Underworld: I documenti filmati

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Transcript della presentazione:

Underworld: I documenti filmati 1) Un film fittizio attribuito a un regista reale, Unterwelt, “il leggendario film perduto di Sergej Ejzenstejn […], recentemente ritrovato nella Germania orientale, meticolosamente restaurato e portato a New York” (p. 452), dove viene organizzata una proiezione descritta proprio al centro del romanzo (Cap. IV, 3). Si tratta di un film strano, cupo, apparentemente “dominato dal mito” e “pieno di manierismi”, “staccato dalla realtà”, ma di fatto terribilmente profetico, “un film che parla di Noi e di Loro” (cioè della Guerra Fredda) e che prefigura gli effetti della guerra atomica e degli esseri umani sfigurati dalle radiazioni.

Underworld: I documenti filmati 2) Il documentario (reale) girato da Robert Frank, intitolato Cocksucker Blues (cfr. il titolo della quarta parte), che documenta una famosa tournée dei Rolling Stones in Nordamerica nel 1972, e che, nel romanzo, si colloca nell’ambito una critica alla cultura di massa e alla crescente commercializzazione e serializzazione dei prodotti culturali.

Underworld: I documenti filmati 3) Un famoso filmato amatoriale (reale), il cosiddetto film di Zapruder che documenta le sequenze dell’omicidio di Kennedy a Dallas, il 22 nov. 1963 (uno dei miti fondatori dell’universo narrativo di DeLillo).

Underworld: I documenti filmati 4) Un video fittizio: Il cosiddetto “Video Kid”, cioè la ripresa in diretta – fatta da una ragazzina con la videocamera, in modo del tutto casuale – di uno degli omicidi compiuti dal Texas Highway Killer, un serial killer che spara a caso sulle macchine che percorrono l’autostrada.

Il simulacro e l’irreale Don DeLillo, Intervista del 1993: [L’intervistatore, Adam Begley, gli chiede]: “Dicevi che i tuoi libri non avrebbero potuto essere scritti nel mondo che esisteva prima dell’omicidio Kennedy” [E DeLillo risponde]: “La nostra cultura è cambiata in modo rilevante. E questi cambiamenti sono tra le cose che sono entrate nella mia opera. C’è la frantumata casualità dell’evento, la motivazione mancante, la violenza che la gente non solo commette ma che sembra guardare simultaneamente da una distanza disinteressata. Poi l’incertezza che proviamo a proposito dei fatti basilari che circondano il caso – il numero dei cecchini, il numero degli spari e così via. La nostra presa sulla realtà [our grip on reality] ne è rimasta un po’ minacciata”

Il “secolo filmato” Don DeLillo, Mao II: Il nostro è un mondo in cui “dormiamo con l’immagine, la mangiamo, le rivolgiamo le nostre preghiere e la indossiamo anche”. Don DeLillo, Intervista del 1997: “Questa è l’epoca delle immagini […] Non penso che qualunque tentativo di capire il modo in cui viviamo e il modo in cui pensiamo e il modo in cui sentiamo possa prescindere da una profonda considerazione del potere dell’immagine”. Don DeLillo, Intervista del 1993: Il cinema “permea la nostra vita”; “nella nostra cultura e ovunque intorno a noi siamo plasmati […] dall’immaginario visuale: pubblicità, cartelloni, televisione”. Don DeLillo, I nomi: “Il ventesimo secolo è su pellicola. È il secolo filmato. C’è da chiedersi se esista qualcosa su di noi di più importante del fatto che siamo costantemente filmati, costantemente ci osserviamo. L’intero mondo è sulla pellicola, sempre”.

Tra immagine e scrittura Don DeLillo, Intervista del 1992: “La differenza fra il mondo delle immagini e quello delle parole è straordinaria, e difficile da definire. Un’immagine è un po’ come una massa: una moltitudine di impressioni. Un racconto, invece, con il suo procedere lineare e ordinato di caratteri e parole, sembra più connesso all’individualità”. Don DeLillo, Intervista del 1993 [gli chiede come nasce la prima idea per scrivere]: “Penso che la scena venga per prima, l’idea di un personaggio in un posto. È visuale, è Technicolor, qualcosa che vedo in modo vago”.

Tra immagine e scrittura Don DeLillo, Intervista del 1997: [L’intervistatore riferisce che] “Il giorno in cui stavamo parlando, la televisione era piena di immagini dello stilista di moda Gianni Versace colpito a morte sulla strada a Miami Beach. DeLillo era interessato non tanto allo stilista caduto, quanto all’istantaneo confezionamento dell’omicidio, la sua apparizione improvvisa su ogni schermo e quindi in milioni di conversazioni. “La gente – disse – parla dell’assassinio, ma non parlano di ciò che determina in loro, nel modo in cui pensano, e sentono, e hanno paura. […] La verità è che non sappiamo nemmeno come parlarne, non credo. Forse è per questo che alcuni di noi scrivono fiction”.

La “fisica del linguaggio” Roland Barthes, Critica e verità (1966): “è scrittore colui per il quale il linguaggio costituisce un problema, che ne sperimenta la profondità, non la strumentalità o la bellezza”. Don DeLillo, Interviste: “Il nodo di tutta la questione è il linguaggio”; “prima della storia e prima della politica c’è il linguaggio, ed è questo che intendo quando mi definisco uno scrittore”.

La “fisica del linguaggio” Don DeLillo, Mao II: [Parole del protagonista, lo scrittore Bill Gray] “Ogni frase compiuta ha una verità in attesa alla sua fine e lo scrittore impara a riconoscerla quando finalmente ci arriva. A un certo livello questa verità è il ritmo della frase, il suo polso e il suo equilibrio, ma a livello più profondo è l’integrità dello scrittore mentre si confronta con la lingua. Io mi sono sempre riconosciuto nelle mie frasi. […] Il linguaggio dei miei libri mi ha formato come uomo. C’è una forza morale in una frase quando ti riesce giusta”.

Fast-forward e rewind Don DeLillo, The Power of History: “Stai guardando un video-tape di uomini incappucciati che emergono da una banca e che si muovono con un certo fascino coreografico, sparando raffiche di armi automatiche, e ti chiedi se sono la ripetizione di una scena di un film recente, […] e il nastro viene riprodotto e ancora riprodotto, esaurendo tutta la realtà conservata nei suoi pori magnetici, e poi un altro nastro lo sostituisce, un inseguimento automobilistico attraverso un sobborgo atterrito, mentre la cultura continua la sua corsa a imitare se stessa all'infinito − la ripetizione, il sequel, il parco a tema, l’outlet − perché questo è il mezzo che ha ideato per dimenticare il passato [to disremember the past].

Fast-forward e rewind “Oppure stai guardando all’interno di un negozio in una notte monotona di luglio. Questo è un video a circuito chiuso con un display digitale che segna i decimi di secondo. Poi vedi un uomo che entra nell’inquadratura, avanzando con una pistola in pugno. Il banale omicidio che ne segue si trasforma nell’immagine in atto della tua testimonianza. È nudo, è reale, è vivo, viene registrato. È avvincente, è paralizzante, è cronometrato digitalmente e quindi pieno di informazioni incessanti. E se guardi il nastro abbastanza spesso, finisce per trasformarti, per fare di te una variazione passiva del rapinatore armato nel suo perverso atto di consumo. È un'altra serie di immagini che […] ti separa dalla realtà sempre più flebile nel mondo che svanisce al di fuori del nastro. La natura fast-forward del decennio è un soggetto adatto per un romanziere. […]”

Fast-forward e rewind “Il forno a microonde, il telecomando, il pulsante redial del telefono e altri dispositivi da collasso temporale possono farci sentire che la nostra comune tecnologia domestica riflette qualcosa che attraversa la mente profonda della cultura, un bisogno impaziente del tempo stesso di muoversi più in fretta. In un periodo di vuota frenesia millenaria, potremmo cominciare a vedere una preziosa integrità nei documenti del decennio o del secolo precedente. In quanto scrittore che ha sempre cercato i suoi temi in un presente più o meno immediato, ho trovato una curiosa antichità nei documenti filmati e nelle audiocassette registrate meno di cinquant’anni fa, alle soglie dell'era atomica”.

Fast-forward e rewind “I cinegiornali sul fuoricampo di Bobby Thomson hanno qualcosa che ricorda l’epoca della Prima guerra mondiale. E quanto più l’immagine è traballante e sfuocata, tanto più comunica un senso di permanenza. E la voce del telecronista, Russ Hodges, […] è splendidamente isolata nel tempo - non soggetta al logorante processo di ripetizione frenetica che esaurisce un evento contemporaneo prima che abbia assunto piena coerenza”. “La narrativa gira tutta intorno al rivivere le cose. È la nostra seconda occasione” (The Power of History). Don DeLillo, Mao II: “Il bello della vita è che è piena di seconde occasioni”.

Il passato e il senso della perdita DonDeLillo, Intervista con Kim Echlin (1997): L’argomento centrale del libro è il modo in cui “le cose e le persone scompaiono e vengono tradite. Una palla da baseball scompare e un ragazzo viene tradito due volte. Un padre scompare e un figlio viene tradito. Il plutonio scompare e un paese viene tradito. Il libro ruota sulla perdita e sul fatto di rovesciare il flusso del tempo”. Kathleen Fitzpatrick, The Unmaking of History: Baseball, Cold War, and “Underworld” (2002): “La perdita è iscritta nel fuoricampo stesso. Così, il ‘Botto che ha fatto il giro del mondo’ − che sia il fuoricampo di Thomson, l’esperimento atomico sovietico o il colpo sparato dallo stesso Nick Shay […] − sono tre scoppi che, annunciando l’inizio della Guerra Fredda, introducono una logica di distruzione nella vita americana. Solo lavorando all’indietro dai prodotti finali, scavando nelle centinaia di trame sepolte, il romanzo può riscattare la storia dalla sua inevitabile decadenza”.

Il tempo perduto di Nick Shay Don DeLillo, Intervista con Maria Moss (1999): “Domanda Nel tuo romanzo sembra esserci uno strano senso di nostalgia. Sei una persona nostalgica? Risposta No, assolutamente no. Se c’è un senso di desiderio nostalgico [longing], non è in termini semplici. Nick Shay sente un desiderio nostalgico alla fine del romanzo. Ma non è per un’innocenza perduta: è per una colpa perduta. È per i giorni in cui era capace di agire, con muscoli e sangue. Quando faceva a botte, quando rubò un’auto. È questo che gli manca. È questa la sua risposta principale. In generale, la nostalgia non è un sentimento che mi appartenga”.