DIVINA COMMEDIA a cura della prof.ssa Maria Isaura Piredda
Dopo la sconfitta del suo partito, Dante venne esiliato a vita da Firenze e costretto a chiedere ospitalità presso le corti dell’Italia settentrionale. In esilio per circa 15 anni lavorò fino alla morte al poema della Divina Commedia.
LA STRUTTURA DEL POEMA La Divina Commedia è un poema composto da 14.223 endecasillabi in terzine concatenate Lo schema metrico è ABA BCB CDC … I versi endecasillabi sono disposti in sequenze di tre, legati tra loro da tre rime
è suddiviso in tre cantiche (il termine CANTICA nel Medioevo stava ad indicare componimenti poetici, generalmente in più parti, di carattere narrativo o religioso e di grande impegno): Inferno, Purgatorio, Paradiso ogni cantica è suddivisa in 33 canti (il primo canto dell’Inferno funge da proemio generale all’intero poema, perciò è costituito da 34 canti, mentre il Purgatorio e il Paradiso ne hanno 33 ciascuno)
LA LINGUA Il poema è scritto in una lingua di base fiorentina, ma in essa l’autore ha mescolato parole ed espressioni di varia provenienza (questa lingua “inventata” da Dante è divenuta la base lessicale dell’italiano che parliamo tuttora).
IL TITOLO Il titolo iniziale del poema, che lo stesso Dante cita per ben due volte nell’Inferno, è Comedìa. Nell’edizione veneziana del 1555 del poema comparve per la prima volta il titolo di Divina Commedia.
Il termine “commedia” non si riferisce al genere teatrale della commedia ma a uno stile mezzano (cioè intermedio) tra il più elevato (tragico) e il più basso (elegiaco) perché ciascuna delle tre cantiche si caratterizza per lo stile e la lingua: - nell’Inferno che si ambienta nel mondo dei dannati Dante utilizza lo stile umile dell’elegia, - nel Purgatorio, dedicato alla purificazione spirituale delle anime, usa lo stile mezzano (o comico), - nel Paradiso viene utilizzato lo stile più sublime, quello tragico. Però in ciascuna delle tre cantiche vediamo anche mescolarsi i più diversi elementi del lessico, della metrica e della sintassi.
IL SIMBOLISMO NUMERICO DEL POEMA Dante affida ai numeri non solo il compito di esprimere la perfetta struttura architettonica che regge la narrazione ma anche quello di riprodurre la perfezione della creazione divina. Egli utilizza l’uno che è il numero di Dio e il tre che è il numero della Trinità:
IL NUMERO TRE Il poema si compone infatti di tre cantiche, ognuna suddivisa in 33 canti (il totale è 100 con l’aggiunta del canto proemiale, che rappresenta la perfezione) Ogni cantica si conclude con un’identica parola-rima finale (stelle) Sono tre le guide che accompagnano Dante nei tre regni dell’oltretomba (Virgilio, simbolo della ragione retta che sa riconoscere i bene e il male; Beatrice, simbolo della grazia santificante e della teologia; San Bernardo, che è maestro di spiritualità ed introduce Dante alla contemplazione di Dio)
Le anime dell’Inferno sono riunite in tre gruppi (incontinenti, violenti, fraudolenti) nel Purgatorio sono tre le categorie degli spiriti espianti (coloro che amarono il male, coloro che poco amarono il bene, coloro che troppo apprezzarono i beni terreni) sono tre anche i gruppi dei beati in Paradiso (spiriti mondani, spiriti attivi, spiriti contemplativi).
IL NUMERO NOVE Da ricondurre alla Trinità anche il nove (multiplo di tre) che ricorre nei nove cerchi infernali, nelle nove zone purgatoriali, nei nove cieli paradisiaci.
IL VIAGGIO NELL’OLTRETOMBA Il poema inizia di notte. In una notte speciale: tra giovedì e venerdì santo del 1300 (anno santo del primo Giubileo della storia, indetto dal papa Bonifacio VIII per la remissione dei peccati). E’ allora (proprio mentre la Chiesa ricorda il tradimento di Cristo e l’abbandono da parte dei discepoli nell’orto degli ulivi) che Dante si perde in una selva oscura, simbolo del peccato.
Dante si trova a Gerusalemme (non spiega come ci è arrivato), il punto che nel Medioevo era considerato il centro delle terre emerse. Si trova in preda ad una profonda crisi spirituale e morale
In questa selva oscura Dante è minacciato da tre fiere (lonza, leone e lupa) che gli impediscono di uscire da quella selva con le sue sole forze. Giunge in suo aiuto Virgilio, il poeta latino autore dell’Eneide.
Vista la strada sbarrata dalle fiere, Virgilio dice a Dante che potrà uscire dall’inferno passando nel regno dei morti attraverso un vero e proprio pellegrinaggio di penitenza e di purificazione, per risalire poi spiritualmente verso il bene e la verità attraversando il purgatorio e il paradiso fino alla contemplazione di Dio. Quando Dante inizia il viaggio ha circa 35 anni (è giunto “nel mezzo del cammin di nostra vita”).
Il cammino attraverso l’inferno con Virgilio dura dal venerdì al sabato (8-9 aprile 1300). Dante e Virgilio usciranno dall’inferno nella notte tra sabato e domenica (la notte della risurrezione di Gesù). Dante e Virgilio
La salita verso il purgatorio inizia all’alba della domenica (10 aprile) con l’ausilio di Beatrice Il volo verso il paradiso si concluderà con San Bernardo a mezzogiorno del 13 aprile (mercoledì) con la visione di Dio. Dante, San Bernardo e la Madonna
I REGNI DELL’ OLTRETOMBA
L’inferno L’inferno è descritto come una voragine a forma di cono rovesciato, i cui bordi sono incisi a scaloni orizzontali che formano nove ripiani a cerchi concentrici in cui sono puniti i peccatori.
I cerchi sono sempre più stretti man mano che ci si avvicina al fondo dell’inferno che è posto nel centro esatto della terra dove è conficcato Lucifero (o Satana), l’angelo che all’inizio dei tempi si ribellò a Dio e che, per punizione, venne sprofondato nel punto più lontano da Dio. Secondo la tradizione medievale, mentre Lucifero cadeva, le terre si ritrassero al suo passaggio creando la voragine conica dell’inferno, e di conseguenza nell’emisfero australe sorse un’isola montuosa (la montagna del purgatorio) tutta circondata dal mare.
Il passaggio dall’inferno al purgatorio attraverso cui passano Dante e Virgilio è un lungo corridoio sotterraneo che parte dai piedi di Lucifero.
Il purgatorio
Le anime che giungono ai piedi della montagna del purgatorio vi sono condotte da un angelo che le raccoglie su una barca sulle rive del Tevere. Sulla spiaggia che circonda il monte e sulle prime balze (antipurgatorio) vi sono i negligenti (le anime che tardarono a pentirsi).
Il cammino di espiazione prosegue lungo le sette cornici o gironi in cui si suddivide la montagna. Sulla cima del monte si apre un’altra selva, non più oscura ma luminosa, è l’Eden, il paradiso terrestre dove dimorano tutte le anime che completano la loro purificazione. Anche Dante giunto all’Eden ha completato il suo percorso di purificazione perciò abbandona Virgilio (che non essendo battezzato non può entrare in paradiso) ed incontra Beatrice.
Il paradiso
Le anime del paradiso risiedono nell’Empireo (a forma di immenso anfiteatro), indicato come candida rosa dischiusa attorno al trono di Dio. Dante però non incontra le anime beate nell’Empireo, ma le anime gli vanno incontro mentre attraversa le varie sfere celesti (è un espediente narrativo usato per rendere meno noioso il racconto).
Nella cosmologia dantesca sono presenti i canoni medievali, secondo cui la terra è al centro dell’universo, sovrastata da nove cieli concentrici; sopra di essi è l’Empireo, dov’è posto il trono di Dio. Questi cieli si muovono in virtù del movimento che Dio imprime loro (Dio è la fonte che dà energia a tutto ciò che vive)
LA STRUTTURA MORALE DELL’OLTRETOMBA Il viaggio di Dante comprende una discesa e una risalita, un allontanamento e un ritorno a Dio. Anche le anime sono disposte, secondo le loro colpe e i loro meriti, più o meno lontani da Dio. Nella discesa all’inferno Dante incontra prima le anime di coloro che hanno colpe più lievi, poi coloro che hanno commesso colpe sempre più gravi.
La salita al purgatorio lo porta dal peccato più grave al più lieve. La visione paradisiaca lo conduce dal grado più basso di beatitudine al più elevato.
PENE E CASTIGHI Le anime dell’oltretomba dantesco soffrono pene e castighi proporzionati alle colpe e regolati dalla legge del contrappasso (la giustizia divina stabilisce una relazione di analogia o di contrasto tra la pena e la colpa):
l’analogia si mostra, per esempio, nel canto V dell’Inferno, dove le anime dei lussuriosi, travolti in vita dalla bufera dei sensi sono allo stesso modo travolti, nell’aldilà, da una bufera infernale che non si ferma mai il contrasto si evidenzia, per esempio, nella continua corsa degli ignavi nell’Inferno (coloro che in vita non avevano mai avuto il coraggio di prendere decisioni importanti) Quanto essi, in vita, furono pigri verso il bene, tanto adesso devono correre senza tregua, nell’aldilà.
Le anime dell’oltretomba dantesco sentono i tormenti fisici perché sono dotate di corpo spirituale, simile a quello di Cristo dopo la risurrezione (un corpo capace di digerire pesce ma anche di attraversare i muri). Solo in paradiso la spiritualità si accentua e l’anima è anima e basta.