi mutuo soccorso in caso di incidenti o malattie.L’umile e prosaico documento da essi firmato alla presenza del notaio padovano costituisce l’atto di nascita sia del moderno professionismo teatrale, sia della più durevole e prestigiosa forma di creazione scenica d’attore che la storia d‘Occidente possa vantare: la Commedia dell’Arte. Capo riconosciuto della “fraternal compagnia” risulta essere un certo messer Mafio, meglio noto con il soprannome di Zani (ovvero Zanni, voce dialettale per Gianni: l’appellativo originario delle maschere contadine che il nuovo teatro sostituirà alle tradizionali figure dei servi tipici della commedia plautina cinquecentesca).

Differenze con commedia plautina Commedia plautina ideata, da Ariosto in poi: prodotto di lusso e di prestigio d’una corte o d’una accademia divertimento senza fini di lucro recitazione – con raffinato dilettantismo – di parti interamente scritte e concepita per manifestarsi solo nel chiuso pubblico di ristrettissime élites politiche e intellettuali Commedia dell'arte, l’invenzione di messer Mafio: sfruttare un remunerativo mercato dello spettacolo. Pubblico il più ampio e differenziato possibile. Deve essere pronta a migrare “di loco in loco”, senza badare a confini geografici e sociali Recitazione di professionisti, quindi, su canovacci

Modalità Non si trattava di un genere di rappresentazione teatrale, bensì di una diversa modalità di produzione degli spettacoli. 1 - Teatri privati 2 - Pubblico 3 - Canovaccio 4 - Tecnica teatrale: dell' “improvviso” 5 - Maschere 6 - Donne

1 – Teatri privati Specialmente a Venezia le famiglie nobili iniziano una politica di diffusione, all'interno della città, di nuovi spazi spettacolari dedicati alla recitazione di commedie e melodrammi a pagamento: Per la prima volta le famiglie Tron e Michiel fecero costruire due "Stanze" per le commedie nella zona di San Cassiano (vicino a Rialto) da cui i teatri presero il nome. L'attore da giocoliere di strada, saltatore di corda o buffone di corte (giullare) cominciò a esibirsi in trame più complesse e le "Fraternal Compagnie" dell'inizio si trasformarono in vere e proprie compagnie che partecipavano ai proventi di questa nuova industria.

2 – Il pubblico Non raffinati ed educati ascoltatori, ma di artigiani, borghesi, contadini paganti. Gli attori per avere successi e guadagni, e per attrarre e divertire si affidavano ad un recitare quantomai energico, tutto giocato sulla fisicità del gesto e della voce. Non qualche gags isolata (i giullari), ma una vera e propria articolata commedia, di circa tre ore, che non ha nulla da invidiare a quelle delle feste di corte.

3 – Il canovaccio Fare teatro senza testo Gli attori costruivano ogni singolo spettacolo su una traccia, il cosiddetto canovaccio o scenario, sorta di riassunto della commedia (oggi si direbbe la sceneggiatura). Il canovaccio è uno strumento autonomo, originale, che si ricrea continuamente e che valorizza la bravura degli attori e ne decreta la fama: la tecnica conservativa degli attori è rivolta a memorizzare le scene più riuscite, per ottenere sempre l’applauso. Nella mescolanza di innovazione e conservazione sta il senso di questo episodio teatrale così importante.

4 – L'innovazione: tecnica teatrale dell' ''improvviso” A - Fare teatro senza testo I comici dell’Arte ritenevano pericolosissima ogni improvvisazione estemporanea: il loro “improvviso” consisteva in una sorta di paradosso,cioè traduzione in spettacolo di un testo inesistente, attraverso una tecnica di tipo combinatorio : frantumare un certo numero di testi e situazioni teatrali in una sorta di elenco di funzioni, di microsituazioni, di particelle (ad esempio: l’avarizia, la gelosia, il rifiuto dell’amante, l’agnizione ecc.). si rimontano a pezzi. Si costruiscono gli spettacoli montando insieme questi piccoli elementi, dotati di costruzione interna, coerenza e significato. Improvvisare ogni sera il collage, combinando le tessere in un mosaico complesso, che può dare risultati diversi a seconda di come lo si assembla, richiede da parte degli interpreti una tecnica consumata.

B - Non interprete ma autore-attore Nel teatro “classico” esistono i personaggi, che vivono una sola volta la loro vicenda: nell’Arte esistono funzioni che si possono adattare ad ogni situazione. Sono funzioni universali: l’Innamorata, il Servo, il Vecchio, connotati da caratteristiche esteriori che si riempiono ogni sera di un nuovo contenuto, a seconda delle combinazioni degli elementi. Ogni attore si impossessa della tecnica specifica di un ruolo, delimitando la sua area di lavoro e arrivando a conoscerla alla perfezione. Ogni ruolo costituiva un punto di riferimento preciso per gli altri: ognuno conosce l’area di gestualità, di gag, di situazioni in cui l’altro attore reagisce. Tutto ciò comportava l’inesistenza della possibilità di monologo, per cui i ruoli sono limitati, rappresentativi delle categorie sociali più rilevanti: tra gli 8 e i 15 personaggi per ogni compagnia esaurivano ogni ruolo, più i figuranti e le comparse.

5 – Maschere I nuovi comici dell’Arte, hanno bisogno di far breccia con immediatezza nella fantasia del pubblico. E scelgono di valersi di quelle maschere di ascendenza medioevale che da gran tempo borghesi e popolani avevano appreso a conoscere attraverso le leggende, il folklore, il carnevale, i piccoli spettacoli di piazza. Il ruolo più importante era quello dello Zanni (servo), poi ulteriormente specializzato in Arlecchino e/o Brighella.

L’uso delle maschere non era proprio di tutti i ruoli, ma in genere più diffuso per le parti di vecchio, di servo, a volte di capitano. Non era mai vestita dagli amanti e quasi mai dalle serve. Alcuni Arlecchini se la toglievano a metà spettacolo, nei momenti di maggiore concitazione scenica o nel momento in cui doveva esibirsi in una tirata, per respirare meglio; gli attori di bell’aspetto recitavano senza maschera per far piacere al pubblico. Oltretutto, le maschere erano di cuoio sagomato, quindi pesanti e scomode; si trattava di mezze maschere, che lasciavano scoperta la bocca.

Tuttavia, il loro uso impediva la mimica facciale, per cui l’attore doveva aiutare la parola con la gestualità e la recitazione corporea. Il problema era di ordine pratico: i teatri erano grandi, male illuminati, fumosi (generalmente l’illuminazione era fornita da candele di sego o torce, che producevano un fumo puzzolente, e che non venivano spente per tutta la durata dello spettacolo); il pubblico era rumoroso, indisciplinato, indaffarato in molte faccende che poco avevano a che fare con quanto avveniva in palcoscenico (mangiare, ricevere amici e amanti, stringere alleanze politiche o economiche…), e per coinvolgerlo occorreva un grande dispendio di energie.

5 – le donne Le rappresentazioni di corte e di accademia – occorre ricordarlo – contemplavano l’osservanza della norma secondo la quale tanto i ruoli maschili quanto quelli femminili dovevano essere interpretati esclusivamente da maschi. A partire dal 1570 circa, i comici professionisti osano giocare la scandalosa carta di ammettere le donne nelle loro troupes, inaugurando così un altro tratto distintivo del teatro moderno: la compartecipazione dell’uomo e della donna al gioco scenico, che attribuisce all’immaginario dello spettacolo una concretezza corporea in grado di tradurre l’illusione in parvenza sensuale. Le prime attrici provengono dalla particolarissima sfera delle cosiddette cortigiane oneste: non prostitute, bensì dame di piacere esperte nell’eloquio elegante, nella musica, nel canto, nella danza. Molto presto, però, l’entrare in una “fraternal compagnia” rappresenterà una delle poche chance di libera professione offerte – tra Cinque e Seicento – alle donne dei ceti meno fortunati.

Conclusione Dopo una lunga e “onorata” storia, la Commedia dell’Arte si dissolve definitivamente ad opera del Goldoni e della sua riforma, nonostante la difesa appassionata di un reazionario come Gozzi. Per lungo tempo sopravvivono solo le maschere, trasformate in attrattive carnevalesche o in “tipi” umani legati a particolarismi locali; la tecnica dell’improvviso viene confusa con la casualità del fatto scenico, la parziale libertà degli attori con il dilettantismo. Solo negli ultimi decenni si è tentata una seria rivalutazione di questo fenomeno culturale, che ne ha messo in luce le caratteristiche più originali e interessanti.

Oggi Arlecchino servitore di due padroni – edizione 1994 La fortuna della commedia dell'arte riprende nell'ambito delle avanguardie teatrali del Novecento come mito di riferimento di una "Età dell'Oro" dell'attore. Giorgio Strehler nel 1947 fa della riscoperta della commedia dell'arte una bandiera della rinascita della cultura italiana dopo la guerra con il celebre allestimento di Arlecchino Servitore di due Padroni. Altro grande riscopritore della commedia dell'arte fu Giovanni Poli, regista fondatore della compagnia e scuola di teatro a l'Avogaria di Venezia, recuperò e riscrisse partiture teatrali del Cinquecento, mettendo in scena tra i tanti spettacoli, soprattutto la celebre Commedia degli Zanni rappresentata poi in tutto il mondo dalla stessa compagnia e per la quale Poli ottenne il prestigioso Premio per la migliore regia al Festival del Thèatre des Nations a Parigi nel 1960. Negli anni sessanta Dario Fo, grazie al sodalizio con Franca Rame, figlia di una famiglia di commedianti itineranti che possedevano ancora vecchi canovacci, ebbe la fortuna di poter studiare tali documenti, testimonianze di un'antica cultura ormai estinta, di verificare la loro efficienza e di adattarli alle nuove esigenze, creando una serie di commedie e di monologhi tra cui Mistero buffo. Negli anni ottanta, a seguito del grande successo della reinvenzione del carnevale di Venezia da parte di Maurizio Scaparro la commedia dell'arte italiana ritrovò successo in tutto il mondo con la Famiglia Carrara (dieci generazioni di teatro) e il Tag di Venezia diretto da Carlo Boso. Grazie alla parallela attività di formatore, diverse compagnie di commedia dell'arte si formano in base agli insegnamenti di Carlo Boso. Tra queste vale forse la pena di ricordare, in Italia, l'Associazione Luoghi dell'Arte di Roma, le compagnie Teatroimmagine e Pantakin da Venezia, il TeatroVivo di Cotignola e il Carro dei Comici di Pesaro. Arlecchino servitore di due padroni – edizione 1994