SENECA TRAGICO il furor in conflitto col logos

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SENECA TRAGICO il furor in conflitto col logos

Fedra  era figlia di Minosse e di Pasifae, sorella di Arianna, sposa di Teseo che l’ha portata con sé nella fuga da Creta. Secondo l’elaborazione del mito fatta da Euripide  in due tragedie, presa da folle amore per il figliastro Ippolito, casto seguace di Artemide, e da lui respinta, si uccide accusando Ippolito di aver tentato di sedurla, e ne provoca la morte.

Ippolito era il mitico figlio di Teseo e dell’amazzone Antiope Ippolito  era il mitico figlio di Teseo e dell’amazzone Antiope. Era bellissimo e casto, seguace quindi di Artemide-Diana e avverso ad Afrodite I ppolito trascinato dai suoi cavalli, opera dell'artista Sir Lawrence Alma -Tadena, 1860  circa

Del 1996 è l'opera Phaedra’s Love della drammaturga inglese Sarah Kane Il mito di Fedra e Ippolito è narrato nella tragedia Ippolito di Euripide e, nel mondo latino, da Ovidio che, nelle sue Heroides dedica un'epistola, la IV, a Fedra che scrive a Ippolito (senza risposta). Del  1677 è il dramma di  Jean Racine, Phèdre. D’Annunzio  nel 1909 mise in scena una tragedia intitolata Fedra, rifacendosi esplicitamente al mito classico, e nel 1915 andò in scena un'opera di Ildebrando Pizzetti, anch'essa col titolo di Fedra, basata sul testo dannunziano. Il poeta greco Ghiannis Ritzos  riscrive il mito di Fedra, che pubblica all'interno del volume Quarta dimensione nel 1972, durante la "pausa liberale" della dittatura di Papadopulos. Del 1996 è l'opera Phaedra’s Love della drammaturga inglese Sarah Kane

La tragedia vede in scena 6 dramatis personae ovvero personaggi del dramma: Ippolito, Fedra, la Nutrice, il Coro, Teseo e un Nunzio.

CANTO MONODICO DI IPPOLITO Egli si professa seguace di Diana, “sovrana del regno più segreto della terra, saettatrice infallibile della fiera che si abbevera al gelido Arasse e di quella che danza sulla crosta ghiacciata dell’Istro. La tua mano raggiunge i leoni di Libia e le cerve di Creta, o trafigge, più lieve, le gazzelle in corsa. A te offrono il petto le tigri maculate, a te offrono il dorso i bisonti villosi e gli uri selvaggi dalle larghe corna. Ha paura del tuo arco, Diana, tutta la fauna che vive nelle solitudine, quella ben nota agli Arabi nei boschi ricchi di aromi, o dai Garamanti […] Se il tuo fedele ti è accetto e porta con sé la tua benedizione, le reti tengono avvinte le fiere, le zampe non strappano i lacci, la preda fa gemere il carro; allora il muso dei cani è tutto rosso di sangue e la schiera campagnola torna alle sue capanne in un lungo trionfo. Eccoti, o dea; latrano i cani, segno del tuo favore. Mi chiamano i boschi.”

MONOLOGO DI FEDRA “Ma sull’anima triste mi pesa un altro più grande dolore. Non mi porta sollievo né la notte né il sono: il mio male si alimenta, e cresce e brucia come il fuoco che trabocca dal cratere dell’Etna. […] Vorrei scovare e inseguire di corsa le fiere e scagliare i rudi giavellotti con la mano delicata. Dove corri, mio cuore? Che delirio ti fa amare le selve? La riconosco, la fatale passione di mia madre infelice: il nostro amore si fa peccato nei boschi. Madre, ho pietà di te: preda di una furiosa passione, sei giunta ad amare il capo feroce di bestie selvagge: era un bruto, il tuo amante, insofferente del giogo, re di un branco brado…Ma era capace di amore. Quale dio, quale Dedalo, avrà rimedio per il mio rovente dolore? […]Per le figlie di Minosse non ci sono amori normali, tutti hanno qualcosa di empio.”

LA VOCE DELLA NUTRICE L’amore come divinità possente è invenzione di una voglia immorale e viziosa, che per essere più libera ha dato alla passione il nome pretestuoso di dio. Imputa alla ricchezza e all’agio l’abbandonarsi più facilmente ai deliri amorosi: l’amore onesto abita in modeste dimore, la classe media ha sentimenti sani mentre ricchi e regnanti vogliono avere più del lecito, vogliono, avendo già troppo, l’impossibile.

LA VOCE DEL CORO Cupido imperversa su tutte le creature con le sue frecce, facendo divampare incendi nei cuori di tutti, giovani e vecchi, dei e armenti; Amore è il dio dal regno più vasto di tutti: dalla terra, al cielo, agli abissi marini, non risparmia nemmeno i mostri del mare, ed è in grado di vincere l’odio

IPPOLITO TESSE L’ODE DELLA PUREZZA ORIGINARIA “…chi ha mantenuto la sua purezza nei boschi non arde di folle cupidigia, non smania per una popolarità infida ai buoni, non è avvelnato dalla gelosia né illuso dal fragile favore dei potenti, […] è libero da speranza e da timore […]la sua proprietà non ha confini: si aggira senza danno di alcuno per l’aperta campagna, sotto il cielo aperto …vuole l’aria e la luce, e la sua vita ha testimonio il cielo. Così si viveva, penso, mescolati agli dei nell’età più antica. […]Ruppero questo accordo l’empia frenesia di guadagno, l’ira impaziente e le brame che non danno mai pace al cuore …allora si cominciò a combattere … e poi il dio della morte inventò sempre più efficaci forme per dare la morte … e si moltiplicarono le empietà, dei fratelli contro i fratelli, dei figli contro i padri, delle madri e delle matrigne: [il discorso diviene misogino] il primo dei mali è la donna, è lei la maestra di delitti, per i suoi adulteri vanno in fumo le città, tanti popoli si fanno guerra, tante genti sono sepolte sotto le rovine dei loro regni. Basti Medea come esempio.”

LA DICHIARAZIONE D’AMORE DI FEDRA: UN AMORE NOSTALGICO Fedra dichiara a Ippolito il suo amore in una forma indiretta, parlando di com’era suo padre da giovane, nel labirinto, quando di lui si innamorò sua sorella Arianna

IL RAMMARICO DEL CORO Quanto sono lontani i celesti dagli uomini: “perché non ti curi di aiutare i buoni e di punire i malvagi?Le cose umane sono in balia del Caso che sparge i suoi doni con mano cieca, favorendo i peggiori; l’innocenza è vinta dall’arbitrio, la falsità regna nei palazzi regali. Il popolo gode di affidare il potere a mani indegne, e la stessa persona è segno di amore e di odio. Il merito tristemente riceve non il premio, ma il castigo della sua virtù: agli onesti è compagna la miseria, e l’adulterio trionfa grazie ai suoi vizi: o moralità, nome vano, falsa apparenza!”

IL CORPO SMEMBRATO Ippolito non appartiene all’ambito del logos (il coro) e nemmeno a quello del furor (Fedra, Teseo). Rappresenta uno stato di natura che si appaga di sé, non necessita di relazioni, si nutre di solitudine. Ha qualcosa di disumano e di astratto, a dispetto del radicamento nella condizione naturale. Il suo smembramento rende atrocemente evidente tale solitudine, in quanto gli sottrae un’identità. Le ultime parole della tragedia, in compenso, conferiscono peso e sostanza al corpo di Fedra.