TEORIE DELL'APPRENDIMENTO Gig_2003
TEORIE DELL’APPRENDIMENTO IL COMPORTAMENTISMO (behaviorism). IL COMPORTAMENTISMO (behaviorism). La scuola comportamentista domina la cultura psicologica statunitense dagli inizi del secolo XX fino agli anni Cinquanta e Sessanta. Essa, ponendo al centro dei propri studi e ricerche gli atti di comportamento obiettivo, esprime appieno la tendenza della psicologia americana a privilegiare come oggetto di indagine la sfera dell’azione manifesta rispetto a quella dei sentimenti, dei pensieri e della coscienza. Il comportamentismo è dunque “la dottrina secondo cui l’oggetto della psicologia è esclusivamente limitato ai dati osservabili del comportamento esteriore, motorio, verbale, ghiandolare, con eliminazione totale della coscienza, senza alcun richiamo all’introspezione né ai processi fisiologici interni”. gig_2003
Fondatore della corrente comportamentista è John Broadus Watson. L’individuo nasce senza caratteristiche innate. Il bambino è predisposto ad attività che egli sviluppa fin dalla nascita sotto l’influenza delle condizioni ambientali, realizzando momento per momento, delle abitudini (viscerali, motorie, mentali). Queste abitudini rappresentano sistemi di risposte pronte ad essere impiegate nei diversi adattamenti che l’uomo deve compiere.
Qualsiasi abitudine dipende da molteplici condizioni esterne (ambientali), ma la base è sempre viscerale e motoria. Quindi anche l’emozione consiste principalmente in una specifica organizzazione di abitudini viscerali. Per Watson tre sono le reazioni emotive innate : · la paura (suoni forti, la perdita di equilibrio,....) ; · la rabbia (reazione a impedimento dei movimenti del corpo) ; · l’amore (benessere derivato da accarezzamento, dondolamento).
All’interno dell’impianto teorico ipotizzato da Watson, si inserisce una corrente caratteristica del comportamentismo: L’AMBIENTALISMO. E’ possibile programmare la professione futura di qualunque bambino, semplicemente scegliendo opportunamente le influenze ambientali a cui sottoporlo, senza prendere in considerazione le sue disposizioni individuali. Sotteso è il concetto che l’ambiente è un’entità totalmente indipendente dall’organismo le cui possibilità di adattamento si ottengono creando ambienti conformi a ciò che si vuole ottenere. Scrive Watson: “Datemi una dozzina di bambini normali, ben fati, e un ambiente opportuno per allevarli e vi garantisco di prenderne qualcuno a caso e di farlo diventare qualsiasi tipo di specialista, che io volessi selezionare – dottore, avvocato, artista, commerciante e perfino accattone e ladro -, indipendentemente dalle sue attitudini, simpatie, tendenze, capacità, vocazione”.
L’eredità di Watson è stata raccolta e sviluppata da B.F. Skinner. Il comportamento umano si svolge dietro sollecitazioni di stimoli determinati : un bambino piange quando ha fame e alla vista del seno muove le braccia e le labbra ; se la madre, prima di alimentare il bambino, accende una luce, basterà la luce (che non soddisfa direttamente la fame e quindi è uno stimolo neutro) perché il bambino muova le braccia. E’ la luce, in questo caso, che condiziona il comportamento del bambino. Questo è Pavlov (comportamento passivo).
Per questo il comportamentismo di Skinner è detto Per Skinner è invece l’individuo a provocare gli stimoli, non li subisce soltanto : è il bambino che con il suo pianto provoca il comportamento materno in quanto chiama la madre. Perciò è l’individuo, secondo Skinner, ad avere l’iniziativa, a provocare l’ambiente e che quindi tende a controllare l’ambiente e a modificarlo attraverso la sua attività. Per questo il comportamentismo di Skinner è detto operante (attivo).
L’anima del comportamento operante è il RINFORZO Rinforzato è il comportamento che viene ripetuto in quanto ha avuto un certo successo. Se il bambino gridando fa apparire la madre con la pappa, griderà ancora ; se la madre non appare, il bambino smette di gridare e cerca un’altra provocazione. Tutto il nostro comportamento dipende dai rinforzi subiti. E’ il rinforzo che struttura e modella il comportamento.
Quando il rinforzo agisce direttamente sul comportamento. Rinforzo positivo. Quando il rinforzo agisce direttamente sul comportamento. Un sorriso oppure una buona valutazione scolastica data dall’insegnante rinforza e incoraggia il ragazzo a studiare. Rinforzo negativo. Ma il ragazzo studia anche quando viene minacciato da valutazioni negative. In questo caso si attua un comportamento per evitare qualcosa di spiacevole. Il rinforzo negativo non va confuso con la punizione che non forma alcun comportamento, ma tende solo a sopprimere qualcosa di indesiderato. In realtà, secondo Skinner, la punizione è una violazione gratuita poiché il comportamento punito riappare sempre.
Se vogliamo eliminarlo (concetto di estinzione) è necessario impedire che esso venga rinforzato e contemporaneamente è necessario invece rinforzare il comportamento antagonista. La punizione sollecita soltanto azioni collaterali al comportamento quali frustrazioni, aggressività, stato d’ansia, incertezza .
CARATTERI DEI MODELLI COMPORTAMENTISTI L’apprendimento è associativo, cioè è acquisizione di nuove connessioni tra stimoli e risposte; nell’apprendere si formano, infatti, abitudini condizionate. E’ un processo che consiste in una serie di passaggi concatenati, che non necessitano dell’elaborazione cognitiva superiore per trasmettere gli impulsi derivanti dalle stimolazioni esterne e ottenere le risposte. Come nell’animale, così nell’uomo, l’apprendimento per condizionamento può essere rispondente (il soggetto risponde allo stimolo ambientale) oppure operante (il soggetto opera nell’ambiente, modificandolo, come nel modello di Skinner)
Nel condizionamento rispondente, il comportamento individuale si modifica in relazione alle leggi dell’intensità, della frequenza e della continuità della stimolazione; il comportamento si modifica attraverso il rinforzo che precede e suscita la risposta condizionata. Nel condizionamento operante, il comportamento individuale si modifica in relazione alle leggi dell’esercizio (uso e disuso) e dell’effetto, secondo le quali, se l’esercizio è importante per incentivare l’apprendimento, lo è anche l’effetto di soddisfazione che il soggetto ottiene producendo una data risposta. L’apprendimento è frutto di una selezione di risposte che il soggetto discrimina in percorsi attraversati da tentativi ed errori; il rinforzo è costituito dallo stato di soddisfazione che segue la risposta, che tende ad essere ripetuta per conseguirlo.
Entrambi i tipi di condizionamento si basano su meccanismi adattivi (anche impliciti) per lo sviluppo di schemi comportamentali; i modelli del condizionamento operante, però, rispetto a quelli del condizionamento rispondente, rivalutano l’attiva capacità soggettiva di agire sull’ambiente per modificarlo. Sono, tuttavia, entrambi, modelli in cui l’attività del soggetto dipende dalle condizioni ambientali (naturali, sociali, culturali) e non ne determina il corso.
CRITERI DELL’INSEGNAMENTO COMPORTAMENTISTA Il condizionamento rispondente e il condizionamento operante sono processi attivi e paralleli che si alternano e si affiancano nella relazione apprendimento-insegnamento: l’apprendimento può essere condizionato dall’attività di insegnamento, programmando la didattica secondo obiettivi espliciti di formazione generale e disciplinare; calibrando i contenuti rispetto agli standard prefissati; istituendo continue e regolari sessioni di valutazione (in itinere, oltre che finali) per la verifica dell’avvenuto apprendimento nel discente e per il controllo della validità dell’insegnamento.
DISTINZIONE TRA COMPORTAMENTO. RISPONDENTE (C. R DISTINZIONE TRA COMPORTAMENTO. RISPONDENTE (C.R.) E COMPORTAMENTO OPERANTE (C.O.) Nella prospettiva del C.R., la validità dell’apprendimento è determinata dalla rispondenza al segnale: l’alunno, nel dare la risposta, la apprende ripetendola; l’insegnante esercita il controllo sulla classe attraverso segnali, imponendo regole, sequenze, strutture di comportamento prima di tener conto della natura comportamentale dell’alunno. E’ perseguibile ogni comportamento che si adatta alle regole dell’insegnamento, la cui validità è determinata, a sua volta, dall’ottenere risposte modificate in situazioni specifiche.
Nella prospettiva del condizionamento operante, la validità dell’apprendimento è determinata dall’orientamento alla meta: l’alunno dà più di una risposta ed è orientato ad apprendere quelle di cui può constatare le conseguenze positive; l’insegnante esercita il controllo con rinforzi successivi alle risposte di chi apprende. E’ perseguibile ogni comportamento di apprendimento che si adatta agli obiettivi dell’insegnamento, la cui validità è determinata dall’ottenere risposte che non sono modificate nella e dalla situazione, ma sono, piuttosto, modificatrici della situazione.
La programmazione dell’insegnamento avviene, dunque, attraverso insieme di fasi, che vanno dall’esame delle conoscenze pregresse, i prerequisiti dello studente, dalla presentazione degli obiettivi didattici, alla indicazione delle modalità attuative di un compito, ai processi di rinforzo, alle procedure valutative dei risultati conseguiti. Da qui la nascita di tassonomie per l’orientamento degli insegnanti, tassonomie che hanno influenzato metodologie didattiche e strategie di insegnamento, come nel caso della tassonomia di Bloom, adoperata nel Mastery Learning, modello di apprendimento scolastico ideato per acquisire la padronanza (mastery) di ogni materia.
Modelli comportamentisti dell’insegnamento Associazione stimolo-risposta Apprendimento di abitudini Condizionamento Tassonomie Preparazione finalizzata al rinforzo Esercizio Monitoraggio dell’apprendimento Verifica in itinere dell’apprendimento Verifiche immediate o frequenti Revisione in itinere dell’insegnamento Azione formativa stimolante e programmata Controllo della classe attraverso segnali Obiettivi metodologici e contenutistici espliciti Situazione didattica ambientalizzata
Modelli comportamentisti L’APPRENDIMENTO è una associazione stimolo-risposta. L’INDIVIDUO è soggetto a condizionamento (rispondente e operante). L’EDUCAZIONE produce cambiamenti comportamentali. IL FORMATORE stimola, verifica, rinforza, controlla e programma.
LA PSICOLOGIA DELLA GESTALT E I RISVOLTI PEDAGOGICI LA PSICOLOGIA DELLA GESTALT E I RISVOLTI PEDAGOGICI Nel secolo scorso l’atteggiamento epistemologico predominante nelle scienze naturali era quello di trovare una spiegazione ai fenomeni cercando il loro minimo comun denominatore, l’atomo, secondo il modello della fisica classica, e seguendo poi le successive combinazioni. Freud, cercando l’elemento base del comportamento umano, teorizzò la libido, le cui innumerevoli peripezie motivavano nella psicanalisi i vari aspetti della vita psichica. Con la fisica moderna e la scoperta che l’atomo è a sua volta composto di particelle, le quali non si possono nemmeno localizzare esattamente nel tempo e nello spazio, la ricerca dell’elemento primario perde il suo valore di modello privilegiato nelle scienze naturali, e lascia il posto agli approcci relazionali, quelli cioè dove è in primo piano l’interazione fra le parti in campo, e dove si afferma la considerazione che interagire modifica entrambi le parti. L’idea del campo percettivo organizzato nella relazione figura/sfondo, viene elaborata da Perls (Ego hunger and aggression- L’io, la fame e l’aggressività) il quale sottolinea questo concetto notando come un campo di grano assume valenze molto diverse se per esempio è un contadino che miete che lo guarda oppure un aviatore che sta per fare un atterraggio di emergenza: l’assunzione di dati varia infatti nella persona col variare dei bisogni dell’organismo sui quali l’attenzione conscia (e inconscia) viene attirata, in modo che le libere associazioni si situano via via su assi diversi e non è più legittimo quindi interpretarle come rivelatrici di un unico nucleo sottostante (da cui l’esigenza nella psicoterapia della Gestalt di assodare in primo luogo il back-ground emozionale della persona che associa). Da Kurt Lewin Perls deriva la “teoria del campo”: in parallelo alle scoperte della fisica sulla contiguità e l’interdipendenza dei campi di forza, Lewin aveva elaborato la teoria che il comportamento di un organismo non è comprensibile se non considerando le influenze che esercita su di lui l’ambiente. Da Kurt Goldstein poi Perls derivò l’idea della “funzione di autorealizzazione”: secondo questa teoria gli organismi avrebbero la tendenza a crescere in dimensioni e in influenza sull’ambiente, e a organizzarsi di conseguenza sul piano energetico. I gestaltisti rifiutano quindi di scomporre l’esperienza nelle sue componenti elementari. L’atteggiamento fenomenologico implica il porsi di fronte alla realtà in modo immediato, “ingenuo”, così come essa si dà al vissuto immediato dell’esperienza attraverso i nostri organi di senso, senza postulare mediazioni, scomposizioni, ricostruzioni e così via. Ne risulta che il dato primario della conoscenza non è costituito dalle “sensazioni elementari”, ma dalla percezione che ci propone un mondo già organizzato e strutturato. L’analisi strutturale dell’esperienza parte quindi dall’insieme e non dalle parti, nella misura in cui è il tutto che dà significato alle parti e non viceversa, ed è il sistema di relazioni che collega le parti cui occorre fare riferimento, determinando quali relazioni siano funzionali alla costituzione del fenomeno e quali no, e quali mutamenti di una parte producano mutamenti del fenomeno e quali no, e quali leggi colleghino le parti. Questa analisi dinamica è stata condotta dai gestaltisti utilizzando il costrutto di campo derivato dalla fisica, che lo usa per rappresentare la distribuzione delle cariche elettromagnetiche in un conduttore. Il campo ha proprietà che dipendono non dalle proprietà delle particelle singole ma dai loro rapporti, dal loro equilibrio, dai sistemi di forze e di direzioni.
LA TEORIA DEL CAMPO DI KURT LEWIN La psicologia topologica di Lewin ambisce alla costruzione di una teoria capace di rendere ragione della realtà psichica come sistema dinamico, comprensivo della persona e dell'ambiente, risultante dal concorso di varie forze, suscettibile di continue trasformazioni e tendente all'equilibrio. Partendo dalle istanze teoriche della psicologia della Gestalt, Lewin ritiene che la percezione e il senso che il soggetto ha della realtà costituiscono il punto privilegiato da cui procedere per indagare i processi psichici e la personalità. La teoria del campo costituisce il sistema generale con il quale vengono caratterizzate le diverse manifestazioni della realtà psicologica, da quelle individuali a quelle di gruppo e quindi l'insieme di costrutti atti a rappresentare il funzionamento della personalità a livello strutturale e dinamico. L'evento psicologico deve essere indagato sistematicamente nel contesto fisico- temporale in cui accade e nella rete di relazioni che lo sostengono e lo determinano. CAMPO: tutto ciò che è presente al soggetto in un dato momento e che ne determina l'agire, il sentire e il conoscere. "Principio di contemporaneità": qualsiasi comportamento o altro mutamento entro un campo psicologico dipende soltanto dalla particolare configurazione che il campo ha in quel dato momento. All'interno del campo si distinguono 3 aree fondamentali: - SPAZIO DI VITA, inclusivo della persona e dell'ambiente psicologico, caratterizzato dai bisogni, dalle motivazioni, dalle mete e dagli ideali del soggetto. Gli eventi e i fattori che ineriscono allo spazio di vita sono quelli che assumono rilevanza psicologica per il soggetto in un dato momento. Lo spazio di vita quindi concerne sia l'ambiente che la persona. Fenomeni che si sviluppano nel MONDO FISICO E SOCIALE e che non hanno una diretta incidenza sullo spazio di vita della persona in quel dato momento ZONA DI CONFINE dello spazio di vita, in base alla quale si prendono in considerazione quei processi del mondo fisico e sociale che agiscono sullo spazio di vita della persona in quel dato momento La condotta può essere considerata come funzione della persona e dell'ambiente secondo l'equazione: C=f(P,A). L'ambiente al quale si fa riferimento nello spazio di vita è soprattutto l'ambiente psicologico, cioè l'insieme di condizioni esterne che influenzano la condotta dell'individuo nella misura in cui sono da lui percepite e dotate di significato. L'ambiente psicologico va dunque distinto da quello fisico in quanto corrisponde alla rappresentazione soggettiva che l'individuo ha degli eventi esterni. Come l'ambiente, anche i bisogni, le mete e gli attributi del sè hanno soprattutto rilievo per come sono percepiti dal soggetto. Lo spazio di vita è suddiviso in REGIONI che rappresentano tutto ciò in cui un oggetto dello spazio di vita ha un suo posto e ogni aspetto dello spazio di vita nel quale sia possibile distinguere contemporaneamente più posizioni o parti. Dinamicamente la persona può essere descritta come un sistema stratificato che ha una struttura definita e nel quale si possono distinguere regioni centrali (elementi del sè e dell'identità individuale) e periferiche (processi percettivo- motori
Sia le regioni dell'ambiente che quelle della persona sono divise da frontiere con diverso grado di solidità e di consistenza. Valenza : corrisponde al valore positivo o negativo che una regione dell'ambiente psicologico riveste per la persona. Forza : corrisponde alla direzione e alla intensità di una tendenza ad agire per realizzare un determinato mutamento. Dal momento che una regione può avere differenti posizioni all'interno dello spazio di vita, la precisa conoscenza della "posizione" che un individuo occupa è necessaria per valutarne e comprenderne il comportamento. Il comportamento è inteso come mutamento di posizione, cioè come locomozione nel proprio ambiente psicologico; ad esso corrisponde un mutamento della struttura dello spazio di vita. Tensione : stato che l'individuo sperimenta all'insorgere di un bisogno o di un quasi-bisogno e che l'individuo tende a superare per ripristinare l'equilibrio. Lo stato di tensione e la tendenza a ripristinare l'equilibrio come pure le valenze dell'ambiente e la direzione e l'intensità delle forze, rinviano all'insorgere e all'azione di un bisogno. Lo sviluppo della persona non viene definito in termini di fasi, ma in termini di differenziazione, sulla base di una maggiore o minore organizzazione e complessità. Con lo sviluppo si ha un ampliamento dello spazio di vita ed un aumento del numero delle regioni e parallelamente una dilatazione progressiva della dimensione temporale e psicologica. Si distinguono: -retrogressione: ritorno ad una modalità di comportamento precedente nella storia psicologica del soggetto - regressione: ritorno a modalità di comportamento primitive, a prescindere
TEORIA DELLA FORMA (GESTALT) La Gestalt, è una scuola e un movimento psicologico che sorse in Germania nel secondo decennio del nostro secolo e che ebbe tra i suoi più noti rappresentanti Max Wertheimer (pensiero produttivo) (1880/1943), Kurt Koffka (1886/1941) Secondo la psicologia della forma quando percepiamo un oggetto non abbiamo a che fare con un insieme di sensazioni frammentarie, che vengono analizzate e poi riunite in una sintesi, ma abbiamo sempre di fronte un’unità strutturale
ovvero letteralmente “illuminazione” Nel riconoscere una persona, un volto dimenticato, non lo facciamo mettendo insieme le varie parti (che nel frattempo sono cambiate da quando le conoscevamo), ma per qualcosa che deriva dall’insieme delle parti. Solo successivamente, con un atto intellettivo, tali forme possono venir analizzate e suddivise Il contributo più notevole di questa scuola psicologica rispetto allo studio dell’apprendimento è la scoperta e lo studio di un tipo particolare di apprendimento, definito INSIGHT, ovvero letteralmente “illuminazione” L’insight è un modello tipico di apprendimento, è un processo che rappresenta “l’improvvisa riorganizzazione del campo di esperienza”.
In contrapposizione con il modello di apprendimento per “prove ed errori”, tipico dell’associazionismo, l’apprendimento per insight è un processo attivo, creativo, che presuppone in chi apprende una stretta interazione e relazione con il campo percettivo e che si qualifica come un intervento di comprensione, conoscenza e strutturazione, possibilità di combinazioni. Se si pensa all’apprendimento come “soluzione di problemi” (problem solving) il modello gestaltico procede con questa sequenza : chi apprende inizia con una percezione complessiva della situazione problemica, ne riconosce gli elementi problematici, realizza una comprensione delle strutture e relazioni essenziali del problema, perviene infine alla soluzione attraverso un atto di intuizione percettiva.
Se si riflette sul modo in cui il pensiero agisce, ci si accorge che lo slittamento da un punto di riferimento a un altro avviene in modo improvviso. Il passaggio implica l’abbandono non soltanto di un punto di vista, ma di tutta la struttura che lo conteneva ; infatti, la nuova prospettiva comporta una nuova struttura. Si tratta, quindi di un improvviso salto di prospettiva, che viene definito insight o intuizione . L’insight può essere definito un afferrare con la mente qualcosa immediatamente, utilizzando gli elementi a disposizione in modo diverso da ciò che era in precedenza. Abitualmente i ragazzi impiegano l’insight come un gioco stimolante per superare un modo di vedere un dato problema che si appoggia sull’abitudine.
Risulta evidente come il modello di apprendimento della scuola di psicologia della forma sia regolato su di una impostazione percettiva : elementi cruciali infatti dell’atto di apprendimento sono l’organizzazione e la “strutturazione” (o ristrutturazione) del “campo”, un processo eminentemente percettivo. Rompere le strutture organizzate e ricomporle in forme nuove è un atteggiamento mentale di tipo creativo.
PROSPETTIVE PEDAGOGICHE DELLA GESTALT. Tre possono essere le prospettive pedagogiche che la psicologia della gestalt può offrire alla pedagogia. Anzitutto l’importanza di dare spazio, nel processo educativo, alla forza aggressiva,* all’esperienza autonoma del “no” dell’educando, capace di dargli quell’esperienza umanamente significativa dell’esercizio della propria volontà, pur non essendo ciò in contrasto con l’importanza di dare un contenimento normativo al discente.
* Friedrich Perls, inserito nel fervore degli studi della Psicologia della Gestalt, e partendo da una insoddisfazione verso la teoria freudiana dell’io, intuì che l’introiezione termina il proprio compito evolutivo fondamentale molto prima di quanto avesse teorizzato Freud e indicò nello sviluppo dei denti (fase dentale) l’evidenza fisiologica di tutto ciò. Infatti, se la suzione del latte materno da parte del neonato crea (o sostiene) la capacità umana – a livello fisiologico come psicologico – di introiettare, lo sviluppo dentale deve pure creare (o sostenere) una capacità fisiologica e psicologica del bambino, ovvero quella di destrutturate sia il cibo che la realtà, di aggredirli per poterli poi assimilare (se nutrienti), o rifiutare (se nocivi o non nutrienti). La capacità di masticare e di mordere che nasce nell’organismo con lo sviluppo dentale dà assoluto rilievo all’aggressività in un momento evolutivo significativamente anteriore a quello teorizzato da Freud. Inoltre, l’aggressività stessa venne intesa da Perls in termini positivi, di sopravvivenza e di crescita fisica ed esistenziale dell’organismo: il naturale attualizzarsi della spinta all’autorealizzazione. La prospettiva positiva dell’impulso all’auto-realizzazoine di Goldestein influenzò in maniera fondamentale il pensiero di Perls, che si poneva quale modalità di superamento del dualismo presente nella metapsicologia freudiana tra impulsi dell’individuo e necessità dell’organizzazione sociale. Infatti, dal momento che l’individuo è soggetto che destruttura e ristruttura, gli si apre la possibilità concreta di vivere nel proprio mondo con pienezza. Le tre parole chiave del titolo del primo libro di Perls – L’io, la fame, l’aggressività –(Perls, 1995) sintetizzano la sua critica alla teoria freudiana sulla natura umana: non aver dato il giusto e fondamentale rilievo alla capacità dell’Io di soddisfare i propri bisogni (la fame) attraverso un’attività autoaffermativa (l’aggressività), che gli consente di assimilare o rifiutare l’ambiente, a seconda che esso gli si presenti come nutriente o nocivo. Ogni esperienza non può che avvenire al confine del contatto tra un organismo animale umano (così si esprimevano, in termini organicistici, i fondatori della psicoterapia della Gestalt) e il suo ambiente. E’ proprio ciò che avviene in questo confine che è disponibile alla nostra osservazione e all’eventuale intervento terapeutico. Il confine di contatto è il luogo in cui si dispiega il Sé, quella funzione dell’organismo umano che ne esprime la capacità/abilità di entrare in contatto con il proprio ambiente e di ritirarsi da esso. Attualità, Consapevolezza, Responsabilità “dell’esser-ci nell’esperienza” sono i tre presupposti fondamentali del processo di crescita terapeutica gestaltica. Contatto, Espressione, Creatività, costituiscono il percorso da compiere per ritrovare la propria forma e la propria interezza di vita. Il Contatto fisico e psichico scatena emozioni e produce energia che l’Espressione dispiega in realtà tangibile mettendo in collegamento l’essere umano con il mondo esterno. La Creatività prospetta nuove vie per la soluzione dei conflitti e la rimozione dei blochi.
Secondo: una prospettiva gestaltica (potremmo anche chiamarla olistica), secondo la quale individuo e gruppo sociale non sono più visti come entità a sé, ma come parti di una stessa unità in reciproca interazione, per cui la tensione che può esistere tra di esse non è da ritenersi come l’espressione di un insolubile conflitto, ma il necessario movimento all’interno di un campo che tende all’integrazione e alla crescita.
Terzo: la prospettiva relazionale come chiave di lettura del comportamento umano, per cui ogni esperienza trova il suo significato – anche in termini di intenzionalità – nella relazione in cui è inserita. Essa restituisce alle esigenze dell’individuo e del vivere sociale carattere di concretezza; infatti, ogni conflitto va affrontato nel “qui e ora” della situazione, perché solo nella specificità di un contesto è possibile trovare soluzioni “reali”. La psicoterapia della Gestalt affida la regolazione del bisogno alla relazione stessa, perché è nel riconoscimento pieno di sé e dell’altro che i bisogni dei partners in interazione trovano sana espressione e risoluzione creativa.
No ad una cultura che proietta aspettative e bisogni. E’ necessario far crescere una cultura psicologica che si fonda sul concetto di originalità, specificità di ogni persona (Scuola Gestaltica e Rogersiana). No ad una cultura che proietta aspettative e bisogni. Sì, invece, ad una cultura che aiuta a far emergere nel bambino ciò che già c’è di originale dentro di lui.
QUALCHE RIFLESSIONE Finora molti gestaltisti che hanno applicato la Gestalt alla didattica hanno trasferito frettolosamente l’impostazione clinica all’insegnamento, trascurando le premesse teoriche della Psicologia della Gestalt. Hanno trapiantato in classe l’impostazione psicoterapeutica della Gestalt, senza adeguarla al nuovo ambito pedagogico. Tale impostazione produce superficialità teorica in quanto trascura il tema dell’apprendimento disciplinare, stravolge il gruppo classe trasformandolo in un gruppo psicoterapeutico, sottovaluta i contenuti disciplinari e sopravaluta la relazione e la comunicazione: si crea un bel clima in classe, ma non si impara niente o quasi niente a livello di contenuti disciplinari.
A causa di tale impostazione, che trascura la dimensione della percezione, dell’intelligenza, della memoria, della creatività, dell’insight, del problem solving, proprie della Gestalt, la stessa teoria viene deformata nella sua più autentica interpretazione, incentrando gli interventi quasi esclusivamente su tecniche umanistiche centrate sulla comunicazione autentica e personale.
MODELLI DELLA GESTALT PER L’INSEGNAMENTO l’apprendimento come adattamento creativo l’apprendimento e l’insegnamento come esperienze di contatto; la dinamica di gruppo secondo la Teoria del Campo di K. Lewin; la ristrutturazione ed il problem solving; l’insight; il pensiero produttivo (Wertheimer); la memoria come riorganizzazione.
IL COGNITIVISMO Il cognitivismo è quella scienza, nata da un mix di filosofia, psicologia, linguistica e scienza della computazione, che si propone di studiare il ragionamento nei sistemi naturali e artificiali. Quando i procedimenti di ragionamenti si riferiscono al cervello umano in genere si parla di psicologia cognitiva, un settore della scienza cognitiva in generale. E' ovvio che l'IA ha bisogno di sapere come funziona il cervello e il ragionamento, così come abbiamo sempre detto che per assurdo l’intelligenza artificiale ci ha fatto capire meglio quella naturale: la psicologia cognitiva, sviluppatasi negli ultimi trent’anni rappresenta la prova. Grazie ai programmi informatici, la risoluzione dei problemi si è fatta più chiara: si è capito di cosa serve e cosa si deve fare al fine di risolvere un processo cognitivo. E la psicologia cognitiva usa infatti termini informatici e vede il cervello come una “centrale” di manipolazione e archiviazione delle informazioni. Il cervello non sarebbe che un manipolatore di dati. La peculiarità di questa disciplina è che si prefigge di studiare i meccanismi con cui i dati vengono manipolati nel cervello. Di una risoluzione di un problema si analizza la procedura per creare dei modelli procedurali. Un piccolo esempio: se dovessi chiedervi quale lettera viene dopo la “g” vi renderete conto che richiamate l’alfabeto andate sempre avanti di una lettera (lo ripetete mentalmente) fino a trovare la “g”, a quel punto la lettera che viene dopo è il vostro risultato. Una spiegazione del genere viene chiamata “modello procedurale”. Il modello procedurale è molto dettagliato e segue il procedimento passo per passo. Siccome una procedura del genere è un algoritmo si è spesso detto che la scienza cognitiva è lo studio dei processi cognitivi dal punto di vista degli algoritmi. Il secondo strumento di rilevanza per questa scienza sono i componenti funzionali, come la memoria, il “processore” (l’ elemento che esegue la manipolazione del simbolo) un modulo di controllo). Esattamente non si sa come sia fatto il cervello e come sia effettivamente costituita la memoria o il processore, ma questi sono elementi di comodo indispensabili. Ma il filone centrale della scienza cognitiva resta più ancorato alla filosofia piuttosto che alla psicologia in quanto, come abbiamo detto non si occupa dei processi cognitivi umani, ma dei processi cognitivi in generale. I cognitivisti sono convinti inoltre della tesi della “realizzabilità multipla”: i processi cognitivi, così come possono realizzarsi in un sistema naturale di carbonio, possono realizzarsi anche in sistemi diversi da questo.
ORIGINI DEI MODELLI COGNITIVISTI I modelli cognitivisti dell’apprendimento nascono dall’esigenza di conoscere e spiegare i meccanismi della mente umana e di dichiararne scientificamente possibile lo studio, possibilità precedentemente negata dal comportamentismo, che riteneva analizzabile solo il comportamento manifesto, in quanto direttamente osservabile. Influirono sulla formazione dei modelli cognitivisti i progressi scientifici in campo informatico e neurofisiologico, che comportarono, rispettivamente, una crescente attenzione sia per le macchine da calcolo, i computer, assimilabili nella lolro operatività alla mente umana, sia per il funzionamento del sistema nervoso e per i processi adattivi.
NEURALE o CONNESSIONISTA. Questi modelli risentirono, inoltre, degli studi sulla percezione delle forme, iniziati nei primi anni del Novecento dalla psicologia della Gestalt, secondo i quali l’apprendimento è la risultante di una intuizione (insight) regolata da leggi di strutturazione e ristrutturazione del campo, in grado di cogliere forme totali in modo globale e senza ricorrere necessariamente a schemi e conoscenze già acquisiti. Negli anni Quaranta, i teorici della nascente scienza cognitiva (filosofi, psicologi, neuroscienziati, informatici, antropologi, linguisti) focalizzarono la loro attenzione soprattutto sui processi cognitivi di mediazione e sulle forme mentali di organizzazione interna (strutture, simboli, schemi) preposte a rappresentare la realtà: i loro percorsi di ricerca, però, si diramarono presto in due approcci distinti, l’approccio COMPUTAZIONALE e l’approccio NEURALE o CONNESSIONISTA.
Questi approcci furono contraddistinti, rispettivamente, sia dall’interesse per le macchine da calcolo (quantitativo e logico-simbolico), il cui funzionamento è sequenziale e programmabile, sia dall’interesse per gli organismi biologici, adattivi ed evolutivi, la cui organizzazione si attiva secondo processi paralleli ed autoregolativi, corredati di meccanismi di retroazione (feedback). Il modello computazionale della mente, prevalso in un primo tempo, a partire dagli anni Sessanta, in virtù delle maggiori aspettative di progresso che presentava, fu poi integrato, e parzialmente sostituito, dall’approccio neurale, i cui modelli, non rigidamente predefiniti, sembrarono essere più consoni all’espressione della complessità della mente umana. Questi approcci furono contraddistinti, rispettivamente, sia dall’interesse per le macchine da calcolo (quantitativo e logico-simbolico), il cui funzionamento è sequenziale e programmabile, sia dall’interesse per gli organismi biologici, adattivi ed evolutivi, la cui organizzazione si attiva secondo processi paralleli ed autoregolativi, corredati di meccanismi di retroazione (feedback). Il modello computazionale della mente, prevalso in un primo tempo, a partire dagli anni Sessanta, in virtù delle maggiori aspettative di progresso che presentava, fu poi integrato, e parzialmente sostituito, dall’approccio neurale, i cui modelli, non rigidamente predefiniti, sembrarono essere più consoni all’espressione della complessità della mente umana. gig_2003
Sistema di elaborazione Tutti questi apporti di ricerca, insieme alle schematizzazioni espresse nei primi modelli dell’information processing, secondo i quali il sistema cognitivo riceve dall’ambiente informazioni in entrata (input), le elabora e le trasmette sotto forma di risposte (output), contribuirono a delineare gli aspetti generali dei modelli dell’apprendimento cognitivista, le cui caratteristiche, seppure di volta in volta specificate in singole teorie, sono riconducibili a comuni criteri interpretativi. Sistema di elaborazione delle informazioni Processi di immagazzinamento Input Output STIMOLO RISPOSTA
CARATTERI DEI MODELLI COGNITIVISTI Comune denominatore dei modelli cognitivisti dell’apprendimento può essere considerata l’ipotesi che la mente sia indagabile attraverso lo studio dei processi elaborativi delle unità o componenti che ne regolano il funzionamento. L’apprendimento è un processo fondato sull’attività di elaborazione delle informazioni, che si svolge in modo sequenziale, dalla stimolazione percettiva alla codifica dei dati, dalla archiviazione in memoria alle modalità di gestionali e di recupero delle informazioni, sino alla pianificazione delle risposte in relazione alle variabili ambientali.
I processi cognitivi si compongono di sequenze euristiche di procedure elaborative, dotate di scopi programmati, orientate verso fini prestabiliti e monitorate da regole predefinite, la cui acquisizione è preliminare alla fase operativa. L’apprendimento è, dunque, un processo sequenziale, e non, come per i comportamentismi, sommatorio; è programmato, sin nei minimi particolari, da regole, come avviene per un calcolatore elettronico; segue la logica euristica, ideata per la risoluzione dei problemi, che procede per prova ed errore secondo criteri di tipo se/allora (se si soddisfano le condizioni stabilite in partenza, allora diventano effettive le azioni volute
L’apprendimento è un processo elaborativo di informazioni, gestite da un sistema a capacità limitata, che le processa sequenzialmente attraverso una serie di funzioni cognitive, che vanno dalla codifica alla memorizzazione. L’input, l’informazione in entrata, viene, inizialmente, selezionato e codificato, cioè tradotto nel codice simbolico che il sistema è in grado di elaborare meglio; successivamente, viene registrato, sotto forma di rappresentazione mentale, prima nella memoria a breve termine, che serve per la operatività immediata del sistema, e poi nella memoria a lungo termine, dalla quale le rappresentazioni possono essere rielaborate, trasformate in concetti e richiamate all’occorrenza.
Perchè una informazione sia conservata a lungo nei magazzini delle memorie, e non ne sia presto cancellata, deve essere codificata e memorizzata dal soggetto in modo significativo, cioè rielaborata individualmente in modo autonomo e riflessivo. La trasmissione delle conoscenze, pertanto, non mira soltanto a trasferire contenuti, ma si pone il problema di come tali contenuti possono essere codificati, elaborati, memorizzati: obiettivo dei processi cognitivi è la comprensione della realtà e delle relazioni essenziali che ne costituiscono i problemi. L’apprendimento è complesso e la conoscenza deve tendere ad essere significativa ponendosi, in tal modo, su di un livello superiore, e, pertanto, auspicabile, rispetto alla trasmissione nozionistica di informazioni.
L’apprendimento si basa su meccanismi di comprensione e non di ritenzione mnemonica, in modo che le conoscenze siano più durature nella memoria e facilmente disponibili al richiamo. Ogni nuova acquisizione si confronta, infatti, con le precedenti e le conoscenze pregresse, i prerequisiti, regolano l’assimilazione degli apprendimenti successivi. Facendo leva sulle proprie abilità, qualitativamente differenziate, il soggetto sperimenta, nell’apprendere, strategie di approccio alla realtà, cioè forme di organizzazione della conoscenza che l’individuo in parte sviluppa in modo autonomo e in parte apprende nella interazione formativa.
Sequenziali (in ordine di complessità crescente) Programmabili MODELLI COMPUTAZIONALI DELL’APPRENDIMENTO Significativi Complessi Sequenziali (in ordine di complessità crescente) Programmabili Simbolici Euristici Soggettivi Razionali MODELLI CONNESSIONISTI DELL’APPRENDIMENTO Regolativi Continuativi Sommativi Indeterminati Sublinguistici Variabili Relazionati all’ambiente Aperti al caso
CRITERI DELL’INSEGNAMENTO COGNITIVISTA. L’insegnamento cognitivista è organizzativo di strategie, volto , cioè, a promuovere nel soggetto la capacità di apprendere e organizzare i contenuti di conoscenza in modo autonomo e significativo, affinché il soggetto riesca nell’effettuazione dei diversi compiti cognitivi che si propone di affrontare. Per riuscire in questo intento, l’insegnamento fa uso di sequenze di istruzioni che accompagnano gradualmente il soggetto nelle fasi di acquisizione cognitiva, permettendogli di elaborare informazioni via via sempre più complesse. Anche per questo motivo, l’insegnante deve essere costantemente disponibile e attento a cogliere le eventuali richieste di aiuto o chiarimento da parte di chi apprende, in modo da monitorare l’iter apprenditivo e da rivedere le pratiche formative in rispondenza dei feedback di risposta.
Le pratiche formative sono imperniate anche sulle attribuzioni di senso ai contenuti di apprendimento; sono, cioè, impegnate nel compattare le conoscenze in unità di significato facilmente memorizzabili proprio per il senso che viene dato loro e non soltanto perché sono state ripetute a lungo. La pratica ripetitiva non è, tuttavia, da trascurare, perché è funzionale al continuo richiamo delle conoscenze pregresse e alla loro revisione e convalida. I contenuti di apprendimento vanno, dunque, spiegati, esemplificati, scomposti e ricomposti perché siano ben compresi e memorizzati. Chiavi della memorizzazione sono forme efficaci di mediazione e di organizzazione linguistica dei concetti e l’attenzione a proporre i contenuti di apprendimento strutturati secondo modalità variate. Le modalità di insegnamento devono tendere ad essere individualmente differenziate, come, d’altra parte, l’offerta formativa deve tendere ad essere calibrata perché le informazioni trasmesse non siano troppe, ingenerando confusione, né poche, ingenerando demotivazione all’apprendimento
L’insegnamento favorisce, dunque, la memorizzazione a lungo termine e, nelle fasi di verifica, controlla che le informazioni precedentemente acquisite si siano stabilizzate: i controlli di verifica non saranno, soltanto, rivolti agli apprendimenti recenti, bensì a quelli passati, perché si ritiene più importante che chi apprende abbia una continuità nell’imparare, piuttosto che instaurare apprendimenti episodici. In questo modello, in definitiva, la trasmissione delle conoscenze è cumulativa e, sebbene l’intenzione sia quella di focalizzare l’attenzione sul soggetto nel processo di apprendimento, ciò avviene sempre in modo incompleto, sia perché l’individuo è colto più nella sua dimensione cognitiva che nella complessità cognitivo-affettivo-emozionale che lo caratterizza, sia perché la relazione didattica è osservata, sperimentalmente, in vitro, relativamente lontana, cioè, dalla concreta variabilità dei contesti di apprendimento e dalle connessioni di interdipendenza che questi sempre stabiliscono con l’individuo nella modulazione dei processi di formazione .
MODELLI COGNITIVISTI DELL’INSEGNAMENTO Organizzazione Di strategie Apprendimento significativo Spiegazione e comprensione Sequenze di istruzione Preparazione finalizzata al compito Pratica ripetitiva Monitoraggio dell’apprendimento Verifica in itinere dell’apprendimento Revisione in itinere dell’insegnamento Azione formativa calibrata Organizzazione linguistica Trasmissione cumulativa di conoscenze Situazione didattica acontestuale. MODELLI COGNITIVISTI L’APPRENDIMENTO è una elaborazione di processi mentali L’INDIVIDUO ha una strutturazione cognitiva interna L’EDUCAZIONE sviluppa la capacità di apprendere IL FORMATORE struttura i contenuti di apprendimento