Idiografo dei Rerum Vulgarium Fragmenta (Canzoniere) di F Idiografo dei Rerum Vulgarium Fragmenta (Canzoniere) di F. Petrarca Roma, Biblioteca Apostolica Vaticana ms. Vaticano latino 3195 c. 1 r
Francisci petrarche laureati poete Rerum uulgarium fragmenta Voi chascoltate in rime sparse il suono Di quei sospiri ondio nudriual core Insul mio primo giouenile errore Quādera īparte altruom da ɋl chisono Del uariostile in chio piango 7 ragiono Fra le uane speranƺe eluan dolore Oue sia chi ƿ proua intenda amore Spero trouar pieta non che perdono Ma ben ueggio or si come al popol tutto Fauola fui grā tēpo onde sovente Di me medesmo meco mi uergogno Et del mio uaneggiar uergogna el frutto el pentersi el conoscer chiaramēte Che quāto piace al mōdo e breue sogno.
Francisci petrarche laureati poete Rerum uulgarium fragmenta Voi chascoltate in rime sparse il suono Di quei sospiri ondio nudriual core Insul mio primo giouenile errore Quādera īparte altruom da ɋl chisono Del uariostile in chio piango 7 ragiono Fra le uane speranƺe eluan dolore Oue sia chi ƿ proua intenda amore Spero trouar pieta non che perdono Ma ben ueggio or si come al popol tutto Fauola fui grā tēpo onde sovente Di me medesmo meco mi uergogno Et del mio uaneggiar uergogna el frutto el pentersi el conoscer chiaramēte Che quāto piace al mōdo e breue sogno. Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono di quei sospiri ond’io nudriva ‘l core in sul mio primo giovenile errore quand’era in parte altr’uom da quel ch’i’ sono, del vario stile in ch’io piango e ragiono fra le vane speranze e ‘l van dolore, ove sia chi per prova intenda amore, spero trovar pietà, non che perdono. (Edizione Contini) Ma ben veggio or sì come al popol tutto favola fui gran tempo, onde sovente di me medesmo meco mi vergogno; et del mio vaneggiar vergogna è ‘l frutto e ‘l pentersi, e ‘l conoscer chiaramente che quanto piace al mondo è breve sogno.
Operazioni eseguite nell’edizione Scioglimento delle abbreviazioni tachigrafiche Separazione delle parole secondo l’uso moderno Inserimento dell’interpunzione e degli altri segni paragrafematici Distinzione di u e v Trascrizione con e di et e della nota tironiana (7) Inserimento di h nelle forme del verbo avere dove l’uso moderno la richiede Incolonnamento dei versi del sonetto e distinzioni delle parti secondo l’uso moderno Nota alla grafia
Roma, Bibl. Apostolica Vaticana ms. Chigiano L V 176, c. 67r Rime di F Roma, Bibl. Apostolica Vaticana ms. Chigiano L V 176, c. 67r Rime di F. Petrarca Autografo di G. Boccaccio
PAce non trouo (et) non o dafar guerra PAce non trouo (et) non o dafar guerra ! (et)temo (et)spero (et)ardo (et) sono un ghiaccio ! Et uolo sopra ilcielo (et)giaccio interra ! (et) nulla stringo (et) tutto il mondo abraccio ! Tal ma in prigion cheno(n) mapre neserra ! nep(er)suo miritien nescioglie illaccio ! Et no(n) mancide amore (et)no(n) misferra ! nemi uuol uiuo ne mitrae dimpaccio ! ₵ Ueggio senƺa occhi (et) no(n) o lingua (et) grido ! (et) bramo diperire (et) cheggio aita ! (et)o in(n)odio me stesso (et) amo altrui ! ₵ Pascomi didolor piangendo rido ! egualme(n)te mi spiace (et)morte (et)uita ! in questo stato son donna per uoi; Trascrizione diplomatica
PAce non trouo (et) non o dafar guerra PAce non trouo (et) non o dafar guerra ! (et)temo (et)spero (et)ardo (et) sono un ghiaccio ! Et uolo sopra ilcielo (et)giaccio interra ! (et) nulla stringo (et) tutto il mondo abraccio ! Tal ma in prigion cheno(n) mapre neserra ! Nep(er)suo miritien nescioglie illaccio ! Et no(n) mancide amore (et)no(n) misferra ! nemi uuol uiuo ne mitrae dimpaccio ! ₵ Ueggio senƺa occhi (et) no(n) o lingua (et) grido ! (et) bramo diperire (et) cheggio aita ! (et)o in(n)odio me stesso (et) amo altrui ! ₵ Pascomi didolor piangendo rido ! egualme(n)te mi spiace (et)morte (et)uita ! in questo stato son donna per uoi; Pace non trovo e non ho da far guerra; e temo e spero; e ardo e sono un ghiaccio; e volo sopra il cielo e giaccio in terra; e nulla stringo e tutto il mondo abraccio. Tal m’ha in prigion che non m’apre né serra, né per suo mi ritien, né scioglie il laccio. e non m’ancide Amore e non mi sferra né mi vuol vivo, né mi trae d’impaccio. Veggio senza occhi e non ho lingua e grido, e bramo di perire e cheggio aita, e ho inn-odio me stesso e amo altrui. Pascomi di dolor, piangendo rido; ugualmente mi spiace e morte e vita: in questo stato son, donna, per voi.
Testi pratesi della fine del Dugento e dei primi del Trecento, a cura di L. Serianni, Firenze, Accademia della Crusca, 1977, p.455
Berlino, Biblioteca di Stato cod. Hamilton 90, c Berlino, Biblioteca di Stato cod. Hamilton 90, c. 16v Autografo del Decameron di Giovanni Boccaccio
La Lauretta appresso Pampinea sedea; la qual, veg- gendo lei al glorioso fine della sua novella, sen za altro aspettare a parlar cominciò in cotal guisa: - Graziosissime donne, niuno atto della fortuna, se- condo il mio giudicio, si può veder maggiore che ve- Decameron. Inizio Giorn. II, nov. 4 (ed. Branca, in Tutte le opere di Giovanni Boccaccio, IV, Milano, Mondadori, 1976).
dere uno d'infima miseria a stato reale elevare, come la novella di Pampinea n'ha mostrato essere al suo Alessandro adivenuto. E per ciò che a qualunque della proposta materia da quinci innanzi novellerà converrà che infra questi termini dica, non mi vergognerò io di dire una novella, la quale, ancora che miserie maggiori in sé contenga, non per ciò abbia così splendida riuscita. Ben so che, pure a quella avendo riguardo, con minor diligenzia fia la mia udita: ma altro non potendo sarò scusata.