Invasione e metastasi L’approccio riduzionistico alla biologia del tumore si è concentrato sui meccanismi molecolari alterati della cellula tumorale Questa.

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Invasione e metastasi L’approccio riduzionistico alla biologia del tumore si è concentrato sui meccanismi molecolari alterati della cellula tumorale Questa scelta ha portato ad un ritardo nell’affrontare lo studio delle metastasi, malgrado rappresentino la più grave complicazione delle malattie tumorali

Relazioni cliniche e patologiche Il rischio di metastatizzazione aumenta con: dimensioni del tumore primario l’invasione regionale dei linfonodi (inversamente) grado di differenziamento del tumore profondità dell’invasione tumorale oltre il normale confine tessutale (es. melanoma)

Modello classico (Halsted) Sito primario interessamento dei linfonodi metastasi a distanza L’ipotesi del “seed and soil” Paget (fine ‘800): il tumore (il seme) dipende per diffondersi da caratteristiche dell’organo distante (il suolo fertile)

metastatic subclone Emergenza sequenziale di subcloni. Un processo di selezione competitiva fra I subcloni coesistenti porta all’emergenza del subclone maligno “vincente”, che peró puó acquisire nel tempo nuove alterazioni genetiche dando origine ad eterogeneitá genetica

La geografia della progressione tumorale Le cellule che danno inizio a metastasi hanno già accumulato le mutazioni “progressor” nel tumore primario Diverse cellule (con diverso spettro di mutazioni progressor) danno origine a diverse metastasi

Implicazioni del modello di progressione tumorale Importanza principale data alla diagnosi ed eradicazione precoce del tumore Dissezione linfonodale (segno di estensione precoce), radiazione locale Chemioterapia adiuvante per eliminare le cellule residue rimaste dopo l’eradicazione chirurgica

Modelli alternativi (anni ’80) Fin dall’inizio del processo tumorale, c’è una predeterminazione rispetto alla capacità o meno di dare metastasi I tumori sono una malattia sistemica fin dall’inizio (nei casi che danno origine a metastasi)

Molecular profiling Avvento dell’era “post-genomica”: non si puó piú pensare di studiare un gene/una proteina alla volta “profili di espressione genica”, “profili di espressione proteica”: una visione resa tecnologicamente ora possibile dell’attivitá cellulare nel suo insieme

Un puzzle molecolare Se le metastasi hanno origine da una piccola frazione di cellule nella massa tumorale primaria, come è possibile che si possa predire il destino clinico (metastasi o meno) analizzando il tumore primario in toto? The genes that specify the metastasis would not seem to confer increased proliferative benefit at the primary site. That is, there is no reason to think that a metastatic phenotype enables cells to proliferate more effectively within the primary tumour mass, thereby increasing their representation in the overall tumour-cell population. Hence, rare cells in the primary tumour mass that happen to acquire metastatic capability will remain rare.

Alternative model: Weinberg and Bernards, 2002 Reasoning like this drives us to consider a quite different mechanistic model: namely, that the tendency to metastasize is largely determined by the identities of mutant alleles that are acquired relatively early during multistep tumorigenesis. It is already apparent that there are several alternative genetic paths that cells can take en route to forming a primary tumour. Thus, a particular phenotype required early in tumorigenesis by an evolving tumour cell can be acquired through the mutation of any one of several alternative growth-controlling genes. We suggest that a subset of the mutant alleles acquired by incipient tumour cells early in tumorigenesis confer not only the selected replicative advantage, but also, later in tumorigenesis, the proclivity to metastasize. This proclivity will become manifest only much later in tumour progression, in the context of yet other mutations that have struck the genomes of descendant cells.

Evidenze in supporto In some small, well-localized primary human breast cancers, individual carcinoma cells are clearly detectable in the bone marrow. Furthermore, DNA-microarray analysis reveals that the gene-expression pattern of metastatic tumour cells is often strikingly similar to that of the cells confined to the primary tumour mass from which they were derived, implying that the dominant cell population in the primary tumour mass is phenotypically and possibly genotypically (almost) identical to the cells in the metastases. (già discusso) Equally relevant are other studies in which the gene-expression profiles of the dominant populations of breast-cancer cells within a primary tumour mass have been used to predict, with 90% accuracy, whether the tumour will remain localized or whether the patient will experience metastases and disease relapse. Here, once again, the metastatic behaviour of these cancer cells seems to be determined relatively early in tumorigenesis. Finally, several well-studied oncogenes, including ras and myc, the proliferative powers of which are well documented, can function in certain mouse models of tumorigenesis to enable cancer cells to metastasize.

Implicazioni First, the tendency of a tumour eventually to metastasize is already pre-ordained by the spectrum of mutations that progenitor cells acquire relatively early in tumorigenesis; that is, some cancers start out 'on the wrong foot'. Second, genes and genetic changes specifically and exclusively involved in orchestrating the process of metastasis do not exist. Instead, the genes for metastasis are largely those that cancer biologists have been studying intensively for a generation: the oncogenes and tumour-suppressor genes. Third, because important components of the genotype of metastasis are already implanted in cells relatively early in tumorigenesis, even relatively small primary tumour cell populations may already have the ability to dispatch metastatic pioneers to distant sites in the body. The implications for the usefulness of early clinical detection of breast cancer are unsettling

Eppure... Apparentemente lo screening e la diagnosi precoce hanno diminuito la mortalità tumorale Il fenomeno delle metastasi dormienti (micrometastasi possono rimanere non clinicamente rilevabili per decenni dopo la rimozione del tumore primario) è più facilmente spiegabile con un modello in cui occorrono ulteriori mutazioni genetiche al sito metastatico

Il paradigma del processo metastatico: Massaguè, 2008 Al cuore del processo resta il concetto di evoluzione somatica attraverso mutazioni geniche L’evoluzione seleziona funzioni e solo indirettamente per geni specifici

Funzioni tumorigeniche e metastatiche I primi geni selezionati sono quelli che assicurano funzioni tumorigeniche (vedi slide), che sono le pietre miliari del cancro. Queste funzioni sono necessarie anche alle cellule metastatiche, anche se non specifiche Le funzioni metastatiche sono quelle che agiscono sulle cellule tumorali dopo l’ingresso nei vasi, e le rendono capaci di colonizzare organi distanti

Geni per le funzioni Geni tumorigenici: quelli che promuovono le funzioni tumorigeniche (la maggior parte degli oncogeni ed oncosoppressori noti) Geni per la progressione metastatica: sono geni con una funzione duale, sia tumorigenica che pro-metastatica (generale o sito-specifica). Sono i geni che formano la basi per la teoria della predeterminazione per le metastasi Geni per la virulenza metastatica: non sono richiesti per la crescita del tumore primario, ma sono richiesti per la crescita nei siti secondari e per uscire dallo stato dormiente. Sono i geni che formano la base del modello tradizionale di progressione metastatica

Un modello integrato

Cascata metastatica Diminuita aderenza intercellulare Aumentata motilità ed invasione dello stroma Ingresso nei vasi e sopravvivenza in circolo Crescita in organi distanti

Angiogenesi tumorale Le cellule di mammifero devono essere localizzate ad un massimo di 200µM di distanza dalla microvascolatura Questa distanza corrisponde al limite massimo di diffusione dell’ossigeno Per una crescita ulteriore, c’é bisogno di formare nuovi vasi sanguigni Simili restrizioni sono in atto anche nella massa tumorale

Tumor Angiogenesis and Neovasculature A, Tumors less than 1 mm3 receive oxygen and nutrients by diffusion from host vasculature. B, Larger tumors require new vessel network. Tumor secretes angiogenic factors that stimulate migration, proliferation, and neovessel formation by endothelial cells in adjacent established vessels. C, Newly vascularized tumor no longer relies solely on diffusion from host vasculature, facilitating progressive growth.

Ca in situ e nuovi vasi sanguigni

Ca invasivo

Lo “switch” angiogenico I tumori producono fattori pro-angiogenici ed anti-angiogenici Nella prima fase della crescita tumorale, il bilancio é tale da non favorire l’angiogenesi Lo “switch” avviene quando I fattori pro-angiogenici prendono il sopravvento L’ulteriore crescita tumorale e la metastatizzazione sono angiogenesi-dipendenti

Segnali di attivazione dello “switch” Stress metabolico (ipossia, basso pH, ipoglicemia): tutte condizioni che si creano nell’habitat tumorale quando avviene un accrescimento di massa senza angiogenesi Infiammazione Stress in generale

Struttura e funzione dei vasi tumorali I meccanismi di regolazione dell’angiogenesi sono molto meno stringenti I vasi tumorali hanno caratteristiche strutturali diverse da quelli normali: in alcuni casi, il lume é rivestito da un mosaico di cellule endoteliali e tumorali (con ovvie implicazioni per il processo di metastatizzazione) I vasi tumorali sono tortuosi, dilatati, molto ramificati: questo provoca ipossia locale nel tumore, indirettamente provoca problemi di distribuzione dei farmaci anti-tumorali, ed inoltre porta ad ulteriore stimolazione della produzione di fattori pro-angiogenici

Quiescenza tumorale Non necessariamente la crescita dei tumori segue un’evoluzione spontanea fulminante Alcuni tumori possono restare in uno stato di quiescenza per anni, probabilmente per l’espressione di un’elevata quantitá di fattori antiangiogenici (endostatina, angiostatina, ecc.)

Terapia anti-angiogenica Si basa sul presupposto (dimostrato sperimentalmente in diversi modelli animali) che l’inibizione dell’angiogenesi impedisca l’espansione e metastatizzazione tumorali Risultati nei modelli animali: la terapia anti-angiogenica non é in grado di “uccidere” le cellule tumorali esistenti (stasi tumorale) Gli inibitori dell’angiogenesi sembrano “normalizzare” I vasi tumorali. Questo potrebbe aumentare l’efficacia di farmaci chemioterapici, facendo sí che raggiungano l’intera massa tumorale