L’uomo come guscio vuoto La questione antropologica alla luce della Caritas in Veritate.
Questa presentazione trae spunto dall’interessante riflessione fatta dal professore Donati sotto la pineta di Calarossa nel mese di agosto del 2009.
La carità come relazione La carità principio di organizzazione sociale Verso il binomio società civile & famiglia Rapporto carità & verità
La carità come relazione
POPULORUM PROGRESSIO LO SVILUPPO DEI POPOLI 26 marzo 1967 PER UNO SVILUPPO INTEGRALE DELL'UOMO VERSO LO SVILUPPO SOLIDALE DELL'UMANITÀ
L’enciclica Caritas in Veritate propone un nuovo modo di pensare in risposta a una richiesta che era già stata fatta da Paolo VI nella Populorum Progressio (1967), quando ha affermato che ‘il mondo ha bisogno di un pensiero nuovo’.
Il Papa nell’enciclica ha presente coloro che sostengono che si sta passando (e si dovrebbe andare) verso il posthumanum, il transhumanum, cioè coloro che propongono il superamento della categoria dell’umano, perché – a loro dire – l’umano è troppo debole e possiamo, con la scienza e la tecnologia, attingere un livello superiore di capacità e potenza.
È chiaro che l’umano tende a superarsi, a eccedersi; sempre al sovraumano. Il problema è come ci tenta. Oggi l’umano tenta di attingere il sovraumano non già attraverso lo spirito, cioè sviluppando le proprie potenzialità spirituali, ma attraverso la tecnologia, i consumi, lo sviluppo economico, il benessere materiale, ecc. anziché cercarlo nello spirituale, nel soprannaturale.
Idea al centro della Populorum Progressio di Paolo VI La carità è la principale forza che muove il mondo, muove tutto, è la chiave dello sviluppo della persona, è la chiave dello sviluppo dei popoli, è la chiave dello sviluppo dell’intera umanità. E Il dato fondamentale della Caritas in Veritate è lo stesso: “la carità (…) è la principale forza propulsiva per il vero sviluppo di ogni persona e dell'umanità intera” (n. 1)
Qual è la novità introdotta dall’enciclica di papa Benedetto XVI? Che la Carità, al di là di una bella immagine più o meno sentimentale, non è un mero sentimento, non è un atto individuale di generosità, non è un fatto privato, non è solo una virtù, ecc. ecc. La novità dell’enciclica stà nel vedere la Carità come una relazione o come ciò che dà vera sostanza alle relazioni.
“La rivelazione cristiana sull'unità del genere umano presuppone un'interpretazione metafisica dell'humanum in cui la relazionalità è elemento essenziale” (n. 55). E’ la qualità delle relazioni che fa l’umano. L’umano si definisce attraverso la relazionalità. Se la persona non si realizza nella relazionalità [non c’è umanità. L’umano è lì, non nell’individuo come individuo. La relazione è costitutiva della persona.
“La creatura umana, in quanto di natura spirituale, si realizza nelle relazioni interpersonali. Più le vive in modo autentico, più matura anche la propria identità personale. Non è isolandosi che l'uomo valorizza se stesso, ma ponendosi in relazione con gli altri e con Dio. L'importanza di tali relazioni diventa quindi fondamentale. Ciò vale anche per i popoli. È, quindi, molto utile al loro sviluppo una visione metafisica della relazione tra le persone”, n. 53) Queste espressioni non sono mai state scritte in un’enciclica.
Uno sviluppo autenticamente umano deriva dalla condivisione dei beni e delle risorse Come assicurarlo?
Come ottenere la condivisione dei beni e delle risorse? SCELTA A Affidandolo soltanto al progresso tecnico e alle relazioni di convenienza che creano di fatto interdipendenze.
Come ottenere la condivisione dei beni e delle risorse? SCELTA B Cercandolo nel potenziale della Carità da cui emerge un bene condiviso: una nuova interazione tra le coscienze e le intelligenze che apre alla reciprocità (questo bene che emerge è la Carità).
Il rischio del nostro tempo è che all'interdipendenza di fatto tra gli uomini e i popoli non corrisponda l'interazione etica delle coscienze e delle intelligenze, dalla quale possa emergere come risultato uno sviluppo veramente umano
2. La carità principio di organizzazione sociale
Lo sviluppo è impossibile senza uomini retti, senza operatori economici e uomini politici che vivano fortemente nelle loro coscienze l'appello del bene comune. (n.71) La verità apre e unisce le intelligenze (n.4) Sono necessarie sia la preparazione professionale sia la coerenza morale. Quando prevale l'assolutizzazione della tecnica si realizza una confusione fra fini e mezzi, l'imprenditore considererà come unico criterio d'azione il massimo profitto della produzione; il politico, il consolidamento del potere; lo scienziato, il risultato delle sue scoperte. (n.71)
È solo così che la carità, può diventare un principio di organizzazione sociale. In caso contrario, l’enciclica indicherebbe un’assoluta e pura utopia. Dire agli economisti, agli imprenditori, ai banchieri, ai finanzieri, ai petrolieri, che il mondo deve essere guidato dalla carità, non avrebbe senso. Ma neanche avrebbe senso rivolgersi ai politici, e in generale a nessuno degli attori dello stato e del mercato.
Se io fossi un uomo politico o un attore economico del mercato e del profitto, e leggessi questa enciclica senza aver presente questo, molto facilmente direi: è bella come i fuochi d’artificio che si fanno in certe ricorrenze e feste, o per divertirsi. Insomma, come può la carità diventare un principio di organizzazione sociale, e quindi economica, politica, ecc.?
Il Papa parte dalla questione sociale per farla diventare una questione antropologica: chi è l’uomo? chi è la persona? La soluzione di tale questione va ricercata nella categoria della relazione. “L’importanza di tali relazioni diventa quindi fondamentale. Ciò vale anche per i popoli” (n. 53). Questo è il leit motive di tutta l’enciclica.
Il principio della relazionalità come fondamento dello sviluppo della persona umana, viene applicato, all’economia, alla politica, alla famiglia, alle tecnologie, all’idea del progresso, alle imprese di ogni tipo, ecc. ecc. E quindi il problema è il passaggio da questa visione teologica e anche, se vogliamo, filosofica/ontologica/epistemologica, alla sua concretizzazione operativa in tutte le dimensioni della vita sociale.
Prima di entrare in alcune manifestazioni pratiche, ricordiamo che la Chiesa non ha soluzioni tecniche da offrire e non pretende « minimamente d'intromettersi nella politica degli Stati ». Ha però una missione di verità da compiere, in ogni tempo ed evenienza, per una società a misura dell'uomo, della sua dignità, della sua vocazione. Senza verità si cade in una visione empiristica e scettica della vita, incapace di elevarsi sulla prassi, perché non interessata a cogliere i valori — talora nemmeno i significati — con cui giudicarla e orientarla. (n.9)
La fedeltà all'uomo esige la fedeltà alla verità che, sola, è garanzia di libertà (cfr Gv 8,32) e della possibilità di uno sviluppo umano integrale. Per questo la Chiesa ricerca la verità, l'annunzia instancabilmente e la riconosce ovunque essa si palesi. Questa missione di verità è per la Chiesa irrinunciabile. (n.9)
La sua dottrina sociale è momento singolare di questo annuncio: essa è servizio alla verità che libera. Aperta alla verità, da qualsiasi sapere provenga, la dottrina sociale della Chiesa l'accoglie, compone in unità i frammenti in cui spesso la ritrova, e la media nel vissuto sempre nuovo della società degli uomini e dei popoli. (n.9)
3. Verso il binomio società civile & famiglia
Il Papa nella Caritas in Veritate fa con grande chiarezza un affermazione molto importante che il binomio Stato&Mercato sta uccidendo la socialità, quindi sta uccidendo la relazionalità fra le persone.
Cos’è la società civile secondo l’enciclica? Il Papa richiama il pensiero della Centesimus annus (1991), laddove Giovanni Paolo II dice: bisogna considerare tre attori, il mercato, lo stato e la società civile.
Tutto il processo della modernità è la costruzione del mercato (lib) regolato dallo stato (lab): il compromesso lib–lab. fra i liberali e i socialisti. Noi siamo dentro questo modello. La nostra società sviluppa il mercato e poi ridistribuisce qualcosa sotto forma di welfare ai poveri, fa uguaglianza sociale, uguaglianza di opportunità di concorrere nel mercato attraverso la regolazione dello stato.
Tutta la nostra società sta andando avanti così. Più mercato, più opportunità individuali, più competizione, più produttività, più efficienza, ecc. ecc. a patto che lo stato possa regolare tutto questo e ridistribuire risorse assicurando, fin dove può, l’uguaglianza di opportunità, l’uguaglianza di partenza ecc. ecc.
Se noi continuiamo per questa strada, dice l’enciclica, noi uccidiamo la società, perché questo assetto uccide le relazioni interpersonali, uccide le relazioni associative nella società civile. L’idea di fondo è che bisogna rovesciare il processo di sviluppo della società.
Detto molto in sintesi, lo sviluppo della società moderna è guidato da stato e mercato. Il problema quindi è compiere questo passaggio: passare dal primato del binomio stato/mercato al primato del binomio famiglia/società civile. Dove società civile è distinta dal mercato.
La grande novità dell’enciclica – dovuta al contributo di alcuni studiosi – sta nel far vedere che esiste tutta una tipologia di realtà organizzative che stanno fra il mercato di profitto e la società civile, le quali sono di tipo solidaristico, non solo nel senso mutualistico e caritativo nel senso tradizionale del termine, ma nel senso che sono capaci di imprenditorialità e di costruzione di nuovi modelli di azione sociale per il bene comune, per esempio le organizzazioni di privato sociale.
Non si tratta di mettere in risalto la possibilità di avere delle piccole realtà caritative, ma di attingere una visione molto più grande, che coinvolge l’intera società. È da questo punto di vista che si deve comprendere l’affermazione del Papa secondo cui “il problema decisivo è la complessiva tenuta morale della società” (n. 51). Quello che il Papa dice è che la società (civile) non regge più. Non a caso il Papa dice: occorre che gli uomini “tessano delle reti di carità” (n. 9).
Ecco allora un altro punto essenziale dell’enciclica quando afferma che l’agire umano non deve guardare solo all’adempimento degli obblighi comandati (dalla legge), né avere solo il motivo del guadagno, ma deve e può adottare un altro principio-guida: quello della reciprocità.
“La città dell'uomo non è promossa solo da rapporti di diritti e di doveri” (cioè: diritti e doveri vuol dire come prescritto per legge dallo stato e in base alle regole del mercato), ma ancor prima e ancor più “da relazioni di gratuità, di misericordia e di comunione. La carità manifesta sempre anche nelle relazioni umane l'amore di Dio, essa dà valore teologale e salvifico a ogni impegno di giustizia nel mondo” (n. 6).
Si insiste molto sulla fraternità. Però qui nell’enciclica, il Papa quello che ci tiene a dire è che il dono e la fraternità non devono essere categorie marginali, cioè per gli emarginati. Il dono, la fraternità, la gratuità, la misericordia, ecc. non possono essere delle realtà indirizzate solo o principalmente ai poveri, ai tossici, agli emarginati, ai drop-out di vario genere, ma devono essere anche un principio di organizzazione delle imprese economiche, dei sindacati, delle associazioni dei consumatori, delle relazioni internazionali, ecc.
4. Rapporto carità & verità
La base di questa relazionalità è quello del rapporto fra carità e verità. La carità diventa un principio di organizzazione sociale, quindi non privatistico o soggettivo, se e solo se è strettamente connessa con la verità. È la verità che fa passare la carità da fatto privato, intimo, individuale a fatto sociale, a fatto di organizzazione della società. Dice il Papa: “Senza la verità, la carità viene relegata in un ambito ristretto e privato di relazioni” (n. 4).
È proprio ciò che l’enciclica vuole, non dico “combattere” - il termine sarebbe troppo duro -, ma certamente intende criticare e superare: cioè l’idea che la carità sia una relazione per un ambito ristretto e privato di rapporti umani. La carità deve diventare un principio sociale, di organizzazione sociale: per ottenere questo, le occorre la verità, perché senza la verità la carità rimane un’emozione. Solo se c’è un interscambio tra verità e carità, cioè se si pensano relazionalmente, allora si ha un cambiamento sociale.
Il nuovo umanesimo è legato a questo nesso, a questa connessione inscindibile, tra verità e carità che è quella che caratterizza l’umano. La relazionalità di cui parla il Papa, quando afferma che la metafisica dell’humanum ha nella relazionalità un elemento essenziale (n. 55), è quella relazionalità che ha come suo costitutivo il nesso tra carità e verità.
Il Papa insiste molto sull’idea della civilizzazione del mercato Il Papa insiste molto sull’idea della civilizzazione del mercato. Cosa vuol dire civilizzare il mercato? Vuol dire fondamentalmente che il profitto non può essere il fine esclusivo dell’attività economica. Di qui l’idea che il Papa esprime per cui le aziende non dovrebbero rispondere solo agli azionisti. L’enciclica su questo dice “no!”: le imprese economiche, dalle banche alle aziende, non possono - non possono! - rispondere solo agli azionisti, devono rispondere a tutti gli stakeholders che, come sapete bene, sono tutti i portatori di interessi.
Gli operatori di mercato si dovrebbero interrogare e regolarsi di conseguenza. Attenzione: non viene negato il valore del profitto, perché anche le organizzazioni non-di-profitto devono fare profitto se vogliono andare avanti, nessuno va avanti se spende più di ciò che ricava.
(Esempio della bioetica per far cogliere lì l’importanza della relazionalità) Una conseguenza dell’approccio relazionale sulla procreazione artificiale è questa: se è vero che ciò che caratterizza l’humanum è la relazione, allora il problema della procreazione umana sta nel fatto che l’identità del bambino è umana nella misura in cui ha una sua dignità la relazione che lo ha generato. Per cui non si può dire che la procreazione artificiale possa essere usata da un individuo o da due individui a prescindere dalla relazione che dà dignità al figlio. Questa è soltanto una delle tante applicazioni che si possono avere delle applicazioni del principio ‘relazionale’.
“Senza verità, la carità scivola nel sentimentalismo. L'amore diventa un guscio vuoto, da riempire arbitrariamente. È il fatale rischio dell'amore in una cultura senza verità.” (n.3)