CATULLO CANANA'
Vita 84-54 A.C. Scarse e incerte sono le notizie su Catullo, di cui non ci è giunta alcuna biografia antica: Catullo proveniva, dalla Gallia Cisalpina (ovvero dall'Italia settentrionale) e apparteneva a una famiglia agiata: suo padre ospitò più di una volta Cesare nella loro villa a Sirmione, sulle rive del Lago di Garda. Trasferitosi a Roma (intorno al 60 aC) per gli studi, secondo la consuetudine dei giovani di famiglie benestanti, Catullo trovò il luogo adatto dove sviluppare le sue doti di scrittore: trovò infatti una Roma nel pieno dei processi di trasformazione (la vecchia repubblica stava vivendo il suo tramonto), accompagnati da un generale disfacimento dei costumi e da un crescente individualismo che caratterizzava le lotte politiche, ma anche le vicende artistico-letterarie. CANANA'
Catullo nella capitale Entrò a far parte dei "neoteroi" o "poetae novi" e in contatto anche con personaggi di notevole prestigio, come Quinto Ortensio Ortalo, grande uomo politico e oratore, e Cornelio Nepote. Tuttavia Catullo non partecipò mai attivamente alla vita politica, anche se seguì sempre con animo attento o ironico o sdegnato i casi violenti della guerra civile di quegli anni. Di contro, nella capitale, un giovane come lui, esuberante e desideroso di piaceri e di avventure, si lasciò prendere dal movimento, dal lusso, dalla confusione, dalla libertà di costume e di comportamento pubblico e privato, che distingueva la vita della città in quel momento. La sua anima conservò comunque sempre i segni dell'educazione seria, anzi rigorosa, ricevuta nella sua provincia natale, famosa per l'irreprensibilità morale dei suoi abitanti. CANANA'
L’incontro con Lesbia Catullo è stato definito, a buon diritto, come il poeta della giovinezza e dell'amore, per il suo modo di scrivere e di pensare; il tema principale della sua poesia è Lesbia, la donna che il poeta amò con ogni parte del suo corpo e della sua anima, conosciuta nel 62 a.C., forse a Verona, più probabilmente nella stessa Roma. Il vero nome della donna era Clodia, chiamata Lesbia, "la fanciulla di Lesbo", perché il poeta implicitamente la paragona a Saffo, la poetessa e la donna amorosa appunto di Lesbo, identificabile con la sorella del tribuno della plebe (anno 58 a.C.) P. Clodio Pulcro (agitatore del partito dei "populares" e alleato di Cesare, nonché mortale nemico di Cicerone), e moglie (per interesse) del proconsole per il territorio cisalpino (anni 62-61 a.C.) Quinto Metello Celere. La storia fra il poeta e Lesbia è molto travagliata: Clodia era una donna elegante, raffinata, colta, ma anche libera nei suoi atteggiamenti e nel suo comportamento; nelle poesie di Catullo abbiamo, così, diversi accenni allo stato d'animo provato per lei, a volte di affetto e amore, a volte di ira per i suoi tradimenti; tutto, fino all'addio finale. CANANA'
Sofferenza e lutto: il Viaggio verso l’Oriente Catullo era a Roma quando ebbe la notizia della morte del fratello nella Troade. Tornò a Verona dai suoi e vi stette per alcuni mesi, ma le notizie da Roma gli confermavano i tradimenti di Lesbia (ora legata a M. Celio Rufo, quello stesso che Cicerone difese nella "Pro Caelio", rappresentando Clodia come una mondana d'alto rango, viziosa e corrotta). Il poeta fece così ritorno nella capitale, sia perché non riusciva a star lontano dalla vita romana, sia per l'ormai insostenibile gelosia. Deciso, infine, ad allontanarsi definitivamente da Roma, per dimenticare le sofferenza e riaffermare il proprio patrimonio, il poeta accompagnò, nel 57 aC, il pretore Caio Memmio (esattamente il dedicatario del "De rerum natura" di Lucrezio) in Bitinia. Laggiù, in Asia, il giovane Catullo entrò in contatto con l'ambiente intellettuale dei paesi d'Oriente; fu probabilmente dopo questo viaggio, dopo essersi recato alla tomba del fratello nella Troade per compiangerlo, che compose i suoi poemi più sofisticati, una volta tornato in patria. CANANA'
Il ritorno e la morte Catullo tornò dal suo viaggio nel 56 aC, e si recò nella villa di Sirmione, dove trascorse gli ultimi due anni della sua vita, consumato fisicamente da un'oscura malattia e psichicamente dalla sfortunata esperienza d'amore e dal dolore per la morte del fratello. CANANA'
Il “Liber” catulliano Il "Liber" catulliano consta di 116 di "carmi" (per un totale di circa 2300 versi), raggruppati in 3 sezioni non in base ad un ordine cronologico, bensì in base al metro ed allo stile, seguendo un criterio di "variatio" e di alternanza fra temi affini, secondo la mentalità e l'usanza tipiche degli editori alessandrini. si divide in tre sezioni: nella prima ( carmi 1-60) si trovano brevi carmi –NUGAE in metri diversi, di argomento vario e quasi sempre leggero e sono detti POLIMETRI, cioè sono stati scritti in endecasillabi faleci, trimetri giambici, coliambi e metri lirici. Nella seconda vi sono i cosidetti CARMINA DOCTA ( carmi 61-68 ) in cui predominano l'esametro o il distico elegiaco e argomenti mitologici. Nell'ultima parte ( carme 69-116 ), sono collocati epigrammi in distici elegiaci GLI ELEGHEIA , tra i quali alcuni di carattere satirico. CARMI DI CATULLO OCCASIONE PERSONALE POLITICA AMORE AMICIZIA CANANA'
IL CONFLITTO INTERIORE TRA AMORE E PSICHE Il liber tratta temi ossessivi come Amore forza devastante Stati d’animo esasperati Dalla gioia alla tragedia Il tema della vita e della morte I vizi e i costumi romani CANANA'
LA CONCEZIONE DELL’AMORE Il mos maiorum tradizionale accorda poco spazio all’amore I neoteroi fanno dell’amore la ragione per cui vivere l’amore per la prima volta nella letteratura è una esperienza totalizzante CANANA'
L’AMORE TRA CATULLO E LESBIA È una figura simbolo cioè una donna reale trasfigurata in immagine del sentimento amoroso. Catullo era davvero innamorato di Lesbia, ma non riusciva a capire il carattere della donna che amava. È per questo motivo che Catullo la insulta e, a volte la descrive come una donna sfrenata, ai limiti della depravazione. Clodia è lo stereotipo della donna dai facili costumi che in un rapporto non riserva all’amato l’esclusività del suo amore ma cerca relazioni amorose che non la coinvolgano completamente. Il rapporto era un amore illeggittimo, Clodia era donna Vidua , cioè senza marito. Paradossalmente Catullo desidera trasformare questo amore in un sentimento assoluto retto da foedus et fides Catullo trasforma Lesbia in un’immagine di libertà e vitalità come segni di amore assoluto, ma non nega la sofferenza per i suoi tradimenti e il dolore per l’abbandono finale CANANA'
DI CLODIA, CICERONE, DICEVA TUTTO IL MALE POSSIBILE… La definiva “Clitennestra”, sinonimo di assassina, o anche “quadrantaria” che significa donna da quattro soldi, per non parlare della voce, da lui fatta circolare, secondo la quale Clodia sarebbe stata l’amante di suo fratello. Ma di nuovo, si tratta di accuse inattendibili. Cicerone era acerrimo nemico di Clodia. Clodio infatti era il suo più odiato rivale politico. Per di più nel 56 a. C. Cicerone parlò di Clodia nella Pro Caelio, orazione in difesa di Celio Rufo, ex amante di Clodia, accusato di averla avvelenata per sottrarle i gioielli. In quel processo Clodia era stata indicata dagli accusatori di Celio come testimone in loro favore. Rufo fu assolto. Clodia, allora aveva trentotto anni. E da quel momento di lei non si ha più notizia. CANANA'
Il liber catulliano Lirica soggettiva carmina occasione personale amicizia politica amore Lirica soggettiva Osservazione del mondo politico con distacco e spirito critico Conflitto interiore Sentimenti contrastanti dalla gioia al dolore CANANA'
Odi et amo carme 85 Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris. Nescio, sed fieri sentio et excrucior. Odio e amo. Forse mi chiedi come io faccia. Non lo so, ma sento che ciò accade, e sono messo in croce. Ὲρέω τε δηὖτε κοὐκ ἐρέω, καὶ μαίνομαι κοὐ μαίνομαι. Amo e non amo, sono pazzo e non sono pazzo. (Frammento 46, Gentili) Anacreonte CANANA'
I carmina docta (61-68) Sono definiti "carmina docta", di maggior respiro e complessità, tal che si è portati ad individuarvi un maggiore impegno compositivo [ma, a tal proposito, vd. oltre]. Si tratta di elegie, epilli ed epitalami nei quali cresce il tono esplicitamente letterario, lasciando naturalmente ancora spazio alle caratteristiche catulliane: ovvero, l’epitalamio per le nozze di Manlio Torquato; un altro epitalamio, in esametri, studiata e felice trasposizione moderna di Saffo; l' "Attis", poemetto in versi galliambi, strana evocazione dei riti dedicati alla dea Cibale, un pezzo di bravura callimachea; il celebratissimo carme 64, vasto epillio per le nozze di Péleo e Tétide (con inclusa la storia di Arianna), che è una piccola epopea mitologica sempre alla maniera di Callimaco; la traduzione in esametri della "Chioma di Berenice" di Callimaco, preceduta dalla dedica all’amico Ortalo in distici elegiaci; un’elegia epistolare di gusto alessandrino, che ricorda il tempo felice dell’amore di Lesbia. Carme 66 la chioma di Berenice è la traduzione di un poemetto di Callimaco. Esso rappresenta un Catasterismo cioè la trasformazione in astro celeste di un essere umano.
I carmina docta Berenice aveva offerto come ex voto per il ritorno dalla guerra del marito, Tolomeo Evergete, la propria chioma. L’astronomo di corte scoperta una nuova costellazione nella via lattea la chiama chioma di Berenice come se i capelli della regina fossero stati assunti in cielo dalle divinità e trasformati in costellazione. CANANA'
Critica ai carmi (69-116) Sono carmi brevi e di presa immediata, o "epigrammata" (epigrammi, elegie): i temi sono praticamente gli stessi del I gruppo, ma resi con metro diverso: il distico elegiaco.
La dedica dell’opera Il "liber" è dedicato a C. Nepote [c. 1], ma esso non è certamente il "libellus" della dedica, nel senso che questo doveva comprendere, per esplicita dichiarazione del poeta stesso, solamente le "nugae", e non anche i "carmina docta", come invece noi lo possediamo. L'opera, quale a noi è giunta, è - dunque - con molta verosimiglianza, una raccolta postuma, nella quale accanto ai carmi del "libellus" trovò definitiva sistemazione il corpus - non però integrale - della produzione poetica catulliana: insomma, di quella produzione, esso sarebbe una raccolta antologica
La lingua e lo stile Colloquio interiore e dialogo nelle nugae Atmosfera diversa nei carmina docta: uso della terza persona, i tempi al passato, appello diretto ad un interlocutore. Varietà e sperimentalismo: neologismi, varietas, fusione di espressioni e modi della lingua colloquiale e popolare . Accostamento di elementi aulici e popolari: vocaboli del sermo familiaris e del sermo plebeius e oscenità; vocaboli dai dialetti gallo-celtici; basium invece di osculum; Abbondanza di diminutivi, insieme ad arcaismi, grecismi dotti,uso di numerose figure retoriche. Sintassi ben articolata con iperbati, antitesi, parallelismi, anafore. CANANA'
metrica Ripresa dei metri greci e metri tradizionali Ode saffica e alcaica Trimetri giambici scazonti o coliambi Distici elegiaci Endecasillabi falecei CANANA'
LA FORTUNA Catullo è divenuto figura simbolo della cultura poetica occidentale Da Virgilio ad Orazio, Ovidio e Marziale e nel Satyricon di Petronio le tracce nella poesia latina sono evidenti Anche i Cristiani Girolamo e Boezio lo apprezzarono. Ma Catullo non era adatto alla scuola per questo nel medioevo il suo testo quasi scomparve finchè esso fu salvato da un solo esemplare nella biblioteca capitolare di Verona, più volte copiato da Petrarca. Nell’umanesimo Catullo fu fonte e modello dei poeti d’amore moderni. Dagli umanisti Poliziano e Pontano del suo liber si conoscono circa 70 codici intorno alla metà del ‘400. Nell’età moderna da Shakespeare sino a Foscolo e Pascoli ricevono ispirazione per la brevitas e la levità dei suoi carmi fino alla poesia contemporanea e alle canzoni nel ‘900. CANANA'
Carme V "Vivamus mea Lesbia,atque amemus, Rumoresque senum severiorum Omnes unius aestimemus assis. Soles occidere et redire possunt; Nobis cum semel occidit brevis lux, Nox est perpetua una dormienda. Da mi basia mille, deide centum, Dein mille altera, dein seconda centum, Deinde usque altera mille, deinde centum. Dein, cum milia multa fecerimus, Conturbabimus illa, ne sciamus, Aut ne quis malus invidere possit, Cum tantum sciat esse basiorum." Carme V "Dobbiamo mia Lesbia vivere, amare, le proteste dei vecchi tanto austeri tutte, dobbiamo valutarle nulla. Il sole può calare e ritornare, per noi quando la breve luce cade resta una eterna notte da dormire. Baciami mille volte e ancora cento poi nuovamente mille e ancora cento, e dopo ancora mille e ancora cento, e poi confonderemo le migliaia tutte insieme per non saperle mai, perché nessun maligno porti male sapendo quanti sono i nostri baci".
Il componimento è immaginato in un colloquio a due Il componimento è immaginato in un colloquio a due. Il nome di Lesbia è associato ad un momento di felicità e di abbandono . E un' immagine di quella straordinaria stagione che corrisponde alla pienezza dell'amore. In particolare nella coppia di verbi "vivamus atque amemus" sta l'affermazione di valore di un sentimento che assume un significato importante, tanto più in una società che aveva confinato il sentimento fra i passatempi minori. Il poeta afferma di non voler tenere in considerazione le dicerie dei moralisti, ma di voler pensare soltanto ai piaceri e all'amore, alle passioni che la vita gli offre. Egli si rivolge direttamente alla sua donna e la invita a non dare ascolto " ai vecchi troppo severi".
Allusività e memoria poetica.. Canzone Che giorno siamo noi Noi siamo tutti i giorni Amica mia Noi siamo tutta la vita Amore mio Noi ci amiamo e noi viviamo Noi viviamo e noi ci amiamo E noi non sappiamo che cosa è la vita E noi non sappiamo che cosa è il giorno E noi non sappiamo che cosa è l’amore Prévert (traduzione di Gian Domenico Giagni)
(traduzione di Gian Domenico Giagni) I ragazzi che si amano I ragazzi che si amano si baciano in piedi Contro le porte della notte E i passanti che passano li segnano a dito Ma i ragazzi che si amano Non ci sono per nessuno Ed è la loro ombra soltanto Che trema nella notte Stimolando la rabbia dei passanti La loro rabbia il loro disprezzo le risa la loro invidia I ragazzi che si amano non ci sono per nessuno Essi sono altrove molto più lontano della notte Molto più in alto del giorno Nell'abbagliante splendore del loro primo amore Prévert (traduzione di Gian Domenico Giagni)
Confronto.. Due canzoni d’amore che sono un inno alla vita, necessaria condizione per esorcizzare la morte; e Prévert lo fa come solo lui sa fare, col suo semplice linguaggio, quello di tutti i giorni, accessibile a tutti, ma con quella straordinaria musicalità che è la caratteristica del canzoniere e della lingua francese in generale, musicalità che, con i suoi suoni nasali e schiacciati , si perde in qualsiasi altra lingua. Non per nulla la maggior parte delle sue poesie è stata musicata in canzoni che hanno avuto un successo di pubblico non straordinario. Nelle prima delle sue poesie il cui titolo è “Canzoniere”, la suggestione catulliana del carme V si ritrova nella domanda che il poeta e la sua donna, in quanto esseri umani capaci di amare, si pongono: quale sia la loro dimensione temporale; la risposta è nella consapevolezza di essere eterni e nell’identificarsi tutti i giorni e con la totalità della vita: tale eternità non può nascere che dall’esperienza unica dell’amore . Ecco perché al congiuntivo esortativo catulliano (Vivamus…atque amemus) si sostituisce in Prévert l’affermazione e la sicura certezza dell’amare e del vivere che martellante si ripete in forma di chiasmo. In tale condizione magica dell’amore che rende “eterni” gli amanti, essi perdono la consapevolezza del tutto, e annullandosi nell’amore non sanno più cosa sia la vita, il tempo e l’amore stesso. Una più puntuale memoria del carme V si esplicita nell’altra poesia “I ragazzi che si amano”, dove l’atmosfera tutta prévertiana che sa di Parigi, ma, in realtà, sa di tutte le città del mondo, evoca l’immagine notturna dei ragazzi innamorati, che si abbandonano ai baci contro le porte della notte in un pacio che non solo esorcizza il buio della notte ( = morte) , ma anche l’invidia e la rabbia e la rabbia dei benpensanti che li condannano, dei moralisti beceri e bigotti della vita contingente di ogni giorno ( =i passanti) che provano invidia e stizza proprio perché esclusi dall’esperienza totalizzante dell’amore. E questo amore isola e sublima i ragazzi in una dimensione magica che supera i limiti del tempo e dello spazio.
Disperazione/odio Arrivano le infedeltà e con loro diminuiscono la stima e l'affetto a cui subentrano risentimento e disprezzo.
Carme VIII "Miser Catulle, desinas ineptire, Et quod vides perisse perditum ducas. Fulsere quondam candidi tibi soles, Cum ventitabas quo puella ducebat Amata nobis quantum amabitur nulla. Ibi illa multa tum iocosa fiebant, Quae tu volebas nec puella nolebat. Fulsere vere candidi tibi soles. Nunc iam illa non volt; tu quoque, inpotens, noli, Nec quae fugit sectare, nec miser vive, Sed ostinata mente perfer, obdura, Vale ,puella, iam Catullus obdurat, Nec te requiret nec rogabit nulla. At tu dolebis, cum rogaberis nulla. Scelesta, vae te; quae tibi manet vita! Quem nunc amabis? Cuius esse diceris? Quem basiabis? Cui labella mordebis? At tu, Catulle, destinatus obdura". Carme VIII "Basta con la pazzia, sventurato Catullo. E ciò che vedi morto impara che è perduto. Ci sono stati giorni splendidi, nel sole. E andavi dove lei ti conduceva, l'amata come non sarà nessuna, e avvenivano cose deliziose che tu volevi e lei non dissolveva. Davvero giorni splendidi nel sole. Ora non vuole più. Dunque anche tu non volere. Non inseguire ciò che fugge, o uomo senza freno, non vivere infelice. Sii ostinato, Catullo, sii deciso. Addio, ragazza. Catullo è deciso, se non vuoi non ti cerca, non ti chiede. Però ne soffrirai, se non ti cercano. Sventurata, che vita ti rimane. Verrà qualcuno? e ti vedranno bella? E l'amore? Dirai più "sono tua"? Bacerai? Morderai le labbra amate? Catullo, sii ostinato, sii deciso".
il poeta vuole ripetutamente mettere alla prova la propria fermezza. L'inizio "Miser Catulle" ci parla del dubbio del poeta nei confronti del suo amore per Lesbia. Il Carme può essere suddiviso in due parti : i primi 11 versi si ricollega- no al tempo della felicità solare ormai perduta; gli altri 8 versi comprendono le ricorrenti forme verbali di "abdurare" (tenere duro) con le quali il poeta vuole ripetutamente mettere alla prova la propria fermezza. Il poeta, come gli innamorati delusi, vorrebbe salvare Lesbia con il proprio amore: glielo dicono i sentimenti ed i ricordi dolcissimi degli istanti trascorsi insieme, ma glielo negano sia la ragione sia la freddezza e l'ingratitudine di Lesbia. Catullo non adopera termini crudi o di insulto verso la donna lontana. Pertanto non sappiamo se si tratta di un addio definitivo.
"Huc est mens deducta tua, mea Lesbia, culpa, Nel Carme LXXV troviamo la lacerazione che tormenta il cuore di un amante; egli non può cessare di amare (in senso passionale ed erotico), ma al tempo stesso sa che non potrà mai più "voler bene". "Huc est mens deducta tua, mea Lesbia, culpa, Atque ita se officio perdidit ipsa suo, Ut iam nec bene velle queat tibi, si optima fias, Nec desistere amare, omnia si facias." "Lesbia mia, la tua colpa ha così deformato il mio spirito, distrutto da se stesso nella sua fedeltà, che se diventi buona non sa più volere il tuo bene, e se tutto farai, non cesserà di amarti".