L’Italia di fine Quattrocento “la fine della libertà italiana”
Il Sacro Romano Impero nel XIII secolo: un coordinamento di poteri feudali
L’Italia nel XIV secolo - Estrema frammentazione al centro-nord; - unità territoriale del Regno di Napoli
L’Italia al tempo della pace di Lodi (1454): sono già visibili i contorni degli stati regionali che si consolideranno nel secolo successivo
L’Europa nel 1492
L’Impero nel XV secolo
Dalla «libertà italiana» alla «pace spagnola». Nel secolo compreso fra la pace di Lodi (1454) e la pace di Cateau-Cambrésis (1559) si assiste ad un radicale mutamento degli equilibri politici della penisola italiana. Sono gli anni in cui Venezia passa dalla politica di potenza alla neutralità.
L’Italia dalla pace di Lodi (1454) alla discesa di Carlo VIII (1494) Ritornando con nostalgia ai beati anni Novanta del Quattrocento – gli anni immediatamente precedenti la morte di Lorenzo de’Medici – Francesco Guicciardini, ormai conclusa una brillante carriera politica e ritiratosi a vita privata, nei primi anni Trenta del Cinquecento individuava con lucido pessimismo alcune fra le cause della crisi politica che aveva scatenato circa mezzo secolo di guerre italiane portando alla fine della «libertà italiana».
L’Italia del 1490 nelle parole di Francesco Guicciardini «Ma le calamità d’Italia (acciocché io faccia noto quale fusse allora lo stato suo, e insieme le cagioni dalle quali ebbono l’origine tanti mali) cominciorno con tanto maggiore dispiacere e spavento negli animi degli uomini quanto le cose universali erano allora più liete e più felici. Perché manifesto è che, dappoi che lo imperio romano, indebolito principalmente per la mutazione degli antichi costumi, cominciò, già sono più di mille anni, di quella grandezza a declinare alla quale con meravigliosa virtù e fortuna era salito, non aveva giammai sentito Italia tanta prosperità, né provato stato tanto desiderabile, quanto era quello nel quale sicuramente si riposava l’anno della salute cristiana mille quattrocento novanta, e gli anni che a quello e prima e poi furono congiunti».
Lorenzo de’Medici (1449-1492) “… si attribuiva laude non piccola alla industria e virtù di Lorenzo de’ Medici, cittadino tanto eminente sopra ‘l grado privato nella città di Firenze che per consiglio suo si reggevano le cose di quella repubblica, potente più per l’opportunità del sito, per gli ingegni degli uomini e per la prontezza de’ denari, che per grandezza di dominio.”
Papa Innocenzo VIII (1432-1492) “… e avendosi egli … ridotto a prestar fede … a’ consigli suoi Innocenzo ottavo pontefice romano …” Lorenzo de’ Medici fa sposare la figlia Maddalena con il nobile Franceschetto Cybo, figlio del papa Innocenzo VIII (Gian Battista Cybo)
La conservazione della pace Lorenzo de’ Medici … “… procurava con ogni studio che le cose d’Italia in modo bilanciate si mantenessino che più in una che in un’altra parte non pendessino…”
Ferdinando I di Aragona re di Napoli (1427-1494) “… concorreva nella medesima inclinazione della quiete comune Ferdinando di Aragona re di Napoli, principe certamente prudentissimo e di grandissima estimazione; … con tutto che molte volte per l’addietro avesse dimostrato pensieri ambiziosi e alieni da’ consigli della pace …”
Alfonso d’Aragona duca di Calabria (1448-1495), poi Alfonso II di Napoli Ferdinando d’Aragona era… “… molto stimolato da Alfonso duca di Calavria, suo primogenito, il quale …” Sposa nel 1465 Ippolita Maria Sforza, figlia di Francesco duca di Milano, dalla quale avrà la figlia Isabella sposa nel 1488 di Gian Galeazzo Sforza, nipote di Francesco.
Gian Galeazzo Sforza, duca spodestato “… il quale malvolentieri tollerava che Giovan Galeazzo Sforza duca di Milano, suo genero, maggiore già di venti anni, benchè di intelletto incapacissimo, ritenendo solamente il nome ducale fusse depresso e soffocato …”
La sorte del ducato di Milano Gian Galeazzo Sforza (1469-1494) figlio di Galeazzo Maria Sforza duca di Milano e di Bona di Savoia. Alla morte del padre (1476) viene posto sotto la tutela della madre, ma nel 1480 lo zio Lodovico Sforza ottiene con un colpo di stato la reggenza sul ducato di Milano, usurpando di fatto il potere anche dopo la maggior età di Gian Galeazzo – sposo nel 1488 di Isabella di Napoli, figlia di Alfonso d’Aragona - che viene relegato a Pavia dove muore (forse ucciso) nel 1494.
Lodovico Sforza detto “il Moro” usurpatore del ducato di Milano Gian Galeazzo Sforza… “… depresso e soffocato da Lodovico Sforza suo zio: il quale avendo più di dieci anni prima, per la imprudenza e impudichi costumi della madre madonna Bona, preso la tutela di lui e con questa occasione ridotte a poco a poco in potestà propria … tutti i fondamenti dello stato, perseverava nel governo … da principe”.
Lodovico il Moro (1452-1508) Lodovico Sforza (1452-1508) detto il Moro, figlio di Francesco Sforza e fratello minore del duca di Milano Galeazzo Maria Sforza, marito di Bona di Savoia e padre di Gian Galeazzo. Alla morte del fratello (1476) muove guerra a Bona di Savoia, reggente in nome del piccolo Gian Galeazzo, ottenendo nel 1480 la tutela del nipote e la reggenza del ducato. Duca di fatto, ma non di diritto, Lodovico prima si allea con Napoli contro Venezia, poi (1494) con Carlo VIII di Francia contro Ferdinando d’Aragona. Con il regno di Luigi XII (1498), discendente da una Visconti e in quanto tale pretendente al ducato di Milano, viene spodestato e catturato dai francesi.
“…per fare contrapeso alla potenza de’ viniziani …” Ferdinando d’Aragona riteneva che… “… per fare contrapeso alla potenza de’ viniziani, formidabile allora a tutta Italia, conoscesse essere necessaria l’unione sua [di Napoli] con gli altri e specialmente con gli stati di Milano e di Firenze …”
Ferdinando, Lodovico e Lorenzo … … e la potenza di Venezia «Essendo adunque in Ferdinando, Lodovico e Lorenzo, parte per i medesimi parte per diversi rispetti, la medesima intenzione alla pace, si continuava facilmente una confederazione contratta in nome di Ferdinando re di Napoli, di Giovan Galeazzo duca di Milano e della repubblica fiorentina, per difensione de’ loro stati; la quale, cominciata molti anni innanzi e dipoi interrotta per vari accidenti, era stata nell’anno mille quattrocento ottanta, aderendovi quasi tutti i minori potentati d’Italia, rinnovata per venticinque anni: avendo per fine principalmente di non lasciare diventare più potenti i viniziani, i quali, maggiori senza dubbio di ciascuno de’ confederati, ma molto minori di tutti insieme, procedevano con consigli separati da’ consigli comuni, e aspettando di crescere della altrui disunione e travagli, stavano attenti e preparati a valersi di ogni accidente che potesse aprire loro la via allo imperio di tutta Italia».
I Veneziani nel giudizio di un papa «Vogliono apparire cristiani di fronte al mondo mentre in realtà non pensano mai a Dio e, ad eccezione dello Stato, che considerano una divinità, essi non hanno nulla di sacro, né di santo. Per un veneziano, è giusto ciò che è buono per lo Stato, è pio ciò che accresce l’Impero… Misurano l’onore in base ai decreti del Senato, e non secondo un modo corretto di ragionare… Voi pensate che la vostra repubblica durerà per sempre. Essa non durerà per sempre e nemmeno a lungo. La vostra plebaglia tanto perversamente radunata presto verrà dispersa in altre terre. La feccia dei pescatori verrà sterminata. Uno stato folle non può resistere a lungo» Pio II (1467)
Verona e la “potenza dei Viniziani” Se dunque l’eccessiva «potenza de’viniziani» era individuata come uno dei principali elementi di rottura del «tranquillo et pacifico vivere» della penisola, la posizione della città di Verona emergeva di conseguenza come uno dei nodi strategici della pace italiana. Città di frontiera posta a metà strada fra Venezia e Milano (base di partenza dell’attacco visconteo prima, e di quello imperiale poi) e lungo la via dell’Adige che collegava la pianura padana con i territori dell’Impero (da cui sarebbero scesi in più occasioni le armate tedesche), collocata fra la collina ed un’ansa naturale dell’Adige, Verona aveva sempre più la necessità di difendersi.
Verona dagli Scaligeri ai Visconti Le premesse della storia di Verona in età moderna stanno già tutte nell’ambizioso tentativo visconteo di costituire un grande dominio esteso da Vercelli a Belluno e da Bellinzona ad Assisi, comprendendo – nel momento di massima espansione attorno al 1400 – le città di Milano, Como, Pavia, Bergamo, Verona, Padova, a nord; Reggio, Bologna, Pisa, Siena e Perugia, al centro e a sud. Non è un caso che alcuni storici ottocenteschi abbiano visto in Gian Galeazzo Visconti un anticipatore del Risorgimento italiano: l’uomo capace di porre le basi per un grande stato italiano autonomo con solide radici nell’area centro-settentrionale. Il progetto visconteo fu invece effimero e già all’indomani della prematura ed improvvisa morte di Gian Galeazzo, nel 1402, venne messo in discussione da Carrara e Scaligeri da un lato e da Venezia dall’altro.
Il dominio visconteo alla morte di Gian Galeazzo (1404)
La dominazione viscontea a Verona (1387-1404) 1387: occupazione viscontea di Verona (guidata dagli esuli veronesi Bevilacqua, Nogarola e Malaspina, cacciati dalla città) nuove fortificazioni volute da Gian Galeazzo Visconti: Castel San Pietro (riedificato), Castel San Felice, Cittadella 1390: fallisce la rivolta antiviscontea 1392: Gian Galeazzo istituisce a Verona il “Consiglio per i sudditi dei territori oltre il Mincio” (Verona, Vicenza, Bassano, Feltre, Belluno) esautorando le magistrature locali 1402: morte improvvisa di Gian Galeazzo (a Melegnano, di peste), reggente Caterina Visconti. Alleanza tra il signore di Padova Francesco III “Novello” da Carrara e l’esule veronese Guglielmo della Scala (con il sostegno di Firenze) per riprendere Verona. 1404: occupazione carrarese-scaligera di Verona.
L’interregno carrarese-scaligero (1404-1405) 1404, 8 aprile: occupazione carrarese di Verona: Guglielmo della Scala proclamato Signore (+ 22 aprile) 1404, 22 maggio: Francesco da Carrara “il Novello” proclamato Signore di Verona, mentre la città è assediata dai veneziani 1405, 22 giugno: spontanea dedizione di Verona a Venezia
Verona veneziana (1405) Il 22 giugno 1405, in seguito da una spontanea dedizione, Verona veniva inglobata nei domini della Repubblica di Venezia. Tra il 1404 e il 1405 Venezia aveva ottenuto la dedizione di Vicenza (25 aprile 1404), Cividale e Belluno (18 maggio 1404), Bassano (10 giugno 1404), Feltre (15 giugno 1404). Pochi mesi dopo Verona sarebbe caduta anche Padova (17 novembre 1405), cancellando la dinastia carrarese. Di lì a poco, grazie ad un’alleanza tra Firenze e Venezia in funzione antiviscontea, la signoria milanese dovette cedere alla Serenissima le città di Brescia e di Bergamo che sarebbero entrate a far parte del Dominio di Terraferma nel 1433. Nel 1462 il Dominium Veneciarum si sarebbe trasformato formalmente nella Serenissima Signoria, suddivisa in Stado da Mar e Terraferma.
Venezia e la conquista della Terraferma (1404-1462) Con gli anni Quaranta del Quattrocento, in seguito alla conquista della Terraferma, si delineava quindi un solido dominio territoriale veneziano su gran parte delle regioni nord-orientali della penisola, in grado di assicurare alla Serenissima il pieno controllo delle vie di comunicazione tra la zona adriatica, la Pianura padana e le regioni transalpine, attraverso il controllo della bassa val d’Adige.
Venezia cambia vocazione: dal Mare alla Terraferma Fino a quando Venezia si era trovata alle spalle un mosaico di città grandi e piccole, feudi laici ed ecclesiastici, signorie rivali ma non aggressive, la pratica dei commerci e l’abilità diplomatica dei veneziani avevano avuto la meglio; ma quando, con Gian Galeazzo Visconti, si era profilato uno spazio territoriale più compatto sotto un unico signore – un vero e proprio embrione di Stato regionale – in grado di interrompere le vie di comunicazione con la pianura padana e con la Germania, di bloccare commerci e di muovere guerra alla città lagunare, la prospettiva era radicalmente cambiata: Venezia doveva prendere parte ai problemi della terraferma ed assicurarsi una posizione più sicura. «Agli occhi dei contemporanei le dedizioni di Vicenza, Verona, Belluno, Feltre e Padova […] non apparvero quali frutti di un espansionismo pianificato e fondato su pretese egemoniche: l’annessione del Veneto fino al Mincio non fu considerata un atto di imperialismo, ma solo una sorta di preventiva difesa contro eventuali riprese offensive dei Visconti o dei Carrara».
Verona “porta” d’Italia Verona, in questo nuovo quadro, godeva di una posizione privilegiata Verona “frontiera” e transito Verona “porta per l’Italia” Adige via di commercio 1405: La conquista veneziana della terraferma e il sistema di dominio / autonomia.
La prima dominazione veneziana a Verona (1405-1509) 1405, 22 giugno: inizio del dominio veneziano su Verona. Gabriele Emo, provveditore generale di San Marco, entra in Verona 12 luglio: solenne cerimonia della dedizione di Verona in Venezia di fronte al Doge 16 luglio: approvazione dei capitoli della dedizione 1454: pace di Lodi (Milano-Venezia, poi Firenze, papato e Napoli) 1463: guerra di Venezia contro i Turchi (occupazione veneziana della Morea) 1487, aprile-agosto: Bellum venetum o guerra roveretana tra Impero (Massimiliano conte del Tirolo) e Venezia per il controllo della Val Lagarina (10 agosto: battaglia di Calliano)
Il governo della Terraferma Il governo del Territorio veneto si fonda su ripetuti «Patti fra Dominante e città suddite» in modo da garantire spazio alle autonomie locali contestualmente al rafforzamento del dominio sulla terraferma. «Politica del diritto» (G. Cozzi) Tutte le città suddite mantenevano: consuetudini prerogative giurisdizionali e ampi poteri a livello locale i sistemi fiscali ereditati dalle signorie precedenti un apparato istituzionale autonomo (Consigli cittadini) regolato da Statuti risalenti all’età comunale
I «Patti di dedizione» quattrocenteschi fissano e confermano le regole sancite dagli Statuti comunali si assicurano gli abitanti da ogni violenza all’atto dell’occupazione si assicurano i magistrati da pene per gli uffici sostenuti sotto i passati governi si riuniscono alla città tutte le terre che si erano staccate in tempo di guerra non si imporranno nuovi tributi le giurisdizioni dei cittadini veronesi nel territorio non subiranno modifiche gli statuti della città rimarranno in vigore ai cittadini veronesi verranno riservati tutti gli uffici eccetto quelli di podestà e capitano i veronesi manteranno il monopolio delle cariche ecclesiastiche (clausola non rispettata) si vieta l’esportazione delle vettovaglie per evitare rincari si garantisce la libertà di commercio dei manufatti lungo l’Adige
Il governo di Verona veneziana 12 luglio 1405: dedizione solenne a Venezia 31 luglio 1405: su proposta del giureconsulto Barnaba Morano il Comune di Verona decide l’abolizione dell’Arengo e del Consiglio dei Cinquecento (Consilium Maius), sostituiti da: Due organi amministrativi espressione della realtà locale: Il Consiglio dei Cinquanta, eletti ogni sei mesi fra gli estimati maggiori, mediocri e minori (poi fra i soli nobili “di Consiglio”) Il Consiglio dei Dodici deputati ad utilia, esecutivo, rinnovato ogni due mesi ed espressione del Consiglio dei Cinquanta Una magistratura espressione del potere di Venezia: Due Rettori veneziani (eletti dal Senato di Venezia ogni 16 mesi fra i patrizi veneziani): Podestà – amministrazione civile e giudiziaria Capitano - autorità militare e finanziaria La restrizione oligarchica dei consigli («ubi multitudo ibi confusio») non pare essere stata un’imposizione dei veneziani, ma piuttosto sancisce una situazione di fatto che ai veneziani poteva far comodo.
Il governo della Terraferma Le istituzioni veneziane si modificano solo in piccola parte in seguito all’annessione della Terraferma: nel 1420 viene istituita la magistratura dei cinque Savi della Terraferma nel 1428 i Governatori delle entrate pubbliche dal 1440 gli atti del Senato sono divisi fra Mar e Terra la presenza di Rettori veneti in tutti i centri urbani della Terraferma crea una consuetudine prima inesistente e accresce le opportunità di clientelismo ma…tuttavia…manca: un reticolo istituzionale in grado di collegare le varie parti del dominio nei vari settori amministrativi e giudiziari una struttura statuale gerarchica e omogenea un canale di mobilità sociale dalla periferia al centro Mancano in particolare: canali di mobilità sociale attraverso gli uffici statali (ma esistono in ambito ecclesiastico) canali di promozione delle élites periferiche, condannate al municipalismo o all’emigrazione (clero, esercito, colonie, ecc.) elementi di sacralizzazione del potere politico (sostituito dalla Chiesa) un rapporto positivo tra patriziato della Dominante (chiuso e sclerotizzato, senza ricambio interno) ed élites locali (patrizie-cittadine, nobiliari, borghesi, ecclesiastiche)
Terraferma veneta: tre spazi diversi Non è più possibile parlare di “Terraferma” come di un tutt’unico, ma si deve parlare di più “Terreferme”, distinguendo almeno tre spazi diversi: Padova e Treviso – retroterra immediato di Venezia e primo spazio di insediamento terriero del patriziato veneziano (le ville). Terraferma urbana - ( a) Bassano, Vicenza, Verona / b) Brescia, Bergamo, Crema) dominate dalle élites patrizie locali e dalla dialettica locale città/contado. Terraferma feudale (Bellunese, Feltrino, Friuli) dominate dalla nobiltà rurale di origine feudale poco propensa a rapportarsi con i centri urbani.
Un governo flessibile Nella pratica concreta la flessibilità nell’applicazione delle prerogative di Venezia sulle città suddite era molto ampia e quindi più efficace. L’affermazione della sovranità di Venezia sulle città e sui territori era ritenuto più importante dell’imposizione dei propri ordinamenti. In tutte le città suddite (=amministrate) è presente il Rettore veneziano, patrizio, massima autorità giudiziaria e politica sua prerogativa è l’esercizio dell’arbitrium – empirico (= sentenze arbitrali) basato sulla discrezionalità e il buon senso dell’uomo comune, più che sul diritto; basato sulla consuetudine più che sulla norma Tutto ciò che non era di competenza delle autorità veneziane, ossia la maggior parte delle attività dei luoghi di Terraferma, era demandato alle molteplici istituzioni della Terraferma laiche ecclesiastiche
Un governo imperfetto In tutta la terraferma veneta si configura una situazione di estraneità politica reciproca (che si sconterà al momento della crisi e della caduta della Repubblica). A Verona si manifesta attraverso: un municipalismo accentuato nostalgie filoscaligere e frequenti complotti a favore dei signori esiliati, nei primi anni del dominio veneziano La propensione di una parte della nobiltà veronese per i Gonzaga di Mantova (1438-54) persistenti atteggiamenti filoimperiali della nobiltà più antica per la quale il potere ed il sistema degli onori è quello imperiale offerto dalla corte di Vienna
Venezia e la sua Terraferma: un problema storiografico La storia di Venezia non si identifica affatto con la storia della sua Terraferma: di qui la complessità di una storia dello Stato Veneto in età moderna. A lungo si è studiata Venezia ignorando il rimanente dello Stato (salvo i classici lavori di Marino Berengo del 1956 e di Angelo Ventura del 1964), ma da qualche anno siamo di fronte ad un’inversione di tendenza nella storiografia. Il dato che risalta nella storia dei rapporti fra Venezia e la sua Terraferma, rispetto alle vicende degli altri antichi Stati italiani, è «l’assenza di una struttura gerarchica capace di collegare il centro alla periferia» (C. Povolo, 1999), soprattutto in direzione periferia-centro. Questa situazione ebbe delle conseguenze rilevanti che ancor’oggi incidono sulla storia del Veneto.
Condizioni e limiti del governo veneto di terraferma Con i sistema di governo della terraferma veneta: Venne bloccata l’ascesa di famiglie-lignaggi (élites di periferia) verso il centro, tramite il ricorso ai consueti canali statali (amministrativi e giudiziari) disposti secondo una scala gerarchica (carriere), o tramite l’avvicinamento-inserimento nella corte del Principe. Si verificò di conseguenza una sclerotizzazione culturale del ceto dirigente lagunare, privo di ricambio ed arroccato sulle proprie tradizioni e sulla conservazione dei propri privilegi di status. Si rafforzò la vocazione municipalistica (autosufficienza) dei centri urbana della Terraferma, indotti a non integrarsi fra loro e in un sistema statuale più ampio. Venne bloccata, nella cultura delle élites della Terraferma, la formazione di una concezione etica dello Stato, in grado di coniugare le tensioni personali con un superiore interesse generale.
Condizioni e limiti del governo veneto di terraferma Venne incentivata una spiccata conflittualità tra corpi e ceti (patriziato veneziano/patriziati locali/nobiltà locali/feudalità/consigli/comunità, ecc.), dissimile da quella presente in altre realtà. Non si configurò mai una figura simbolo (il sovrano) in grado di costituirsi come punto di riferimento non solo della città dominante, ma di tutto lo Stato. Consentì il costituirsi di un particolare rapporto fra Stato (particolare) e Chiesa (universale) consentendo alla Chiesa e alle sue istituzioni di rappresentare un momento unificante per la società veneta, anche a livello di formazione delle élites (carriere e mobilità dalla periferia al centro, in direzione di Roma). Accentuò il divario culturale tra città e campagna, confermando la dimensione fortemente municipalistica del mondo rurale. Accentuò la fisionomia tradizionale delle istituzioni cittadine e la conservazione dei particolarismi. Intensificò nei rapporti centro-periferia le relazioni informali legate al patronato e alle clientele a scapito delle relazioni formalizzate all’interno dei canali statuali.