IL VERISMO.

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Transcript della presentazione:

IL VERISMO

Il Realismo è l’indirizzo generale che caratterizza la cultura europea a partire dalla seconda metà dell’Ottocento. Esso nasce in risposta alla crisi del Romanticismo. Rappresentare la realtà col massimo di concretezza e di obiettività e col minimo di mediazione soggettivistica. Il movimento si caratterizza per alcuni fenomeni: - la preferenza per la forma del romanzo; - l'attenzione alla concreta realtà sociale e storica; - la rappresentazione della realtà quotidiana in modo non burlesco, seppur mescolato di comico e di tragico. Nell'ambito della vasta corrente realistica si distinsero i movimenti del Naturalismo e del Verismo.

VERISMO NATURALISMO Plebi paesane Persone studiate Ambiente Condizioni sociali Scopo Modo di scrivere VERISMO Plebi paesane Campagne Osserva la miseria economica È pessimista, perché ritiene impossibile un riscatto dei miseri Partecipi e commossi i veristi (la lingua dei veristi contiene molte movenze del parlato: è una lingua con lessico italiano e sintassi dialettale)   NATURALISMO Proletariato parigino Parigi Casi patologici (malattie, alcolismo, demenza, prostituzione) È ottimista: crede al miglioramento delle condizioni di vita del proletariato Impersonale

VERISMO La corrente letteraria del Verismo nasce a Milano nel 1878 quando viene pubblicato il primo racconto verista di Verga Rosso Malpelo. La sua parabola si conclude tra il 1889 (anno di pubblicazione del romanzo dannunziano Il piacere) ed il 1891 (anno in cui Pascoli stampa la sua raccolta di poesie Myricae), anche se nel 1894 esce uno dei capolavori del Verismo italiano, I Viceré di De Roberto. Esponenti: Sicilia: Giovanni VERGA (I Malavoglia; Mastro don Gesualdo); Luigi CAPUANA (Il marchese di Roccaverdina); Federico DE ROBERTO (I Viceré); Sardegna: Grazia DELEDDA (Canne al vento; Elias Portulu); Campania: Matilde SERAO (Il paese di cuccagna; Piccole anime); Toscana: Renato FUCINI (Veglie di Neri; Napoli ad occhio nudo); Lombardia: Emilio DE MARCHI (Demetrio Pianelli; Arabella; Giacomo l'idealista).

GIOVANNI VERGA

VITA Nasce a Catania nel 1840 da una famiglia di proprietari terrieri. Trascorre la giovinezza nella città natale e viene educato ai valori romantico-risorgimentali. Dopo un primo soggiorno fiorentino nel 1865, Verga si stabilisce nel 1869 a Firenze fino al 1872 quando parte per Milano e vi risiede fino al 1893. A Milano, capitale economica oltre che letteraria d’Italia, matura l’adesione al Naturalismo e la nascita del Verismo. Ritorna a Catania dove muore il 24 gennaio 1922. - La formazione giovanile di Verga è tutta intrisa del clima romantico. In questa fase scrive i romanzi I carbonari della montagna (romanzo storico), Una peccatrice (storia d’amore passionale). Il cambiamento inizia con Storia di una capinera (storia di un amore impossibile e di una monacazione forzata). La svolta verista si ha con la novella Nedda (“bozzetto siciliano”) del 1874 grazie alla scoperta dei naturalisti francesi e all’amicizia col Capuana. Si narra la storia di Nedda che lavora come raccoglitrice di olive per curare la mamma malata. Si innamora di un giovane, ma questi muore cadendo da un albero, e poi perde la bambina nata da questa relazione. - L’adesione al Verismo avviene tra la fine del 1877 e la primavera del 1878. La prima novella verista è Rosso Malpelo, inserita nella raccolta Vita dei campi.

IL CICLO DEI «VINTI» Parallelamente alle novelle, Verga concepisce anche il disegno di un ciclo di romanzi con la volontà di tracciare un quadro sociale, di delineare la società italiana passando in rassegna tutte le classi, dai ceti popolari alla borghesia di provincia all’aristocrazia. Criterio unificante è il principio della lotta per la sopravvivenza (che lo scrittore ricava dalle teorie di Darwin): tutta la società è dominata da conflitti di interesse, ed il più forte trionfa, schiacciando i più deboli. Il progetto prevedeva la stesura di 5 romanzi, ma Verga ne ha scritti soltanto 2 (I Malavoglia e Mastro Don Gesualdo) ed uno incompleto (La Duchessa de Leyra). Al ciclo viene premessa una prefazione che chiarisce gli intenti generali dello scrittore.

PREFAZIONE (inserita nel primo romanzo del ciclo I Malavoglia) «Questo racconto è lo studio sincero e spassionato del come probabilmente devono nascere e svilupparsi nelle più umili condizioni, le prime irrequietudini pel benessere; e quale perturbazione debba arrecare in una famigliuola vissuta fino allora relativamente felice, la vaga bramosia dell'ignoto, l'accorgersi che non si sta bene, o che si potrebbe star meglio. Il movente dell’attività umana che produce la fiumana del progresso è preso qui alle sue sorgenti, nelle proporzioni più modeste e materiali. Il meccanismo delle passioni che la determinano in quelle basse sfere è meno complicato, e potrà quindi osservarsi con maggior precisione. Basta lasciare al quadro le sue tinte schiette e tranquille, e il suo disegno semplice. Man mano che cotesta ricerca del meglio di cui l’uomo è travagliato cresce e si dilata, tende anche ad elevarsi, e segue il suo moto ascendente nelle classi sociali. Nei Malavoglia non è ancora che la lotta pei bisogni materiali. Soddisfatti questi, la ricerca diviene avidità di ricchezze, e si incarnerà in un tipo borghese, Mastro-don Gesualdo, incorniciato nel quadro ancora ristretto di una piccola città di provincia, ma del quale i colori cominceranno ad essere più vivaci, e il disegno a farsi più ampio e variato. Poi diventerà vanità aristocratica nella Duchessa di Leyra; e ambizione nell'Onorevole Scipioni, per arrivare all'Uomo di lusso, il quale riunisce tutte coteste bramosie, tutte coteste vanità, tutte coteste ambizioni, per comprenderle e soffrirne, se le sente nel sangue, e ne è consunto.

[…] Perché la riproduzione artistica di cotesti quadri sia esatta, bisogna seguire scrupolosamente le norme di questa analisi; esser sinceri per dimostrare la verità, giacché la forma è così inerente al soggetto, quanto ogni parte del soggetto stesso è necessaria alla spiegazione dell'argomento generale. Il cammino fatale, incessante, spesso faticoso e febbrile che segue l’umanità per raggiungere la conquista del progresso, è grandioso nel suo risultato, visto nell'insieme, da lontano. […] Solo l’osservatore, travolto anch’esso dalla fiumana, guardandosi attorno, ha il diritto di interessarsi ai deboli che restano per via, ai fiacchi che si lasciano sorpassare dall’onda per finire più presto, ai vinti che levano le braccia disperate, e piegano il capo sotto il piede brutale dei sopravvegnenti, i vincitori d’oggi, affrettati anch'essi, avidi anch’essi d’arrivare, e che saranno sorpassati domani. I Malavoglia, Mastro-don Gesualdo, la Duchessa de Leyra, l'Onorevole Scipioni, l’Uomo di lusso sono altrettanti vinti che la corrente ha deposti sulla riva, dopo averli travolti e annegati, ciascuno colle stimate del suo peccato, che avrebbero dovuto essere lo sfolgorare della sua virtù. Ciascuno, dal più umile al più elevato, ha avuta la sua parte nella lotta per l’esistenza, pel benessere, per l'ambizione – dall’umile pescatore al nuovo arricchito – alla intrusa nelle alte classi – all’uomo dall’ingegno e dalle volontà robuste, il quale si sente la forza di dominare gli altri uomini; di prendersi da sé quella parte di considerazione pubblica che il pregiudizio sociale gli nega per la sua nascita illegale; di fare la legge, lui nato fuori della legge – all'artista che crede di seguire il suo ideale seguendo un’altra forma dell'ambizione. Chi osserva questo spettacolo non ha il diritto di giudicarlo; è già molto se riesce a trarsi un istante fuori del campo della lotta per studiarla senza passione, e rendere la scena nettamente, coi colori adatti, tale da dare la rappresentazione della realtà com'è stata, o come avrebbe dovuto essere.»   Milano, 19 gennaio 1881

I Malavoglia: migliorarsi economicamente Mastro Don Gesualdo: migliorarsi socialmente La Duchessa de Leyra: vanità aristocratica L’Onorevole Scipioni: ambizione politica L’Uomo di lusso: tutte le bramosie Verga non porta a termine il ciclo perché spostando l’attenzione sui vinti del Nord, si rende conto che questi non hanno l’attaccamento alla roba e alla famiglia come quelli del Sud. IDEALE DELL'OSTRICA. È una metafora (novella Fantasticheria) per spiegare che ogni uomo è destinato a rimanere legato al contesto socioeconomico in cui è nato: quando cerca di staccarsi, illuso dal desiderio di migliorare la propria condizione, è travolto, inghiottito dal pesce vorace, il mondo. Verga ha una visione pessimistica della vita: di fronte alle difficoltà l’uomo non può fare altro che rassegnarsi di fronte al suo destino.

I MALAVOGLIA Il primo romanzo verista esce nel 1881. È suddiviso in 15 capitoli e la vicenda si svolge tra il 1863 ed il 1877-1878. È la storia della famiglia Toscano, nota nel paese di Aci Trezza con il soprannome Malavoglia, soprannome che mal si addice alla famiglia giacché si tratta di gente laboriosa, a cui certo non manca la voglia di lavorare. La famiglia è composta dal nonno, padron ‘Ntoni, piccolo proprietario (possiede una casa - la «casa del nespolo» - e una barca, la Provvidenza), dal figlio Bastiazazzo e dalla nuora Maruzza, detta Longa, e dai nipoti ‘Ntoni, Luca, Alessi, Mena e Lia. Per fare la dote a Mena, il nonno compra a credito una partita di lupini, indebitandosi con un usuraio. Durante il trasporto dei lupini, la barca fa naufragio e Bastianazzo muore in mare. Comincia un periodo di disgrazia e di miseria: Luca muore durante la battaglia di Lissa (terza guerra di indipendenza 20 luglio 1866), ‘Ntoni torna dal servizio militare più povero di prima e inizia a frequentare gli ambienti del contrabbando fino all’arresto (5 anni di carcere), Lia fugge da casa e diventa prostituta a Catania. Trascorso il periodo di carcere, ‘Ntoni torna a casa e resta nella «casa del nespolo» solo una notte, all’alba riparte: ha capito che non può vivere in una famiglia di cui ha violato le norme morali per inseguire i suoi sogni e in un paese che ora vede come un’oasi di tranquillità e serenità.

I ricordi stessi del suo paese, le voci a lui note, le persone a lui care sembrano respingerlo: Soltanto il mare gli brontolava la solita storia lì sotto, in mezzo ai fariglioni, perché il mare non ha paese nemmen lui, ed è di tutti quelli che lo stanno ad ascoltare, di qua e di là dove nasce e muore il sole anzi ad Aci Trezza ha un modo tutto suo di brontolare, e si riconosce subito al gorgogliare che fa tra quegli scogli nei quali si rompe, e par la voce di un amico. Scompaiono dalla scena il vecchio ‘Ntoni ed il giovane ‘Ntoni, entrambi vinti dalla vita, l’uno perché credeva di conservare una tradizione di sacrifici, l’altro per averla rifiutata. I Malavoglia sono il romanzo che dà l’addio alla religione della famiglia. La «fiumana del progresso» è inesorabile e sotto la sua spinta la religione della famiglia si sta dissolvendo.

MASTRO DON GESUALDO Il secondo romanzo del ciclo è pubblicato nel 1888. Il titolo introduce la figura di un arrampicatore sociale: un «mastro» - un muratore – che diventa ricco e merita l’appellativo di «don» senza riuscire a far dimenticare la sua umile origine. Il romano è composto di 21 capitoli suddivisi in quattro parti: 1) matrimonio di Gesualdo con Bianca Trao (nobile decaduta), della quale si scopre la relazione illecita con il cugino Ninì Rubiera; 2) Gesualdo diventa il più ricco del paese; 3) Isabella, figliastra di Gesualdo (figlia di Bianca e di Ninì) e futura duchessa di Leyra del terzo e incompiuto romanzo del ciclo, si innamora del cugino. Per soffocare lo scandalo, il padre le combina il matrimonio con il duca di Leyra; 4) decadenza di Gesualdo che, dopo la morte di Bianca, si ammala di cancro e muore a Palermo nella casa della figlia e del genero, con la triste angoscia di veder finire la sua roba. La roba è il simbolo della conquista, è per Gesualdo più cara della vita perché è il documento della storia del suo duro lavoro. La roba lo chiude sempre più nella solitudine e nella disperazione. Diodata, la sua serva, è l’unica che sa come questa roba è stata fatta.

La figura di Mastro Don Gesualdo e il motivo ispiratore del romanzo, che è la religione della «roba», sono anticipati nella novella La roba, così come le vicende de I Malavoglia si intravedono nella novella Fantasticheria. Sul piano sociale il romanzo rappresenta il contrasto tra la nuova borghesia in ascesa, avida e ambiziosa, simboleggiata da Mastro Don Gesulado, e le vecchie aristocrazie in declino, simboleggiate dai Trao.