EUGENIO MONTALE.

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Transcript della presentazione:

EUGENIO MONTALE

1920 – 1975 « L'argomento della mia poesia (...) è la condizione umana in sé considerata: non questo o quello avvenimento storico. Ciò non significa estraniarsi da quanto avviene nel mondo; significa solo coscienza, e volontà, di non scambiare l'essenziale col transitorio (...). Avendo sentito fin dalla nascita una totale disarmonia con la realtà che mi circondava, la materia della mia ispirazione non poteva essere che quella disarmonia » (E. Montale in "Confessioni di scrittori (Intervista con se stessi)", Milano 1976)

« Per la sua poetica distinta che, con grande sensibilità artistica, ha interpretato i valori umani sotto il simbolo di una visione della vita priva di illusioni. » (Motivi per l'attribuzione del Premio Nobel per la letteratura, nel 1975)

I modelli e le influenze culturali Dante -> figura femminile (visiting angel) Thomas Stearns Eliot -> correlativo oggettivo Pascoli -> concreta poesia delle cose Camillo Sbarbaro -> paesaggio ligure scabro ed arido D’Annunzio -> “Alcyone rovesciato” : rapporto con la natura fonte di delusioni e ulteriori conferme dell’universalita’ del dolore

Il primo Montale: OSSI DI SEPPIA Quattro sezioni: Movimenti, Ossi di seppia, Mediterraneo, Meriggi e ombre Influenza di Schopenhauer

Tematiche principali stile mare – terra / infanzia – maturità / campagna - città arsura condizione vitale ed esistenziale impoverita; paesaggio arido sole = forza crudele muro varco: inutile ricerca di una maglia rotta nella rete crisi del soggetto aridità interiore : indifferenza Rifiuto del lirismo Poetica degli oggetti Suoni aspri, ritmi rotti, antimusicali Verso libero Rime ipermetre

Il secondo Montale: LE OCCASIONI “esprimere l’oggetto e tacere l’occasione spinta” : poesie collegate a determinate occasioni dell’esperienza dell’autore

Tematiche principali stile concezione elitaria della cultura condizione esistenziale imprigionata nell’eterno ritorno dell’uguale / epifania luminosa (intesa come via di salvezza dal reale) donne segnate da un destino di irrequietudine Innalzamento stilistico: Registro elevato e monolinguistico -> non si affida alla magia della parola (opp. Ermetismo) Correlativo oggettivo

Il terzo Montale: LA BUFERA E ALTRO  «il riflesso della condizione storica, dell’ attualità d’uomo»

Tematiche principali stile contingenza storica: il trionfo della società di massa e la guerra rivalutazione della vitalità istintuale stile elevato orientato ad un maggiore plurilinguismo

Il quarto Montale: SATURA «in un certo senso la spinta che mi sostenne nei pochi mesi di composizione fu di ordine musicale. Volevo buttar fuori una costellazione di armoniche tale da rendere inutili gli alti e i bassi della lirica tradizionale alta»  

Tematiche principali stile Xenia 1 – Xenia 2 titolo: satira /argomenti svariati impossibilità di modificare l’esistente poesia prosastica: stile basso, dissonanza antimusicale

La donna in Montale: una, nessuna o centomila? Percorso montaliano da “Le occasioni” a “Satura”

Annetta-Arletta Mosca Clizia Anguilla Iride Volpe Cristofora

Montale e Dante donna-angelo: una nuova Beatrice dotata di virtù miracolose, capaci di indicare una via di salvezza dall’inferno del quotidiano plurilinguismo allegoria (tutte le immagini portano scritto:/ “più in là”- Maestrale, Ossi di seppia)

“Meriggiare pallido e assorto” Meriggiare pallido e assorto  presso un rovente muro d'orto,  ascoltare tra i pruni e gli sterpi  schiocchi di merli, frusci di serpi. Nelle crepe dei suolo o su la veccia  spiar le file di rosse formiche  ch'ora si rompono ed ora s'intrecciano  a sommo di minuscole biche. Osservare tra frondi il palpitare lontano di scaglie di mare  mentre si levano tremuli scricchi  di cicale dai calvi picchi. E andando nel sole che abbaglia  sentire con triste meraviglia  com'è tutta la vita e il suo travaglio  in questo seguitare una muraglia  che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.

Ascoltami, i poeti laureati si muovono soltanto fra le piante dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti. Io, per me, amo le strade che riescono agli erbosi fossi dove in pozzanghere mezzo seccate agguantano i ragazzi qualche sparuta anguilla: le viuzze che seguono i ciglioni, discendono tra i ciuffi delle canne e mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni. Meglio se le gazzarre degli uccelli si spengono inghiottite dall'azzurro: più chiaro si ascolta il susurro dei rami amici nell'aria che quasi non si muove, e i sensi di quest'odore che non sa staccarsi da terra e piove in petto una dolcezza inquieta. Qui delle divertite passioni per miracolo tace la guerra, qui tocca anche a noi poveri la nostra parte di ricchezza ed è l'odore dei limoni. Vedi, in questi silenzi in cui le cose s'abbandonano e sembrano vicine a tradire il loro ultimo segreto, talora ci si aspetta di scoprire uno sbaglio di Natura, il punto morto del mondo, l'anello che non tiene, il filo da disbrogliare che finalmente ci metta nel mezzo di una verità Lo sguardo fruga d'intorno, la mente indaga accorda disunisce nel profumo che dilaga quando il giorno più languisce. Sono i silenzi in cui si vede in ogni ombra umana che si allontana qualche disturbata Divinità Ma l'illusione manca e ci riporta il tempo nelle città rumorose dove l'azzurro si mostra soltanto a pezzi, in alto, tra le cimase. La pioggia stanca la terra, di poi; s'affolta il tedio dell'inverno sulle case, la luce si fa avara - amara l'anima. Quando un giorno da un malchiuso portone tra gli alberi di una corte ci si mostrano i gialli dei limoni; e il gelo del cuore si sfa, e in petto ci scrosciano le loro canzoni le trombe d'oro della solarità.

“Spesso il male di vivere ho incontrato” Spesso il male di vivere ho incontrato:   era il rivo strozzato che gorgoglia,   era l'incartocciarsi della foglia   riarsa, era il cavallo stramazzato.   Bene non seppi, fuori del prodigio   che schiude la divina Indifferenza:   era la statua nella sonnolenza   del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.         [da Ossi di seppia, 1925]

nelle sere tempestose: è una tempesta anche la tua dolcezza, “Dora Markus” turbina e non appare, Parte I  e i suoi riposi sono anche più rari. Fu dove il ponte di legno Non so come stremata tu resisti mette a Porto Corsini sul mare alto in questo lago e rari uomini, quasi immoti, affondano d'indifferenza ch'è il tuo cuore; forse o salpano le reti. Con un segno ti salva un amuleto che tu tieni della mano additavi all'altra sponda vicino alla matita delle labbra, invisibile la tua patria vera. al piumino, alla lima: un topo bianco, Poi seguimmo il canale fino alla darsena d'avorio; e così esisti! della città, lucida di fuliggine, nella bassura dove s'affondava una primavera inerte, senza memoria. (….)               E qui dove un'antica vita E’ scritta là. Il sempreverde si screzia in una dolce alloro per la cucina ansietà d'Oriente, resiste, la voce non muta, le tue parole iridavano come le scaglie Ravenna è lontana, distilla della triglia moribonda. veleno una fede feroce . Che vuole da te? Non si cede La tua irrequietudine mi fa pensare voce, leggenda o destino... agli uccelli di passo che urtano ai fari Ma è tardi, sempre più tardi.

“La primavera hitleriana”

Folta la nuvola bianca delle falene impazzite turbina intorno agli scialbi fanali e sulle spallette, stende a terra una coltre su cui scricchia come su zucchero il piede; l’estate imminente sprigiona ora il gelo notturno che capiva nelle cave segrete della stagione morta, negli orti che da Maiano scavalcano a questi renai. Da poco sul corso è passato a volo un messo infernale tra un alalà di scherani, un golfo mistico acceso e pavesato di croci a uncino l’ha preso e inghiottito, si sono chiuse le vetrine, povere e inoff ensive benché armate anch’esse di cannoni e giocattoli di guerra, ha sprangato il beccaio che infi orava di bacche il muso dei capretti uccisi, la sagra dei miti carnefi ci che ancora ignorano il sangue s’è tramutata in un sozzo trescone d’ali schiantate, di larve sulle golene, e l’acqua séguita a rodere le sponde e più nessuno è incolpevole. Tutto per nulla, dunque? – e le candele romane, a San Giovanni, che sbiancavano lente ’orizzonte, ed i pegni e i lunghi addii forti come un battesimo nella lugubre attesa dell’orda (ma una gemma rigò l’aria stillando sui ghiacci e le riviere dei tuoi lidi gli angeli di Tobia, i sette, la semina dell’avvenire) e gli eliotropi nati dalle tue mani – tutto arso e succhiato da un polline che stride come il fuoco e ha punte di sinibbio… Oh la piagata primavera è pur festa se raggela in morte questa morte! Guarda ancora in alto, Clizia, è la tua sorte, tu che il non mutato amor mutata serbi, fino a che il cieco sole che in te porti si abbàcini nell’Altro e si distrugga in Lui, per tutti. Forse le sirene, i rintocchi che salutano i mostri nella sera della loro tregenda, si confondono già col suono che slegato dal cielo, scende, vince – col respiro di un’alba che domani per tutti si riaffacci, bianca ma senz’ali di raccapriccio, ai greti arsi del sud…

“La casa dei doganieri” Tu non ricordi la casa dei doganieri sul rialzo a strapiombo sulla scogliera: desolata t’attende dalla sera in cui v’entrò lo sciame dei tuoi pensieri e vi sostò irrequieto. Libeccio sferza da anni le vecchie mura e il suono del tuo riso non è più lieto: la bussola va impazzita all’avventura e il calcolo dei dadi più non torna. Tu non ricordi; altro tempo frastorna la tua memoria; un filo s’addipana. Ne tengo ancora un capo; ma s’allontana la casa e in cima al tetto la banderuola affumicata gira senza pietà. Ne tengo un capo; ma tu resti sola né qui respiri nell’oscurità. Oh l’orizzonte in fuga, dove s’accende rara la luce della petroliera! Il varco è qui? (Ripullula il frangente ancora sulla balza che scoscende…) Tu non ricordi la casa di questa mia sera. Ed io non so chi va e chi resta.

L’anguilla L’anguilla, la sirena ruscelli pirenaici riconducono a paradisi di fecondazione;  L’anguilla, la sirena l’anima verde che cerca dei mari freddi che lascia il Baltico vita là dove solo per giungere ai nostri mari, morde l’arsura e la desolazione, ai nostri estuari, ai fiumi la scintilla che dice che risale in profondo, sotto la piena avversa, tutto comincia quando tutto pare incarbonirsi, bronco seppellito; di ramo in ramo e poi l’iride breve, gemella di capello in capello, assottigliati, di quella che incastonano i tuoi cigli sempre più addentro, sempre più nel cuore e fai brillare intatta in mezzo ai figli del macigno, filtrando dell’uomo, immersi nel tuo fango, puoi tu tra gorielli di melma finché un giorno non crederla sorella? una luce scoccata dai castagni ne accende il guizzo in pozze d’acquamorta, nei fossi che declinano dai balzi d’Appennino alla Romagna; l’anguilla, torcia, frusta, freccia d’Amore in terra che solo i nostri botri o i disseccati

“Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale” Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale   e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.   Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.   Il mio dura tuttora, né più mi occorrono   le coincidenze, le prenotazioni,  le trappole, gli scorni di chi crede   che la realtà sia quella che si vede.   Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio  non già perché con quattr'occhi forse si vede di più.  Con te le ho scese perché sapevo che di noi due  le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,  erano le tue.         [da Satura] http://www.youtube.com/watch?v=oeWE84qaw7w