PRATICHE FILOSOFICHE NEI LUOGHI DI CURA

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PRATICHE FILOSOFICHE NEI LUOGHI DI CURA   L’Esperienza reale del Dolore. La Filosofia come Medicamento spirituale Seminario nazionale - Torino 26-27 Novembre 2011

Il tempo in cui viviamo è quello della Krisis [termine da intendere intrinsecamente polisemico, come “difficoltà … giudizio …” ], che è: Cognitiva [del pensiero discorsivo] Etica [di fiducia nella possibilità di condividere un “fine” e “valori” fondanti] Finanziaria [speculazioni finanziarie e debiti sovrani] Economica [nuova divisione del lavoro nel mondo] Politica [della Rappresentanza e della Democrazia] … ma, la più importante è forse quella della Qualità relazionale, sostituita dalla Comunicazione pervasiva e generica, fuorviante e onnivora … … perché

La Filosofia per Rigorizzare, Rischiarare, Orientare … la Filosofia, per come la intendiamo noi, è la via maestra della rigorizzazione terminologica e logica, del rischiaramento concettuale e del processo intellettuale che può produrre “orientamento” [da orior, oreris, sorgere vs. m-orior, m-oreris …!] Se così è … Abbiamo invece visto come il counseling filosofico (L. Nave, 25 novembre 2011) si ponga essenzialmente come tecnicalità … La Filosofia per Rigorizzare, Rischiarare, Orientare

Ungaretti e san Sebastiano SONO UNA CREATURA Valloncello di Cima Quattro il 5 agosto 1916 Come questa pietra del S. Michele così fredda così dura così prosciugata così refrattaria così totalmente disanimata Come questa pietra è il mio pianto che non si vede La morte si sconta vivendo Soldati Bosco di Courton luglio 1918   Si sta/ come d'autunno/ sugli alberi/ le foglie. … e l’iconografia di san Sebastiano in Antonello da Messina a Venezia e Mantegna a Parigi Ungaretti e san Sebastiano

Se così è, anche il tema del dolore e della morte merita innanzitutto una chiarificazione e rigorizzazione terminologico-concettuale, a partire dalle sue etimologie fondamentali: a) sofferenza e b) patire/patimento Il Dolore e la Morte

Trattandosi di un tema che ha-a-che-fare- con-l’essere dell’uomo, e quindi può dirsi ontologico, va trattato anche da questo punto di vista: il dolore come male, cioè a) “defectio boni” e/o b) come “realtà reale”? Il Dolore come Male

Il Dolore come Presenza e come Assenza Il dolore come “presenza” di un qualcosa-che-si-sente, che ingombra, ma anche come “assenza” [di salute, di affetti, di lavoro, di libertà, etc.]. Il dolor corporis, il dolor animi … e il dolor ex civibus amissis. Il Dolore come Presenza e come Assenza

Il dolore è sintomo di uno squilibrio, di una irritazione, di disturbi funzionali e di meccanismi psicosomatici e riflessivi vegetativi, di una lesione, o ferita, ed è generalmente un segnale di attenzione per un pericolo, per una patologia. È positivo, e perfino buono come segnalazione di un qualcosa che non va. Pschyrembel, Klinisches Wörtherbuch, ISBN 3-11-018171-1, 2004 de Gruyter, Walter, GmbH&Co, Berlin. Il Dolore come Sintomo

Il verbo greco πάσκω, pàsco, significa “ciò che si prova nel fisico e nel morale”, e poi ”provare un’impressione, una sensazione, un sentimento”, e dunque ”soffro, sopporto, subisco, e anche supporto”, così come nella traduzione latina patior, e italiana patire: dolore, miseria, danno, sciagura, disgrazia, calamità, sconfitta, etc.. Soffrire … Patire

La Pazienza come virtù costitutiva del Coraggio La nozione greco-latina del patire è quindi origine dell’etimo della stessa virtù di pazienza [patientia], la quale ha come parte integrante fondamentale la fortezza, e dunque il coraggio. Il paziente è forte, e dunque è virtuoso, perché la fortezza [α̉ρητή] è la virtù per eccellenza [Platone, Aristotele, Gregorio Magno]. La Pazienza come virtù costitutiva del Coraggio

Il Dolore e la Sofferenza Se vi è una relazione tra dolore e sofferenza il patire, che è anche un sopportare, è scaturigine della pazienza, e quindi della fortezza o coraggio, passione contrapposta della paura.   … e dunque Dolore e Sofferenza non sono sinonimi Il Dolore e la Sofferenza

I Maestri antichi e il Dolore Per Platone il dolore è rottura dell’armonia, come un rientro nel Chaos iniziale, che è stato ordinato dal Demiurgo. Per Platone il problema è ripristinare l’armonia. Per Aristotele il dolore è conseguenza di una forzatura di ciò che è naturale. E comunque, ciò che è naturale tende alla corruzione e alla distruzione. Per Epicuro il dolore è provvisorio e la morte non deve preoccupare. Cfr. PLATONE in Filebo 17, 31d, 32a, Timeo 47d; IX, 591d. Cfr. ARISTOTELE in Etica Nicomachea VII, 13, 115. Cfr. EPICURO, Lettera a Meneceo. I Maestri antichi e il Dolore

… da Agostino a Nietzsche Per gli Stoici il dolore è una dimensione naturale da affrontare con determinazione e rassegnazione. Agostino introduce il tema psicologico della volontà umana, che causa dolore quando dà spazio alla cupidigia e alla concupiscenza. Per Nietzsche il dolore è un’esperienza che favorisce la conoscenza, ponendo sotto una luce diversa e altrettanto veritativa la realtà di se stessi e del mondo. Cfr. AGOSTINO in D. Antiseri e G. Reale, Il pensiero occidentale dalle origini ad oggi, vol. I, 341-347. Cfr. NIETZSCHE F., in La nascita della tragedia, 1871, e in altre opere successive. Per Nietzsche il dolore è insito nella condizione “tragica” della vita umana. … da Agostino a Nietzsche

La visione giudaico-cristiana del Dolore Per la tradizione giudaico-cristiana il dolore è causato dalla rottura di un patto, per la quale vi deve esserci un’espiazione. In particolare per la tradizione cristiana, siccome la rottura del patto ha causato dolore infinito a Dio, solo il dolore di un Dio ha potuto dare valenza soddisfattoria al dolore infinito di Dio stesso. Nel cristianesimo vi è il dogma centrale dell’Incarnazione, Morte, Resurrezione di Gesù Cristo come espiazione infinita per il peccato dell’uomo. La visione giudaico-cristiana del Dolore

Interessante è anche il passaggio paolino nella Lettera ai Romani: «[…] la creazione stessa infatti soffre e geme per le doglie del parto, […] essa pure attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio». Cfr. s. PAOLO, Lettera ai Romani 8, 19ss, Bibbia di Gerusalemme, Roma 1984, 2433. Paolo

Il Buddhismo e il Dolore Merita un cenno anche la dottrina del dolore in campo buddhista: per questa filosofia religiosa «[…] il dolore è realtà, suprema certezza ed esperienza umana universale; la causa del dolore è nella passione del desiderio; perciò, ci si può liberare dal dolore [e dal ciclo delle rinascite] solo con l’estinzione del desiderio; il desiderio si estingue attraverso la rinuncia [non mediante l’appagamento], e con comportamenti morali adeguati [retto discorso, retta condotta, etc., l’ottuplice sentiero]». Cfr. NERI U., La sapienza buddista e la risposta hindu, in Rivista di teologia dell’evangelizzazione, Facoltà Teologica dell’Emilia Romagna, Bologna anno XI, n. 21 - gennaio/giugno 2007, 226. Il Buddhismo e il Dolore

Si può dire che il dolore è correlato alla libertà. Se si dà nell’esistenza l’imperfezione e la complessità della condizione umana, non si può non dare il sintagma dolore-libertà. Lo stesso principio di indeterminazione heisenberghiano postula l’incertezza della libertà nella conoscenza della realtà fisica, l’indeterminazione della condizione umana, la sua gettatezza nel mondo, e la possibilità del dolore. Cfr. ZATTI M., Filosofia naturale del dolore, www.dialeghesthai.it, novembre 2011. Cfr. HEIDEGGER M., Sein und Zeit, Tübingen 1927, tr. italiana a cura di P. Chiodi, Essere e tempo, Milano 1971. Il Dolore e la Libertà I

Il Dolore e la Libertà II L’uomo condiziona la stessa ricerca di conoscenza delle verità naturali, che esistono, ma non si svelano, se non a poco a poco, come gli antichi misteri. Perché l’uomo, essendo esistenzialmente libero, se non costretto in schiavitù, può errare, e quindi causare dolore. A sé e agli altri. Altro ancora è il dolore “naturale” degli innocenti: Auschwitz [il simbolo], la leucemia di un bambino, la violenza di un pedofilo, etc… Intendendo comunque la nozione di libertà come un “volere ciò che si fa”, relativo e limitato, e comunque potendo comunque essere sempre solo relativamente libero, non mai assolutamente. Il Dolore e la Libertà II

Ma, se il dolore è un’avvisaglia della finitezza [e della colpa], lo è anche della morte, e quindi del destino terreno dell’uomo. La suggestiva ipotesi che la stessa parola destino abbia a che fare con la conoscenza tramite l’etimo di ε̉πιστήμη [scienza], poiché la scienza è conoscenza certa [per quanto possibile] ed evidente [se possibile], collega e correla il problema del dolore con la conoscenza. Cfr. RICOEUR P., Finitude et culpabilité, Paris 1959, Finitudine e colpa. Parte II: “La simbolica del male”, Il Mulino, Bologna 1970 È l’ ungarettiano verso “La morte si sconta vivendo”, cfr. lirica Sono una creatura, in L’allegria, Arnoldo Mondadori Editore, collana Lo Specchio. I poeti del nostro tempo, Milano 1942/1976, 54. Ε̉πιστήμη potrebbe derivare dal verbo ε̉πίσθημι, cioè sto in piedi saldo e attento. Finitezza e Destino

Solo il dolore del parto non è sintomo di patologie. Dunque, solamente la femmina -in genere- nel regno animale, e nell’umano in particolare, è depositaria di un dolore-possibile non patologico, ma fisiologicamente naturale. Il dolore di cui parliamo, diversamente da quello patologico, non dipende dalla libertà, ma proviene dal regno della necessità naturale, che è tale perché del tutto determinata. Il Dolore “naturale”

Ogni crescita e aumento della conoscenza è … sofferenza Ogni crescita e aumento della conoscenza è … sofferenza. Chi più sa più soffre. Si pone quindi una domanda anche circa l’utilità del dolore nel parto, che oggi può essere evitato, in parte o del tutto con vari sistemi e metodiche, ma che non esaurisce il discorso sul dolore. Dolore e Conoscenza

L’Homo contingens e il Limes Infine, una considerazione di valore su un elemento della cultura attuale: oggi si confonde il benessere [detto spesso wellness] con la “qualità della vita”. Dobbiamo sottolineare non tanto la polisemanticità del sintagma, ma la sua ambiguità ed equivocità. Molto spesso si tratta di un benessere ad una dimensione, coerente con l’uomo ad una dimensione, tipico della contemporaneità, l’homo contingens … L’accettazione del limite, come ciò di cui si ammette l’esistenza ma non si conosce, è forse la pista cognitiva e morale che può condurci a considerare il dolore [e la morte] come evento ne-cessario, fomite di autoconoscenza e perfino di libertà. L’Homo contingens e il Limes

“Sicut enim homo est a natura, ita et omnia eius per se accidentia, ut risibile, et mentis ... entis in quantum est ens, inter quae sunt necessarium et contingens […]” Thomas Aquinatis, Commentarium ad Aristotelis metaphisicam, liber Vi, lectio III, 1236 Il Dolore come segno del Limite, della pari Dignità e dell’Unicità irriducibile di Ciascuno