Santa Rosa da Lima, alla madre che la rimproverava di accogliere in casa poveri e infermi, rispose: «Quando serviamo i poveri e i malati, serviamo Gesù. Non dobbiamo lasciar mancare l’aiuto al nostro prossimo, perché nei nostri fratelli serviamo Gesù».
UNA STESSA RADICE Corporali o spirituali, la radice di queste opere è la stessa: l’amore verso il prossimo e, a monte, la misericordia di Dio nei confronti degli uomini, misericordia che ha la sua icona più espressiva nel volto del Gesù dei vangeli, attento ai bisogni di quelli che lo seguono, alle lacrime di chi soffre, alla fame di chi potrebbe venire meno per strada per non avere mangiato, al bisogno di perdono di chi ha sbagliato.
La tradizione cristiana antica abbonda di elenchi di opere di misericordia.
Alla mente di coloro che li hanno formulati era presente l’elenco di Gesù nel Vangelo di Matteo, le sei opere di bene fatte o trascurate da coloro che sono convocati per l’ultimo giudizio, ma erano presenti anche tutte le altre indicazioni del Signore sulla carità.
Ne Il Pastore di Erma, uno scritto che risale alla prima metà del II secolo, è presente un lungo elenco di «opere di Dio» che consistono nell’astenersi dal male e nel fare il bene.
Il cristiano deve compiere opere di bene e tra quelle che vengono elencate in dettaglio se ne trovano di corrispondenti alle nostre «opere di misericordia»:
la pazienza, l’assistenza alle vedove, il visitare gli orfani e i bisognosi, l’impegno a liberare dalle ristrettezze i servi di Dio,
l’ospitalità, il non ostacolare nessuno, la serenità e l’umiltà, il rispetto degli anziani,
la pratica della giustizia, la fratellanza, il sopportare la prepotenza, la magnanimità,
il non serbare rancore, il consolare gli afflitti, il non allontanare dalla comunità di fede quanti danno scandalo, impegnandosi a convertirli e incoraggiarli al bene, l’ammonire i peccatori, il non opprimere i debitori e i bisognosi...
Anche san Cipriano, vescovo di Cartagine, nel III secolo, in almeno due suoi scritti dedicati alle opere buone e al commento del Padre nostro, spiega che, per essere accetta a Dio e da lui ascoltata, la preghiera deve accompagnarsi alle buone opere.
Il santo inserisce nel suo elenco la sepoltura dei defunti.
Il primo elenco che in qualche modo si avvicina a quello che conosciamo oggi lo si deve a Lattanzio (325), uno scrittore cristiano che ricorda in suo scritto che
se qualcuno non ha cibo occorre metterlo a parte del proprio,
occorre vestire chi è nella nudità,
liberare chi subisce ingiustizia da parte di un potente,
aprire la propria casa ai pellegrini, ai senzatetto,
difendere gli orfani e proteggere le vedove,
riscattare i prigionieri,
visitare e consolare poveri e infermi,
non lasciare insepolti i morti di cui nessuno si prende cura.
L’attenzione ai bisogni spirituali dell’uomo, e dunque l’individuazione di opere di misericordia spirituale, nasce probabilmente da un’interpretazione particolare del passo evangelico di Matteo da parte dello scrittore cristiano Origene (253) che, nel suo Commento a Matteo, afferma appunto che le opere ricordate dal Signore possono essere intese sia in senso materiale che in senso spirituale.
Sant’Agostino (430), legando strettamente tra loro opere di misericordia spirituale e corporale, ha scritto che l’elemosina è fatta non solo quando si dà cibo a chi ha fame, da bere a chi ha sete, vestito a chi è ignudo, accoglienza al pellegrino, nascondiglio al fuggitivo, conforto della visita all’infermo e al carcerato, ma anche quando si corregge il debole che sbaglia, si accompagna il non vedente, si orienta chi ha bisogno di guida, si consiglia chi è nel dubbio, si usa indulgenza con chi ha peccato.
Anche altri scrittori ecclesiastici dell’antichità hanno lasciato le loro considerazioni sulle opere di misericordia dell’uno e dell’altro genere. Quando san Tommaso d’Aquino ne trattò all’interno della sua ampia produzione teologica mettendole in relazione con la carità, la duplice serie era ormai stabilita in modo definitivo.