Giosuè Carducci.

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Giosuè Carducci

Carducci, Giosué, il " Vate della Terza Italia ", come fu definito per la sua concezione eroica della poesia e per il prestigio nazionale e ufficiale che gli fu riconosciuto dopo l'unità, esercitò vasta influenza tra la fine dell'800 e l'inizio del '900 anche per la sua opera di critico e di studioso. 1835 - Giosuè Carducci, nasce a Valdicastello, frazione di Pietrasanta (Versilia) dal medico condotto Michele Carducci e da Ildeganda Celli. 1839 - II padre è trasferito a Bòlgheri (Maremma Pisana), qui Giosuè trascorre l'infanzia: luogo che spesso torna nella sua lirica "dolce paese, onde portai conforme / l'abito fiero e lo sdegnoso canto ". Il padre, carbonaro e mazziniano, la madre, innamorata dell'Alfieri, furono i suoi primi maestri in quell'ambiente in cui visse "Quel tratto della maremma che va da Cecina a San Vincenzo è il cerchio della mia fanciullezza e della mia prima adolescenza. Ivi vissi, o, per meglio dire errai, dal 1848 all'aprile del 1849"

La famiglia Carducci a Bòlgheri rimane fino al 1849, quando si trasferisce prima a Castagneto e poi a Firenze. Qui Giosuè dal 1849 al 1852 studia presso l'istituto degli Scolopi. 1856 - Si laurea nella Scuola Normale di Pisa, andando ad insegnare subito dopo a San Miniato. Le letture di Foscolo e di Leopardi approfondirono in lui quel culto per le tradizioni e gli ideali classici, che lo indusse a fondare, con altri giovani letterati, la società letteraria degli " Amici pedanti " (1856). 1857 - Appare la sua prima raccolta di versi, intitolata "Rime". 1859 - Sposa Elvira Menicucci, dalla quale ebbe quattro figli: Dante, Bice, Laura e Libertà.

A breve distanza l'una dall'altra, una dolorosa parentesi: la morte del fratello Dante, suicida, e del padre fu costretto a provvedere al mantenimento della madre e del giovanissimo fratello Valfredo. In questo periodo componeva le liriche comprese in "Levia gravia" (1861 - 1871) e in "Giambi ed epodi" (1867 - 1872), cui premise l'inno "A Satana" (1863) in cui viene celebrato come simbolo della ribellione eterna della vita. 1870 - Perde la madre e il figlioletto Dante. Periodo di nostalgie, le memorie ("Idillio maremmano", "Nostalgia") della Maremma si fondono con voci sommesse di rimpianto ("Funere mersit acerbo" e "Pianto antico", dedicate alla morte del figlio. L'amore della vita tocca le corde del poeta; ma risonanze più forti hanno gli accenti di stanchezza, di sconforto, di dolore, di triste rassegnazione o di grande sconsolazione, che sgorgano dalle singhiozzanti strofette.

1899 - È colto da un attacco di paralisi, ma continuerà a insegnare all'Università di Bologna fino al 1904. 1906 - Gli viene conferito il premio Nobel per la letteratura. 1907 - Muore il 16 febbraio, 72 enne a Bologna, nella cui Certosa è sepolto.

Poetica carducciana In lui è forte una opposizione al Romanticismo e predilige il sentimentalismo, la poesia popolare. Con Carducci si ha un ritorno alla cultura classica e tale corrente letteraria prende il nome di NEOCLASSICISMO Neoclassicismo inteso come liberazione dal dolore, isola felice di serenità e armonia. La vita, per Caarducci, è dunque un’opera costruttiva che ha come fine la celebrazione dei valori terreni, come ad esempio: l’eroismo, la gloria, ecc…

Commento alla poesia: San Martino In questa poesia Giosuè Carducci ci fa capire quanto è malinconico l'autunno con la sua stagione fredda e piovosa, ma nello stesso tempo nell'aria c'è un odore di vino nuovo e nelle case si sente lo scoppiettio dei camini accesi che danno una grande sensazione di pace e gioia per la serenità e felicità che solo le cose vere della vita, cioè i valori, possono dare. Nella prima strofa il poeta descrive il paesaggio autunnale dove la nebbia copre gli alberi spogli bagnandoli di minuscole goccioline e, a causa del vento maestrale, il mare è agitato e spumeggiante ed infine il rumore delle onde forma delle urla spaventose. Nella seconda strofa, invece, il poeta mette in risalto la differenza tra la tristezza della natura e la felicità delle persone semplici. Infatti ci descrive che nel paese si sente l'aspro odore del vino fermentato che rallegra lo stato d'animo delle persone che hanno dovuto lavorare duramente nei campi per far crescere l'uva che poi è stata raccolta. Nelle ultime due strofe il poeta ci fa rivivere la serenità che si prova nelle povere case quando lo spiedo viene cotto nei camini mentre il cacciatore fischiettando fuori dalla porta cerca di prendere qualche uccello che nel tramonto rossastro della sera si vede allontanare in cerca di posti più caldi. Il poeta paragona gli uccelli neri che migrano a dei brutti pensieri che se ne vanno.