Chi lo dice? È la stessa Bibbia che ce lo conferma! Anche solo sfogliando velocemente… Dalla Genesi… … al Deuteronomio… Fino al Nuovo Testamento… L’inizio.

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Transcript della presentazione:

Chi lo dice? È la stessa Bibbia che ce lo conferma! Anche solo sfogliando velocemente… Dalla Genesi… … al Deuteronomio… Fino al Nuovo Testamento… L’inizio del Vangelo di Giovanni… La prima tentazione di Gesù in Matteo e Luca… Marta e Maria… La moltiplicazione dei pani e dei pesci in Marco… “Signore, da chi andremo?...” Per arrivare a quanto dice l’apostolo Giacomo:

Da questi pochi esempi, è chiaro che la Parola è centrale. Sembra un dato scontato, ma in realtà non lo è! Se si è d’accordo in teoria su questa affermazione, poi, di fatto, ci si scontra con non poche difficoltà. Perché? Perché la Bibbia ci appare più spesso non tanto come un cerchio perfetto, dove tutto combacia e corrisponde… Quanto, piuttosto, come un bel…

Bosco! Fitto… Con luci, ombre, presenze nascoste… Sentieri, scorciatoie, bivi… Magari, dal di fuori, ci appare come impenetrabile. Crediamo addirittura che non ci sia possibilità di attraversarlo. Se decidiamo di entrarci, scopriamo che molto spesso ci sono sentieri in salita e che quando pensiamo di essere arrivati, troviamo un nuovo orizzonte e nuove vie da intraprendere…

Sicuramente la Bibbia non è dunque un libro facile! Ma è davvero essenziale, perché è da lì che veniamo! Anche quando pensiamo di avere tra le mani una pagina “facile”, in realtà scopriamo che non lo è! Per questo la Parola ci sorprende continuamente, perfino nel momento in cui pensiamo di aver capito. Perché davvero non sei tu che leggi la Bibbia… È la Parola che ti legge e ti rivela che il protagonista sotto sotto sei tu, oggi! E non il re Davide, il profeta Geremia, l’apostolo Pietro, Maria…

La scelta della parabola del «buon samaritano» è stata fatta per due motivi: Primo, è molto conosciuta e per questo apparentemente facile e quasi scontata. Dovremo fare lo sforzo di vestire i panni di chi per la prima volta l’ha ascoltata o letta… Per apprezzarne appieno l’incredibile profondità e ricchezza. Secondo, l’icona che è stata scelta per l’Anno Santo Straordinario indetto da Papa Francesco è appunto quella del samaritano.

L’espressione “mettere alla prova” letteralmente è “tentare”. Nel Vangelo di Luca, compare solo nell’episodio della tentazione di Gesù da parte del diavolo nel deserto (Lc. 4,2.12) e nell’azione di questo “Dottore della Legge”.

“Maestro”. È un titolo che nasconde la falsità della domanda e l’ipocrisia di chi la pone. Con le parole “unge”, ma le intenzioni sono ben diverse! “Che devo fare?” La domanda presuppone una mentalità da… … ragionieri!

Gesù risponde alla domanda con una doppia contro-domanda! Con una certa ironia, chiede all’esperto della Legge che cosa è scritto nella Legge. E nello stesso tempo, Gesù domanda allo scriba la sua interpretazione (come leggi?). La risposta-domanda di Gesù dà grande importanza alla tradizione della fede d’Israele… Ma, ben presto, scopriremo che per lui non è sufficiente.

Il “Dottore della legge” risponde con lo Shemà (=ascolta), il “credo” di Israele, che unisce due testi della Legge: il primo è il comando dell’amore totale e assoluto verso Dio (Dt 6,4- 9). Il secondo è un precetto che riguarda l’amore al prossimo (Lv 19,18). Lo specialista ha risposto alle due questioni che Gesù ha posto: Il che cosa, citando le Scritture. E il come unendo i due comandamenti.

Al difensore dell’ortodossia, Gesù dice che la risposta è, letteralmente, “ortodossa”, corretta! Gesù accetta la risposta, ma aggiunge che non basta un’esatta professione di fede, ma occorre metterla in pratica e lo invita… “fa’ questo” e “vivrai”. Gesù afferma che la domanda da farsi non è cosa “fare per avere la vita eterna”, ma bisogna chiedersi se quella che si conduce è “vita”.

Spiazzato dalla risposta di Gesù, il “Dottore della Legge”, “volendo giustificarsi” chiede a Gesù fin dove il suo amore al prossimo deve spingersi. Al tempo di Gesù, il concetto di “prossimo” era dibattuto: dalla concezione più larga che ammetteva anche lo straniero che abitava in Israele (Dt 10,19; Lv 19,18.34)… a quella più rigida che si limitava all’appartenenza alla propria tribù o al solo clan familiare.

Il primo personaggio è anonimo: è un uomo in viaggio. D’improvviso egli “cade” nelle mani di violenti rapinatori. Lo spogliano degli abiti. L’uomo, già anonimo, è ora privato di qualsiasi segno di riconoscimento. Lo caricano di botte, ferendolo a sangue e poi si dileguano velocemente. L’uomo è ormai un nessuno, abbandonato, sospeso tra la vita e la morte.

Il nuovo personaggio è definito in relazione al sistema religioso ebraico. È un uomo che esercita un’attività cultuale nel tempio di Gerusalemme. Il primo verbo (scendeva) e il luogo (per quella stessa strada) colloca il sacerdote sullo stesso piano dell’uomo ferito. Tra i due si instaura una sorta di solidarietà legata alla condivisione puramente casuale di una stessa esperienza. Solidarietà che si spezza immediatamente! Pur vedendolo e venendo a conoscenza della situazione, passa oltre… Non è poi tanto diverso dai rapinatori…

Il levita si comporta allo stesso modo del sacerdote. Così, i due personaggi sono uno lo specchio dell’altro. L’attesa di una risoluzione cresce. Nello stesso tempo però il dramma dell’uomo ferito raddoppia: Egli si vede abbandonato due volte e sempre da uomini legati al servizio del culto. Due domande a questo punto: Perché il sacerdote e il levita si comportano così? E perché Gesù ha scelto proprio un sacerdote e un levita come personaggi “negativi”?

Dopo la comparsa di due personaggi “gemelli”, appartenenti alle categorie dei sacerdoti e dei leviti… Il destinatario della parabola, il dottore della Legge, si aspettava sicuramente l’arrivo di uno appartenente al suo partito, un pio laico, un Israelita! Invece, la sua attesa viene frustrata! La scelta di Gesù rasenta la provocazione e non poteva scegliere un personaggio più urtante e ‘scomodo’… Ma concentriamoci sulla descrizione del comportamento del bastardo eretico…

E tuttavia, il samaritano, così simile agli altri due… NON PASSA OLTRE! Ma è… PRESO DA COMPASSIONE. Il verbo evoca il fremito istintivo delle viscere (materne) e non denota unicamente un semplice stato psicologico. Il verbo descrive il PIENO coinvolgimento dell’intera persona nell’esperienza che sta vivendo. Si tratta della parola chiave del racconto. A partire da questo momento, la vicenda prenderà una piega del tutto differente.

Quale effetto provoca sul dottore della Legge il fatto che il samaritano è soggetto del verbo AVERE COMPASSIONE? L’effetto di una bestemmia! Per noi è difficile capire lo scandalo dell’espressione “ebbe compassione”, che, riferita a un samaritano per un ebreo è come una bestemmia! Nell’Antico Testamento, il verbo “avere compassione” è esclusivo di Dio. Descrive la sua COM-PASSIONE per gli ultimi e i poveri.

E su di noi, quali effetti provoca? Il samaritano è soggetto di due verbi: VEDERE AVERE COMPASSIONE Ebbene, dovremmo ricordare che… SOLO GESÙ… Era soggetto degli stessi verbi nel momento dell’incontro della vedova che accompagnava il suo unico figlio a sepoltura (Luca 7,13). Da quel vero e proprio “scuotimento” interiore del SIGNORE conseguiva poi l’azione potente nei confronti del giovane defunto.

Le azioni del samaritano: GLI SI FECE VICINO. GLI FASCIÒ LE FERITE. VERSANDOGLI OLIO E VINO. LO CARICÒ SULLA SUA CAVALCATURA. LO PORTÒ IN UN ALBERGO SI PRESE CURA DI LUI.

Se confrontiamo le azioni del samaritano con quelle del sacerdote e del levita, troviamo una marcata differenza! La caratteristica essenziale è che il samaritano si lascia ‘modificare’ dalle circostanze improvvise e inattese. Le emozioni e le azioni del samaritano rivelano che egli è interamente coinvolto nella cura del ferito. Fino (quasi) all’esagerazione!

Con una domanda Gesù designa il dottore della Legge a essere giudice della vicenda raccontata. Non è un indovinello difficile. La parabola non dà adito a dubbi. Ma a considerarla bene, la domanda introduce una novità sostanziale che muta radicalmente i termini della questione posta dallo scriba: “E chi è il mio prossimo?”. Dove sta questa novità?

Gesù opera una… La differenza essenziale è che non si cerca di definire il prossimo prendendo le mosse da se stessi… Ma dalla concreta situazione del ferito della parabola, cioè dall’altro… Un individuo senza identità, spogliato di qualsiasi possibilità di riconoscimento. Il “dottore della Legge” voleva sapere fino a che punto dovesse arrivare il suo amore… Gesù afferma che essere “prossimi” dipende da chi ama e non da chi è amato.

Alla domanda di Gesù, come avremmo risposto noi? IL SAMARITANO! Invece, il dottore della Legge evita accuratamente di dire “il samaritano”… Non sopporta che a un soggetto del genere sia applicato un verbo esclusivo di Dio! L’invito finale di Gesù porta il suo interlocutore ad abbandonare la sua logica e il suo punto di vista.

Infatti, lo scriba aveva interrogato Gesù per definire l’altro a partire da se stesso. Considerando la storia raccontata, il dottore comprende che il punto di vista è stato rovesciato. La novità sta nella prospettiva dalla quale si considera l’altro. Di fronte a un ferito una domanda come quella del teologo esperto nella Legge non ha senso. Tutto parte dall’altro. Non si tratta di dare una definizione nuova di prossimo. Ma di avere un nuovo e differente sguardo.

«Il sacerdote è la legge, il levita la parola profetica, il Samaritano è Cristo che ha preso carne da Maria; il giumento è il corpo di Cristo; il vino è la sua parola che istruisce e corregge, l’olio è la parola della filantropia e della misericordia o della pietà; la locanda è la Chiesa».

Il racconto mostra che il credente non si riconosce dall’obbedienza alla Legge o dal culto. Il credente si riconosce da come ama e da come il suo amore voglia avvicinarsi allo stile dell’amore di Dio. Il racconto mostra che il credente, per compiere questo cammino di avvicinamento a Dio, debba compiere una rivoluzione copernicana. Non bisogna più chiedersi ‘chi è il prossimo’, bensì ‘farsi prossimo’. Chi come il dottore della Legge pone se stesso al centro di tutto, continuerà sempre a chiedersi ‘chi è il prossimo’ e poi a non fare niente e passare oltre… Chi invece si pone nella prospettiva della logica di Dio, sa riconoscere il prossimo, qui e ora, e non si fa tante domande… Il racconto mostra che solo l’amore è in grado di ‘guarire’ l’umanità. È un monito per la comunità cristiana: la recita dello “Shemà“ da parte del “dottore della Legge” è perfetta come può esserla quella di un cristiano che recita il “Credo” a messa…

Gesù illustra l’amore gratuito e incondizionato di Dio che non guarda i meriti della persona ma le sue necessità, come il “samaritano”. Gesù cambia la definizione di credente: da colui obbedisce a Dio con l’osservanza delle sue leggi, a chi assomiglia al Padre nella pratica di un amore come il suo. Essere credenti o meno, non dipende da atteggiamenti religiosi ma da una disposizione favorevole verso gli uomini, da una sensibilità umana di fronte alla sofferenza. È l’amore che determina chi crede o no.

Spunti e riflessioni tratti da: M. Crimella, Marta, Marta! Quattro esempi di «triangolo narrativo» nel «grande viaggio di Luca», Cittadella Editrice, Assisi 2009.