SENECA MAESTRO DI NERONE UN GRANDE FALLIMENTO EDUCATIVO
In Le domande della vita, Fernando Savater, professore di Etica all’Università dei Paesi Baschi scrive che “la filosofia non è sapere come se la cavava Socrate, nell’Atene di venticinque secoli fa, per vivere meglio, ma come noi possiamo comprendere e vivere nel miglior modo possibile la nostra esistenza”.
La clementia consiste nella moderazione e nell’indulgenza, nel saper garantire allo stato stabilità, nel trattare i sudditi come un PATER tratta i figli, consapevole di aver su di loro diritto di vita e di morte, ma per nulla desideroso di abusarne
l’etica è parte essenziale di ogni educazione veramente degna di questo nome
Savater sviluppa la sua indagine filosofica orientata all’educazione pensando a una sua applicazione ai grandi numeri, alle masse di società non soggette, a livello di organizzazione del potere, a regimi di tipo autoritario
Nel caso di Seneca, invece, il destinatario è un unico individuo e, per di più, uno destinato a essere fondamentalmente solo, come può esserlo chi detenga il potere assoluto.
Nel De clementia (l’opera risale ai primi anni del principato di Nerone, 55-56) prende realisticamente atto del fatto che il principato, nonostante la finzione augustea di una restaurazione della res publica, sia una MONARCHIA ASSOLUTA
la virtù politica per eccellenza è la CLEMENZA, non più la GIUSTIZIA come ritenevano Platone e Cicerone: la clemenza è infatti una virtù che IMPLICA UN RAPPORTO DI DIPENDENZA; il punto di riferimento, in una monarchia assoluta, non sono le LEGGI ma il SOVRANO
La clemenza non va confusa con la misericordia o la gratuita generosità, ma piuttosto coincide con la filantropica benevolenza, in grado di suscitare nei sudditi consenso e dedizione. Una visione al contempo illuminata e paternalistica, che attribuisce sempre al sovrano anche una capacità di perfezionarsi moralmente, complice il suo costante affidamento alla filosofia.
Tacito, Annales, XIV, 8 2. Aniceto circondò la villa con un cordone di uomini, quindi, sfondata la porta, fece trascinare via tutti i servi che gli si facevano incontro finché giunse davanti alla porta della stanza da letto: qui stava di guardia uno sparuto gruppo di domestici, perché tutti gli altri si erano dileguati atterriti dall’irruzione dei soldati. 3. Nella camera, illuminata da una luce fioca, si trovava una sola ancella, mentre Agrippina era sempre più in ansia perché non arrivava nessun messo da parte del figlio e non ritornava neppure Agermo: le cose sarebbero state ben diverse, all’intorno, se gli eventi avessero preso una piega favorevole; ora invece non vi era che solitudine, un silenzio rotto da grida improvvise e tutti gli indizi di una irrimediabile sciagura. 4. Poiché l’ancella stava per andarsene, Agrippina si volse verso di lei per dirle: «Anche tu mi abbandoni?», e allora vide Aniceto accompagnato dal trierarco Erculeio e dal centurione navale Obarito. E subito gli disse che, se era venuto per farle visita, poteva riferire a Nerone che si era ristabilita; se invece era lì per compiere un delitto, ella non poteva credere che ubbidisse a un ordine del figlio: era certa che egli non aveva comandato il matricidio. 5. I sicari circondarono il letto e il trierarca per primo colpì al capo con un bastone; quindi il centurione impugnò la spada per finirla, e allora Agrippina, protendendo il ventre, esclamò: «Colpisci qui», e spirò trafitta da più colpi.
Luca Ferrari, detto Luca da Reggio - Reggio Emilia, 1605 - Padova, 1654 Nerone davanti al corpo di Agrippina